fonte: comitato lavoratori delle campagne
Nelle ultime ore gli abitanti della tendopoli di San Ferdinando hanno iniziato a raccontare una verità diversa sull’incendio che la scorsa notte ha portato alla morte di Becky Moses. Testimoni della tragedia, infatti, raccontano che l’incendio è scoppiato alle due della notte, ma che i pompieri non si sono presentati fino alle cinque, ben tre ore dopo, e muniti di una sola camionetta. Inoltre le forze dell’ordine che militarizzano la zona da più di un anno si sono ben guardate dall’intervenire.
Con un intervento più tempestivo Becky si sarebbe salvata. Come molti altri prima di lei, non è vittima di una fatalità, ma di una politica di controllo e di gestione complessiva delle vite delle persone, funzionale allo sfruttamento, che si concretizza in maniera sistematica e violenta nel moltiplicarsi di campi di varia natura, dai centri d’accoglienza ai CPR fino ai campi di lavoro più o meno formalmente istituzionalizzati e controllati. In particolare le donne che vivono in questi campi subiscono in modo particolarmente acuto la brutalitá del sistema, poiché costrette ad indebitarsi per decine di migliaia di euro per sperare di arrivare in Europa, subendo ogni genere di violenza e ricatto durante il viaggio e vedendosi nonostante questo negate, come è successo a Becky, il riconoscimento della protezione internazionale e finendo quindi intrappolate nei ghetti dove offrire lavoro sessuale a bassissimo costo. Sfruttate e intrappolate, fino ad incontrare la morte.
Non dobbiamo d’altra parte dimenticare che da anni gli abitanti dei ghetti rivendicano il diritto di vivere nelle case e non nei campi, e denunciano gli interessi e il business che si cela dietro l’accoglienza, ma soprattutto la violenza e il colonialismo sottesi ai discorsi che caldeggiano un’accoglienza degna e diffusa.
Ad ora, sembra le altre due ragazze gravemente ferite siano scampate al peggio, e speriamo che possano riprendersi presto, ma una cosa è certa: per quanto il capitale e lo Stato le vogliano asservite ai loro interessi, ingranaggi della loro produzione e riproduzione e oggetti della repressione, dopo questa ennesima tragedia gli abitanti dei ghetti reagiranno. La loro rabbia è al culmine e le lotte, da oggi stesso, riprenderanno con ancora più vigore e forza contro queste forme di detenzione, esclusione, e morte.
Non vogliamo accoglienza, né indegna, né degna. Né diffusa, né altro. Vogliamo case!
Lo Stato e i suoi padroni reprimono e uccidono, noi non staremo a guardare!