Roma – Sul presidio al CPR di Ponte Galeria di sabato 27 gennaio

riceviamo e pubblichiamo

Sabato 27 gennaio un ventina di solidali sono tornatx al CPR di Ponte Galeria per comunicare alle recluse la rabbia di chi vuole ogni galera e prigione abbattute e per sostenere le lotte di chi cerca di resistere all’interno di quelle mura.

Durante i primi saluti si sono udite chiaramente le grida delle recluse che urlavano “Libertà!” e rispondevano ai cori. Di conseguenza, come spesso accade, le donne sono state probabilmente allontanate e rinchiuse per spezzare ogni legame con chi le supporta dall’esterno.

Gli interventi al microfono sono continuati raccontando delle rivolte avvenute negli ultimi giorni nell’hotspot di Lampedusa, dove alcune persone provenienti dalla Tunisia si sono ribellate contro il sistema che le vorrebbe identificate e subito deportate. Si è raccontato inoltre della solidarietà attiva praticata in Belgio, dove 2500 persone hanno provato coi propri corpi a impedire una maxi retata in stazione. E ancora del CPR di Bari che, appena riaperto dopo i lavori di ristrutturazione necessari dopo le rivolte di febbraio 2016, è stato già inaugurato col fuoco dalla rabbia dei reclusi.

Uno degli interventi si è soffermato sulla ennesima tragedia  appena avvenuta nella tendopoli di San Ferdinando, in Calabria. Nella tendopoli, dove migliaia di persone resistono alla deportazione nei campi controllati dallo Stato e lottano per ottenere documenti e una vita migliore, un incendio ha causato la morte di Becky, una giovane donna, e il ferimento di altre due.

Questo evento gravissimo è il risultato delle politiche di sfruttamento e controllo dello Stato e dei padroni sulla pelle di lavoratori e lavoratrici e delle false promesse dei sindacati e delle associazioni.

Dopo quasi due ore di presidio e il saluto alle donne recluse, un indisturbato lancio di palline da tennis oltre le mura del lager ha accompagnato noi solidali verso la stazione. Qui ad aspettarci diverse guardie, in divisa e non, e controllori ferroviari (lì in attesa da ore); a questo punto si è deciso insieme di aggirare l’ostacolo e proseguire a piedi fino al primo luogo utile per tornare in città, sfuggendo a chi cercava di fermarci.

Anche se siamo poche, vogliamo continuare a tornare sotto quelle mura con i nostri tempi e le nostre modalità. Nei campi del sud Italia, fuori dalle carceri o alle frontiere, continueremo a sostenere le lotte di chi si ribella all’oppressione, alla violenza e allo sfruttamento dello Stato.

nemiche e nemici delle frontiere

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