fonte: Comitato lavoratori delle campagne
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ANTIRAZZISMO E ANTISESSISMO, A FOGGIA E DOVUNQUE: IL 19 MARZO DAI GHETTI SCENDIAMO DI NUOVO IN PIAZZA!
Foggia -Piazzale della Stazione, ore 10:00
Dopo le sparatorie di Macerata e Firenze, c’è ancora chi discute se l’Italia sia o meno un paese razzista. Peccato che il razzismo faccia parte della storia italiana fin dalla nascita dello Stato nazione, come una linea nera che attraversa la questione meridionale, le conquiste e i massacri coloniali, l’antisemitismo e la discriminazione contro i e le rom. E a partire dagli anni 80 colpisce senza sosta le persone migranti (dall’Africa ma anche dall’Asia e dall’Europa dell’est) con omicidi, violenze di ogni sorta, rappresaglie. Perdipiù, come anche i fatti di Macerata hanno dimostrato, il razzismo è sempre anche una questione di sessismo. Non solo le donne migranti, in quanto donne, subiscono una doppia violenza. L’odio razzista si fonda su una concezione delle donne come vittime passive, da proteggere e controllare in quanto emblemi e matrici della nazione o della razza, da un lato – o, se straniere o ribelli, come oggetti di brutalità e consumo usa e getta, dall’altra.
La lotta dei lavoratori e delle lavoratrici migranti delle campagne, in Puglia come in Calabria e altrove, non diversamente dalle storie dei e delle migranti più in generale, racconta però un altro aspetto del razzismo. Quello degli spari e delle percosse non è che la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più profondo e strutturale: le politiche migratorie e quelle sull’asilo che negano, limitano e tolgono in qualsiasi momento l’accesso alla casa, al lavoro, ai documenti e ai servizi; la discriminazione e la destinazione ai lavori più precari, pericolosi e malpagati, i ghetti e i campi di lavoro, i centri di espulsione e di accoglienza. Tutto questo è razzismo, anche se legale e democratico.
Non si tratta quindi di episodi sporadici né delle “gesta di un folle”: è qualcosa che succede quotidianamente e dappertutto, nell’ infantilizzazione e criminalizzazione delle persone richiedenti asilo, negli sfratti e nelle espulsioni, così come nello sfruttamento estremo che sta alla base della filiera agro-industriale. E non è neppure un problema di semplice ignoranza da risolvere con l’educazione alla diversità e le cene interetniche: è una faccenda di potere e di profitto, che riguarda tutte e tutti. I fatti delle ultime settimane, dagli attacchi fascisti e razzisti alla repressione brutale dello stato e alle dichiarazioni di chi ha raccolto voti fomentando l’odio e la violenza, dimostrano quanto sia urgente una riflessione molto più ampia sulle origini e le pratiche del razzismo e del sessismo in Italia, dalle istituzioni alle strade, contro cui ci si deve organizzare in maniera compatta. E soprattutto dimostrano come razzismo e sessismo siano uno strumento indispensabile sia per mantenere saldo il controllo dello stato sui cittadini, attraverso misure di sicurezza sempre più serrate e repressione, che per salvaguardare gli interessi del capitale che sullo sfruttamento dei lavoratori basa il suo profitto.
Lottare contro tutto ciò non è facile. Come Rete Campagne in lotta, crediamo che sia indispensabile partire dalle lotte reali delle persone che subiscono il razzismo, sostenere le loro pratiche di autorganizzazione e metterle in comunicazione le une con le altre. Soprattutto oggi, quando “l’antirazzismo democratico” della sinistra istituzionale e associativa mostra tutta la sua ambiguità e inutilità, o peggio ancora cerca di bloccare le rivolte perché cominciano a mettere a rischio i loro privilegi, come abbiamo visto a Firenze e come vediamo da anni nelle campagne del sud con la finta “lotta al caporalato” e la vittimizzazione dei lavoratori in funzione di pratiche assistenzialiste e neo-colonialiste messe in atto da sindacati e associazioni.
Una linea, speriamo, si sta forse tracciando: da una parte, questi individui che si svegliano una volta all’anno quando ci scappa il morto, e chiedono pieni di indignazione non di abbattere ma di riformare e perfezionare l’accoglienza “degna”, le prigioni per migranti, o al massimo di sistemare un po’ la legge sulla cittadinanza o quella sul caporalato. Dall’altra parte ci sta chi crede che combattere contro il razzismo significa combattere contro le frontiere e lo sfruttamento, per le case e i documenti per tutte e tutti.
I lavoratori e le lavoratrici delle campagne lottano tutti i giorni per sopravvivere e per inceppare questi meccanismi di discriminazione, malgrado le condizioni terrificanti in cui sono costretti-e a vivere. Continuano ad organizzarsi e a ribellarsi nonostante abitino in container, tende, baracche o in centri sotto stretta sorveglianza, spesso senza acqua corrente né elettricità, senza documenti e subendo gli abusi costanti della polizia, lavorando fino allo stremo per un pugno di euro. Contano anche loro le vittime della violenza razzista, di cui però nessuno parla. Sare Mamoudou, ammazzato per il furto di un melone a Foggia il 22 settembre 2015; Sekine Traoré, ucciso per mano di un carabiniere l’8 giugno 2016 alla tendopoli di San Ferdinando ; Mamadou Konate e Nouhou Doumbia, morti il 3 marzo 2017 nell’incendio del Ghetto di Rignano sotto sgombero; Becky Moses, anche lei morta in un incendio, a San Ferdinando, il 20 gennaio 2018. La lista è tragicamente lunga, perché si muore tutti i giorni sulle strade, sul lavoro, nei ghetti – e anche queste morti sono frutto del razzismo, quello istituzionale.
Questi lavoratori e lavoratrici hanno organizzato per lunedì 19 marzo una manifestazione a Foggia, per rivendicare ancora una volta: documenti, un lavoro regolare e una casa. E scenderanno in piazza anche con l’intenzione di raccontare la loro verità e produrre una narrazione diversa da quella che i media danno degli immigrati in Italia. Né criminali né vittime, i lavoratori e lavoratrici delle campagne sono compagni e compagne che lottano anche per noi e che dobbiamo sostenere.
Contro questo razzismo strutturale che divide e che uccide, oggi più che mai, utilizziamo l’arma della solidarietà, sosteniamo i percorsi di autorganizzazione, schieriamoci dalla parte delle rivolte che nascono ogni giorno.
Vi aspettiamo a Foggia, dove porteremo la voce di ogni piazza in cui ci si sta organizzando contro fascismo, sessismo e razzismo.
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ANTIRACISM AND ANTISEXISM, IN FOGGIA AND EVERYWHERE – ON THE 19th OF MARCH, FROM THE GHETTOES WE ARE BACK IN THE STREETS!
Foggia – Railway Station Square, 10 am.
In the aftermaths of the shootings of Macerata and Florence, some are still debating whether Italy is a racist country or not. But the truth is that racism is part of Italian history since the birth of the nation state, like a black line marking the so called “southern question”, the colonial conquests and massacres, anti-Semitism and the discrimination against Roma people. Then, since the 80s it has particularly struck against immigrants (from Africa, but also from Asia and Eastern Europe) with murders, violence of every kind, reprisals. Moreover, as the facts of Macerata have shown, racism is also always a question of sexism. Not only migrant women, as women, suffer a double violence. Racist hatred is also founded on the concept of women as passive victims, to be protected and controlled as emblems and matrices of the nation or the race – or, if foreign or rebels, as objects of brutality and disposable consumption.
The struggle of migrant farm workers, in Puglia as in Calabria and elsewhere, like the stories of migrants in general, tells yet another aspect of racism. That of the shootings and beatings is nothing but the tip of the iceberg of a phenomenon much deeper and more structural: the migration and asylum policies that deny, limit and can remove at any time access to housing, work, documents and services; the discrimination and the assigning of the most precarious, dangerous and poorly paid jobs, the ghettoes and the labor camps, the deportation and reception centers. All this is racism, even if legal and democratic.
These are not sporadic episodes nor the “deeds of a madman”: it is something that happens every day and everywhere: in the infantilizing and the criminalizing of asylum seekers, in evictions and expulsions as well as in the extreme exploitation that underlies the agro-industrial supply chain. Nor is it a problem of simple ignorance to be resolved through education to diversity and interethnic dinners: it is a matter of power and profit, which affects everyone and everyone. The events of the recent weeks, from the fascist and racist attacks to the brutal repression of the state and the declarations of those who have gathered votes fomenting hatred and violence show just how urgent it is to formulate a much broader reflection on the origins and practices of racism and sexism in Italy, from the institutions to the streets, against which we must organize in a compact way. Above all, these events show how racism and sexism are an indispensable tool both to keep the control of the state on citizens through increasingly tight security measures and repression, and to safeguard the interests of capital which bases its profit on the exploitation of workers.
Fighting against this is not easy. As the Campagne in lotta network, we believe that it is essential to start from the real struggles of those who suffer racism, support their self-organization practices and put them in communication with each other. Even more today, when “the anti-racist democracy” of the institutional and associative left shows all its ambiguity and uselessness, or even worse it tries to block the revolts as they begin to jeopardize their privileges, as we saw in Florence and as we see from years in the countryside of the south with the fake “fight against the caporalato” and the victimization of the workers in function of assistentialist and neo-colonialist practices implemented by trade unions and associations.
A line, we hope, is perhaps being traces: on the one hand, there are these individuals who wake up once a year, when a killing happens, and ask full of indignation not to overthrow but to reform the reception system and the prisons for migrants, to make them more “respectable” or at most to ameliorate the law on citizenship or that on seasonal job hiring. On the other hand there are those who believe that fighting against racism means fighting against borders and exploitation, for houses and documents for all and for all.
Farm workers struggle every day to survive and to stop these discrimination mechanisms, despite the terrifying conditions in which they are forced to live. They continue to organize and revolt despite living in containers, tents, shacks or in centers under strict surveillance, often without running water or electricity, without documents and suffering constant police abuses, working for a handful of euros. The victims of racist violence, of which no one speaks, are also counting. Sare Mamoudou, killed for the theft of a melon in Foggia on September 22, 2015; Sekine Traoré, killed by a policeman on 8 June 2016 at the tent camo of San Ferdinando; Mamadou Konate and Nouhou Doumbia, who died on the 3rd of March 2017 in the fire of the Ghetto di Rignano under eviction; Becky Moses, who also died in a fire, in San Ferdinando, January 20, 2018. The list is tragically long, because people die every day on the streets, at work, in the ghettos – and even these deaths are the result of racism, the institutional one.
These workers have organized a demonstration in Foggia for Monday, March 19, to once again demand documents, a regular job and a house. They will take to the streets with the intention of telling their truth and producing a different narrative from that which the media give of immigrants in Italy. Neither criminals nor victims, migrant farm workers are comrades who fight for us and whom we must support.
Against this structural racism that divides and kills, today more than ever, we use the weapon of solidarity, we support the paths of self-organization, we are part of the revolts that are born every day.
We are waiting for you in Foggia, where we will bring the voice of all those organizing against fascism, racism and sexism.