Lesbo – Proteste e repressione nell’hotspot di Moria

Da Lampedusa a Lesbo, nei luoghi chiamati hotspot dove vengono applicate le politiche europee di segregazione e selezione delle persone migranti, le continue lotte delle persone recluse spesso seguono gli stessi ritmi.

Venerdì 9 marzo alcune decine di persone nell’hotspot e centro di detenzione per migranti di Moria a Lesbo, dopo essere state informate che le loro domande di asilo erano state respinte per la seconda volta (una decisione che implica la loro prossima deportazione verso la Turchia) si sono prima rifiutate come protesta di tornare nei miseri alloggi del centro e poi hanno attaccato e danneggiato le strutture dell’hotspot adibite agli uffici, dove i burocrati greci ed europei prendono decisioni sulle loro vite. Dopo l’intervento della polizia antisommossa 15 persone erano state arrestate.
Nei giorni successivi almeno tre persone avevano minacciato o tentato il suicidio nel lager di Moria. Una di queste, dopo che la sua intera famiglia, lui escluso, era stata trasferita nella Grecia continentale, si era arrampicata per protesta su un traliccio, ed era rimasta fulminata e gravemente ferita.
Nel tardo pomeriggio di mercoledì 14 marzo, alcune persone hanno visto la polizia colpire una donna. Come normale reazione umana si sono arrabbiati: ciò ha provocato una rivolta che ha visto centinaia di persone che vivono nel campo di Moria resistere alle violenze della polizia. La polizia antisommossa del governo di SYRIZA ha usato una grande quantità di gas lacrimogeni contro di loro, anche nelle aree e nelle tende in cui vivono famiglie con bambini, oltre a granate stordenti e accecanti, cariche e manganellate. Almeno 11 persone sono state ferite, decine sono state quelle intossicate dallo spropositato uso di gas.

A seguire, la traduzione del comunicato scritto da migranti sotto processo per le precedenti proteste a Moria.

Traduzione da Musaferat Lesvos

Comunicato di 5 dei 35 migranti perseguitati a Moria.

Il 20 aprile è prevista l’udienza del nostro processo a Chios, dopo aver aspettato nove mesi, intrappolati a Lesbo, mentre 30 dei nostri fratelli hanno ingiustamente aspettato in prigione per questo stesso periodo di tempo. La nostra umanità è stata negata fin da quando abbiamo messo piede in Europa, la presunta culla della democrazia e dei diritti umani. Da quando siamo arrivati siamo stati costretti a vivere in condizioni orribili, le nostre domande di asilo non sono prese sul serio, e alla maggior parte degli africani viene negata la residenza in Europa e sono a rischio di deportazione. Siamo trattati come criminali, semplicemente per aver attraversato un confine che gli europei possono attraversare liberamente.

Ora 35 di noi sono stati accusati di rivolta, distruzione di proprietà e violenze, ma in realtà è stata la polizia che ci ha attaccato in un raid violento e razzista nella sezione africana del centro di detenzione di Moria il 18 luglio 2017, il giorno in cui fummo arrestati. Il 18 luglio, un gruppo di migranti di varie nazionalità ed etnie diverse si riunirono per protestare per essere stati tenuti prigionieri sull’isola di Lesbo in condizioni disumane. Per spezzare la protesta, la polizia ha sparato gas lacrimogeni sul gruppo di migranti che protestavano davanti al cancello principale del centro di detenzione di Moria. Era la polizia in tenuta antisommossa che attaccava migranti disarmati con pietre, manganelli e gas lacrimogeni. Più di un’ora dopo che gli scontri si erano conclusi, la polizia ha circondato solo la sezione africana del centro di detenzione di Moria. È stata la polizia che ha danneggiato la proprietà rompendo le finestre e le porte dei container in cui vivevamo. Senza preoccuparsi delle persone che erano dentro gettarono gas lacrimogeni nei container chiusi. Hanno trascinato le persone per i capelli fuori dai container. Hanno picchiato chiunque abbian trovato, con manganelli, calci, pugni. Sembra che siamo stati presi di mira solo per il nostro colore della pelle – perché siamo neri. Fu durante questo attacco violento e razzista che fummo anche picchiati e arrestati. La polizia ha continuato a picchiarci all’interno della stazione di polizia, mentre eravamo in manette, e ci hanno negato l’assistenza medica nei giorni successivi.

La settimana dopo che siamo stati violentemente arrestati, la polizia è tornata e ha di nuovo fatto irruzione nel centro di detenzione di Moria, arrestando molti africani ai quali è stato notificato che le loro domande d’appello erano state respinte, e che sono stati poi deportati in Turchia. Crediamo che questa incursione sia avvenuta con lo scopo di continuare a terrorizzare i migranti e mettere a tacere ogni resistenza. Con il coordinamento dell’UNHCR e del Servizio di asilo greco, la donna incinta che era stata picchiata è stata trasferita ad Atene nei giorni successivi all’attacco della polizia nella nostra comunità. Crediamo che il suo trasferimento ad Atene e la deportazione di diversi africani sia avvenuto anche per sbarazzarsi di eventuali testimoni dell’attacco della polizia contro di noi.

Tuttavia, le autorità non possono impedire che si sappia la verità su come la Grecia e l’Europa trattano i migranti a Lesbo. È il violento attacco della polizia contro i migranti africani che deve essere investigato. È la polizia che deve essere assicurata alla giustizia. Noi e i nostri 30 fratelli in carcere dobbiamo essere liberati. Non ci fidiamo del fatto che le autorità che ci hanno trattato come persone non umane ci trattino equamente in questo caso e sappiamo che per questo processo otterremo giustizia solo attraverso la solidarietà dei greci, degli europei e di altre persone che ci vedono come loro pari.

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