Che le procure abbiano spesso provato a basare le proprie tesi accusatorie paventando “regie esterne” dietro le rivolte che hanno smantellato i centri di espulsione è cosa nota a chi da anni prova a costruire percorsi di solidarietà. Che le forze dell’ordine abbiano spesso rinchiuso in cella le persone recluse durante i presidi che avvengono all’esterno, è pratica risaputa e volta a ostacolare la comunicazione. Anche le minacce di ritorsioni ed espulsioni immediate qualora si comunicasse con i solidali non sono mai mancate.
Questa volta ci pensano l’osservatorio migranti basilicata e cronache di ordinario razzismo ad avanzare pesanti accuse nei confronti di chi si è recato al CPR di Palazzo San Gervasio per parlare con le persone recluse.
Che questi infami non avrebbero aspettato tanto tempo ad affannarsi sulle tastierine del pc era cosa chiara a chiunque abbia partecipato al presidio dello scorso lunedì 26 marzo. Infatti, dopo un’oretta di presidio, quando i solidali si sono spostati davanti il cancello del CPR per attendere che le fdo riconsegnassero loro i documenti dopo l’identificazione, hanno avuto il piacere di incontrare un noto esponente dell’osservatorio migranti basilicata che s’impegnava a parlare con la polizia, imputando l’organizzazione del presidio a un collettivo e ricevendo in cambio qualche insulto. Troppo poco…
Oggi su internet compaiono accuse più chiare. Senza mezzi termini questa gente, che si è fatta un nome sulla pelle delle persone immigrate, ha pensato bene di dichiarare che “Gli slogan gridati al di là delle griglie metalliche della “voliera” hanno però avuto l’effetto di incitare alla protesta all’interno e infiammare gli animi. Questo ha provocato l’immediata reazione delle Forze dell’ordine che hanno caricato i detenuti, provocando alcuni feriti (secondo quanto riportato dai familiari stessi dei tunisini).”
Cronache di ordinario razzismo di questi sinistri colonialisti, per i quali le persone recluse sono incapaci d’intendere e di volere, e si sarebbero ribellate solo e soltanto per aver ascoltato degli slogan provenienti dall’esterno, provocando così come “reazione” una carica delle povere fdo che altrimenti si comporterebbero bene con le persone immigrate.
Tutto questo lo dichiarano al posto di chi ha portato avanti per mesi una lotta coraggiosa per liberarsi dalle gabbie di Lampedusa (attraverso tentativi di fuga, presidii, denunce pubbliche, marce, scioperi della fame, proteste, e infine danneggiando l’hotspot fino a ottenerne la chiusura) e che per questa ragione si trova adesso prigioniero a Palazzo San Gervasio.
Ci sfugge cosa spinga questi soggetti a puntare il dito contro i/le solidali che, senza tornaconti personali, scelgono di comunicare direttamente con le persone recluse, raccontando la situazione in altri centri di detenzione e mettendosi a disposizione per fare da megafono sulla situazione dentro il CPR e a darsi da fare affinché non resti un problema solo delle persone imprigionate.
Abbiamo potuto leggere sui social network che parte del loro problema sia quello di non essere stati preavvisati e coinvolti. Dato l’epilogo non possiamo fare altro che credere indispensabile la distanza da questi soggetti, per rafforzare l’autorganizzazione e indebolire l’autoreferenzialità e il protagonismo di questi politicanti.
Immaginiamo che parte delle infamate sia il frutto di un sentimento competitivo e di potere che ci fa ribrezzo, e dal considerare la loro come UNICA pratica possibile. Una solidarietà “autorizzata”, sottoposta al controllo e consenso delle istituzioni, possibile solo ed esclusivamente per “specialisti” come avvocatx, parlamentarx, giornalistx e associazioni riconosciute, che punta esclusivamente sui miseri margini legali, che diventano via via sempre più ristretti. Un’attività che si basa principalmente sull’ingresso di delegazioni, nel clima artificiale e di minaccia che le caratterizza in ogni luogo di detenzione.
Non abbiamo nulla da insegnare a chi ogni giorno resiste nelle patrie galere.
La storia di questi lager ci mostra che le rivolte, le evasioni e le resistenze sono state in grado di danneggiare la macchina delle espulsioni.
Di certo non ci crediamo superiori a nessunx ma riteniamo necessario contribuire con la solidarietà, la vicinanza e le azioni concrete per mettere fine all’esistenza dei centri d’espulsione o di qualsiasi campo che limiti la libertà delle persone.