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AGGIORNAMENTI DOPO LA RIVOLTA NELLA SEZIONE MASCHILE DEL CPR DI PONTE GALERIA E APPELLO AD UNA PARTECIPAZIONE NUMEROSA AL PRESIDIO DI SOLIDARIETÀ DEL 28 LUGLIO
A inizio giugno è stata riaperta la sezione maschile del Centro di Permanenza per i Rimpatri di Ponte Galeria (Roma), lager che dal 1999 rinchiude persone senza documenti al fine di rimpatriarle nei Paesi di origine oppure, in assenza di accordi bilaterali, rilasciarle dopo mesi di prigionia con un foglio di via, che le condanna a lasciare l’Italia entro 7 giorni o ad intraprendere una vita da irregolari.
Se non è proprio iniziata come era finita nel dicembre 2015, quando una storica rivolta degli uomini che vi erano imprigionati portò alla sua chiusura, sicuramente la reazione dei reclusi non si è fatta aspettare. Nella notte di venerdì 5 luglio, a circa un mese dalla riapertura, gli uomini detenuti si sono rivoltati contro le condizioni di detenzione nel lager e la privazione della libertà. Hanno divelto infissi, distrutto arredi e bruciato materassi; poi alcuni hanno scavalcato le recinzioni e in 12 sono riusciti a riconquistare la libertà, mentre altri sono stati purtroppo riacciuffati e ricondotti in prigionia. Alcune voci dall’interno riferiscono che quella notte un ragazzo sia stato duramente picchiato dalla polizia entrata per sedare la rivolta, e che abbia continuato a perdere sangue nei giorni seguenti: sembra che sia stato colto alla sprovvista in quanto dormiva e non si era accorto di nulla.
Raccontano anche delle durissime condizioni di vita all’interno. Sono circa 130 le persone rinchiuse, di varie nazionalità. Sono divisi in sei grandi celle circondate da sbarre di ferro, dalle quali non si esce mai se non per andare in infermeria o a fare la doccia e la barba. Il cibo e l’acqua (una bottiglia al giorno, calda, senza tappo) vengono passati direttamente dalle sbarre: non esistono infatti zone comuni con tavoli e sedie dove poter mangiare o parlare con chi è in altre aree. Evidente è l’intento di ostacolare il più possibile forme di socializzazione e organizzazione collettiva dei reclusi, ma come la recente protesta ha dimostrato la rabbia per le violenze inflitte quotidianamente e l’amore per la libertà a volte possono superare qualsiasi ostacolo.
Riferiscono poi che che non possono tenere con sé telefoni cellulari, ma sono costretti a comprare all’interno del CPR schede telefoniche per mettersi in contatto con le persone care o gli avvocati. I tempi per poter fare una doccia o la barba sono lunghissimi e mancano saponi per l’igiene personale e dentifrici. Il cibo puzza ed è immangiabile, tanto che alcuni hanno perso parecchi chili dall’ingresso nel lager. Giorni di attesa anche per ricevere una visita medica; alcuni per essere portati in infermeria si sono feriti con lamette e altri oggetti taglienti. Se ricevere le cure necessarie è un miraggio, estremamente accessibile è invece l’utilizzo di tranquillanti e psicofarmaci, sollecitati proprio dal personale medico, che alla richiesta di una pasticca di tranquillante per poter dormire invita a prenderne anche due, tre, quattro.
In questo primo mese ci sono state già parecchie deportazioni, mentre pochissimi sono gli uomini che sono stati liberati con il foglio di via.
Se per ben tre anni e mezzo questa sezione è rimasta inattiva, il CPR ha continuato comunque a funzionare, imprigionando e deportando donne senza documenti provenienti da tutta Italia. Il lager a 40 km da Roma è infatti l’unico con una sezione femminile; attualmente sappiamo che vi sono rinchiuse circa 40 donne di varie nazionalità. Crediamo che la detenzione delle donne migranti abbia proprie specificità dovute alla concomitante presenza di oppressioni specifiche e multiple sui loro corpi, che attraverso una serie di spunti di riflessione abbiamo provato a mettere per iscritto in questo breve opuscolo.
Il sistema delle frontiere è oggi una delle espressioni più dirette dell’oppressione e dello sfruttamento capitalisti: la devastazione dei territori e la depauperazione delle risorse che le potenze occidentali operano nei continenti africano, asiatico e sudamericano; il controllo e la gestione arbitraria della vita delle persone che arrivano in Europa nella speranza di trovare migliori condizioni di vita, che fa sì che alcuni siano lasciati morire in mare, mentre altri possano raggiungere le coste del continente per andare a sopperire alle necessità di manodopera quasi schiavizzata, e altri ancora siano giudicati “meritevoli” di essere integrati nella nostra società.
In questo sistema i Centri di Permanenza per il Rimpatrio rappresentano l’estensione delle frontiere all’interno dei territori: stazioni, fermate della metropolitana, quartieri gentrificati e militarizzati sono oggi luoghi di frontiera interna, teatro di controlli sempre più frequenti e retate delle forze dell’ordine. Il CPR non è solo il luogo fisico dove vengono imprigionate le persone trovate senza documenti, ma anche l’entità che permette il perpetuarsi della differenziazione tra le persone migranti, tra coloro ai quali viene concessa la possibilità di ottenere un documento per vivere in Italia e coloro ai quali viene negata, e diviene a sua volta strumento di ricatto per i primi: decreto sicurezza dopo decreto sicurezza basta sempre meno per non vedersi più riconosciuta la protezione internazionale, e sono infatti molte le persone che arrivano nei CPR direttamente dalle Questure dove si recano per rinnovare il permesso di soggiorno.
I CPR sono anche i luoghi dove non ci si arrende alla reclusione, alle umiliazioni e alle violenze quotidiane. Le donne e gli uomini rinchiusi nei CPR oggi attivi in Italia resistono e si ribellano quotidianamente, in maniera individuale e collettiva, e la presenza di persone solidali all’esterno può contribuire a fare da megafono alle loro rivendicazioni, oltrepassando il muro di silenzio e isolamento al quale queste persone sono condannate. L’estate è poi un momento particolarmente “caldo”, in tutti i sensi. Il sovraffollamento e l’afa peggiorano ulteriormente condizioni già invivibili; negli ultimi due mesi sono state tantissime le rivolte, gli scioperi della fame e i tentativi di fuga che hanno attraversato questi lager. Da Bari a Palazzo San Gervasio, da Caltanissetta a Torino, dove proprio in questi giorni la morte di un uomo bengalese di 32 anni, lasciato morire in isolamento dopo aver subito una violenza sessuale, sta scatenando quotidiane proteste degli uomini reclusi.
Essere presenti sotto le mura di questi lager è uno dei pochi modi che abbiamo per mostrare la nostra solidarietà e il nostro sostegno. Far sentire le nostre voci e soprattutto far uscire le loro, le voci delle persone direttamente interessate che troppo spesso ci si dimentica di interpellare.
SOLIDARIETÀ A CHI RESISTE E LOTTA OGNI GIORNO NEI LAGER DI STATO
PARTECIPIAMO NUMEROS* AL PRESIDIO SOTTO LE MURA DEL CPR DI PONTE GALERIA
DOMENICA 28 LUGLIO > 18:30 – FERMATA FIERA DI ROMA
PRIMA TAPPA: SEZIONE MASCHILE