Grecia – Donne in sciopero della fame nel centro di detenzione Petrou Ralli a Atene

tradotto da: athens.indymedia.org

Nella sezione femminile del centro di detenzione di Petrou Ralli ad Atene, 16 detenute siriane e due palestinesi hanno iniziato uno sciopero della fame, sabato 2 novembre 2019, in segno di protesta. Sebbene siano prigioniere da molto tempo, alcune da due mesi e altre da ancora più tempo, non hanno idea di quando verranno trasferite nelle isole dove gli sono state prese le impronte digitali, per completare la procedura e ottenere l’asilo.

Il tribunale si è già espresso sul trasferimento nelle isole ma sono ancora detenute in celle fatiscenti a tempo indeterminato. Alcune hanno problemi di salute come problemi cardiaci, respiratori ecc. E altre a causa delle condizioni disumane che devono subire in detenzione si sono ammalate. Mirano a continuare lo sciopero della fame fino a quando non avranno esplicitamente promesso loro che saranno trasferite direttamente dove dovrebbero essere. Una delle recluse è minorenne e la detenzione minorile è illegale.

Quando cesseranno le violazioni delle loro stesse leggi da parte delle autorità? Le donne non resistono a un altro assalto, urlano BASTA, e chiedono solidarietà e sostegno a tutti nella loro giusta lotta. Chiamano anche organizzazioni che difendono i diritti umani dei gruppi vulnerabili per prendere una posizione.

Nelle strade, nelle piazze e nelle celle di prigione, le donne migranti non sono sole!

La passione per la libertà è più forte di ogni tipo di cella!

La Solidarietà e l’auto-organizzazione sono le nostre armi

Insieme cambieremo il mondo

The House of Women for the Empowerment & Emancipation

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Egitto – Aggiornamenti sulla repressione

Dopo le proteste del 20 settembre 2019, in tutto l’Egitto le persone arrestate sono state più di 4.300. Di più di 50 persone non si ha più notizia.
Gli arresti sono stati arbitrari e hanno coinvolto donne, minori, giovanissime e giovanissimi, intere famiglie e uomini. Associazioni per i diritti umani denunciano il sistema di abusi e violenze sessuali nelle carcere e nei posti di polizia ai danni di prigionieri e prigioniere.

Oltre a questi arresti arbitrari, la morsa repressiva non si è fermata. Come avviene oramai quotidianamente dal 2013 sono continuati i prelevamenti forzati dalle case e gli arresti per strada mirati nei confronti di compagne e compagni.

Mahienour al-Masry, una compagna avvocata è stata sequestrata davanti la procura dei servizi, dove stava presenziando un’udienza di rinnovo del carcere preventivo per un avvocato di Alessandria. All’uscita dalla procura è stata sequestrata da uomini in borghese e trasportata a forza su un microbus, ma ha avuto la prontezza di urlare che la stavano arrestando. Mahienour ora si trova nel carcere di al-Qanater in attesa di processo dal 22 settembre.

Alaa Abdel Fattah, un compagno che da sei mesi aveva finito di scontare la pena detentiva di 5 anni di carcere per manifestazione non autorizzata, era sottoposto alla misura cautelare di semilibertà che prevede 12 ore al giorno da passare nel commissariato di appartenenza. Questa misura viene applicata ultimamente a moltissime compagne e compagni sotto processi politici. Alaa doveva uscire come tutte le mattine alle 6 dal chiosco del commissariato, dopo aver passato 12 ore in isolamento. Quel giorno, il 29 settembre, Alaa non è uscito e la famiglia allertata ha subito capito che era stato nuovamente arrestato, vista la tensione e gli arresti continui che stavano avvenendo dal 20 settembre. Alaa si trova ora nel carcere di massima sicurezza Torah 2, in isolamento, senza ora d’aria e in condizioni brutali. Le guardie come benvenuto lo hanno bendato e torturato, inoltre è stato minacciato che non sarebbe uscito vivo da quelle maledette mura. Alaa nonostante le minacce ha denunciato i soprusi e le torture subite durante l’udienza di rinnovo del processo aperto apposta per lui.

Oltre a Alaa anche Mohamed Baker, uno degli avvocati che seguiva il suo caso, è stato arrestato durante l’udienza del rinnovo e aggiunto allo stesso processo. Anche Baker ha subito lo stesso brutale trattamento ed è rinchiuso nello stesso carcere di massima sicurezza che vorrebbe tutte le persone rivoluzionarie morte. Continua a leggere

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Belgio – Torture e abusi durante le deportazioni

Traduzione da: Getting the voice out

Non mancava che il cuscino… come per Samira Adamu 21 anni fa soffocata dalla polizia durante una deportazione!

Allarmatx del trattamento disumano inflitto almeno a due donne sotto forma di brutalità da parte delle forze dell’ordine durante i tentativi di espulsione, abbiamo visitato Holsbeek, un centro fermé (CPR) per sole donne aperto nel luglio 2019. Si tratta di un ex hotel situato alla fine di una zona industriale. Attualmente 28 persone sono detenute lì dentro per una capacità massima prevista di 58.

Incontriamo una donna che è stata rinchiusa per diverse settimane e che spiega che è stata arrestata dalla polizia alle 6 del mattino. Sorpresa, consegna alle guardie la sua “carta arancione” valida ancora per 4 mesi e il suo passaporto. Pur essendo la madre di un bambino di 6 anni, viene portata via senza ricevere alcuna motivazione o documento che indichi i motivi dell’arresto. Nessun interprete o avvocato in questa fase. Da allora, 1/10/2019, non ha più visto suo figlio. La sua storia è costantemente interrotta da lacrime e silenzi, si trova in uno stato psicologico deplorevole, racconta gli atti di violenza avvenuti durante il tentativo di espulsione all’aeroporto di Charleroi il 18 ottobre 2019. Portata in manette alla stazione di polizia dell’aeroporto, le guardie le hanno detto “devi andare a casa”. Ma lei non voleva essere deportata e piangeva. Allora si sente male, cade a terra, “cinema marocchino” le dicono le guardie mentre la prendono a calci. In lacrime lei dice che ha un figlio ma questo non cambia il trattamento violento inflitto dalle guardie che continuano a picchiarla ripetendo “sei solo una bambinona”. I tre poliziotti maschi continuano a tenerla ammanettata e si accorgono che c’è una telecamera nella stanza, per questo escono e continuano a umiliarla ridendo dall’altra parte della porta mentre lei è ancora a terra. L’autista del centro di detenzione ha assistito alla scena. Tracce di violenza e della brutalità sono visibili sul suo corpo. Ci dice che è stata colpita anche in faccia. Siamo stati in grado di osservare i lividi. Da allora non è più capace di mangiare. In uno stato psicologico molto preoccupante, è crollata in lacrime, soprattutto al ricordo di suo figlio. Ha paura che la polizia lo arresti a scuola.

Questa storia descrive l’estrema brutalità che le guardie si divertono a perpetrare senza conseguenze per loro. Esercitata liberamente, questa violenza contro una persona che si trova in una situazione di estrema vulnerabilità, a terra, è accompagnata da dichiarazioni sprezzanti e offensive. Tutto ciò può essere descritto come tortura. Continua a leggere

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Francia – Rivolte e incendi nei CRA di Mesnil-Amelot e Plaisir, fughe dal CRA di Nizza

Traduzione da: A bas les CRA

La prigione per persone senza documenti di Mesnil-Amelot si trova proprio accanto all’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi. Qui ci sono più di 230 persone recluse ed è anche l’unica prigione della regione parigina per donne senza documenti. Dalla creazione di questo blog lo scorso novembre, abbiamo spesso raccontato le lotte collettive e le rivolte che hanno avuto luogo lì, e anche la violenza della polizia, le deportazioni “nascoste” e violente, il razzismo delle guardie. Questa è almeno la terza volta quest’anno che i prigionieri del CRA2 cercano di danneggiare la macchina delle espulsioni tentando di bruciare le celle.
Questo lunedì 28 ottobre, nelle prime ore della sera, in tre edifici (9, 10 e 11) sono stati appiccati ​​gli incendi. L’edificio 10 è il più colpito. I pompieri sono intervenuti (troppo) rapidamente e hanno ritenuto che si possa continuare a rinchiudere le persone senza pericolo per la loro salute. Il risultato è che i prigionieri degli edifici interessati si trovano a dormire in quelle stesse celle che hanno bruciato, senza materassi né coperte. La repressione è già iniziata: due prigionieri sono stati portati in isolamento (e potrebbero essere messi in custodia). Uno di loro è stato riconosciuto da una guardia del CRA perché lo aveva già picchiato l’anno scorso.
Un prigioniero fa sapere che: “Oggi le guardie sono molto eccitate. Stanno cercando chi è stato. Ma non lo sanno. La direzione del CRA ha detto che ci vorrà fino a giovedì per la bonifica. Ma nulla è iniziato. Come punizione, non ci danno nessuno shampoo o gel doccia. Ma già ieri, prima dell’incendio, non c’era lo shampoo.
Presto comunicheremo aggiornamenti.

Come promemoria: questa domenica sera, una cella è bruciata anche nel centro di detenzione di Plaisir.

Forza e solidarietà con tutti i prigionieri!

Nizza- Tripla evasione dal centro di detenzione

Traduzione da: Sans attendre demain

Leggendo la stampa questo martedì 29 ottobre, apprendiamo che tre persone prive di documenti sono fuggite dal centro di detenzione di Nizza il 1 ° ottobre. Sono riusciti a fuggire rubando le chiavi agli sbirri incaricati di rinchiudere i migranti privi di documenti nella caserma di Auvare, che funge da CRA. Due di loro sono ancora in fuga! Continua a leggere

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Belgio – “Ieri sono stata torturata dalla polizia belga”. Il racconto di una deportazione

Traduzione da: Getting the voice out

Il 21 ottobre T. ha subito un secondo tentativo di “espulsione”. La domanda d’asilo che aveva inoltrato nel 2015 è stata rigettata. Da quattro anni, tuttavia, T. ha una relazione e da due vive nelle Fiandre. La coppia ha inoltrato una domanda di matrimonio da qualche tempo. Nonostante però il dossier fosse ancora incompleto il Comune ha deciso di considerare questo matrimonio come “bianco” e ha inviato le guardie presso il domicilio con un mandato di arresto e di trasferimento nel lager per sole donne di Holsbeek.

Qui la sua testimonianza audio (EN) di quanto avvenuto durante la seconda deportazione. T. è stata vittima di violenza e tortura da parte delle guardie che la “scortavano”.

“Ieri sono stata torturata dalla polizia belga su un aereo della SN Brussels Airlines alle 11. Mi hanno schiacciato la testa sul sedile. Erano quattro poliziotti e una poliziotta. Ogni volta che urlavo per chiedere aiuto, mi stringevano la bocca, mi tappavano la bocca e mi torturavano ancora di più. Sono stata torturata veramente, mi tappavano il naso. Sono stata trattata come un animale, mi hanno picchiato molto forte, mi hanno stretto il collo e la gola. Non potevo urlare. Sono stati il pilota e il personale di bordo che sono venuti in mio aiuto. Mi fa troppo male il corpo. Ho talmente tanti dolori che non sono riuscita a dormire la notte scorsa.

Mi hanno strappato la biancheria intima, mi hanno strappato i pantaloni, sono stata torturata e picchiata. E mi hanno detto che la prossima settimana mi porteranno su un volo marocchino e mi tortureranno. È così che funziona. Ho tanta paura, ho bisogno di aiuto e chiedo il vostro aiuto.

Volevano sedarmi. Mi hanno detto che, dato che sono molto forte, la settimana prossima mi metteranno su un volo e mi faranno un’iniezione per rendermi debole e dormire. È quello che fanno a tutti quelli dentro il centre fermé. Poi ti portano all’aeroporto. La prima volta ti riportano indietro. Ti prendono la seconda volta e ti riportano indietro. La terza volta allora ti sedano. E ho tanta paura. Ho qui la mia amica, viene dal Marocco e forse potete parlarle, parla arabo.” Continua a leggere

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Malta – Rivolta e incendi nel centro di detenzione di Hal Far

Una nuova rivolta è avvenuta domenica 20 ottobre, alle dieci di sera, nel centro di detenzione di Hal Far a Malta.

Nel lager e nell’adiacente centro di accoglienza, situati in un’ex caserma britannica dell’isola, vicino all’aeroporto, sono segregate circa 1.400 persone. Secondo le persone recluse la protesta è iniziata a causa delle violenze delle guardie contro alcune persone. Sono state lanciate pietre e appiccati diversi incendi ad alcune strutture tra le quali l’ufficio dell’AWAS (Agency for the Welfare of Asylum Seekers, l’agenzia statale che gestisce il centro) e 5 auto dei dipendenti. Gli operatori dell’AWAS sono fuggiti e i rivoltosi hanno preso il controllo del centro fino alle 23.30, quando sono arrivati i rinforzi di polizia e le unità di intervento rapido in assetto antisommossa. Gli scontri sono continuati e 3 auto della polizia sono state danneggiate. Verso le 4 di notte la protesta è stata repressa.

Questa mattina un numero ancora più ingente di poliziotti in assetto antisommossa, circa 200, ha effettuato un’irruzione nel campo di concentramento, tra grida e pianti delle donne presenti, arrestando almeno 75 persone accusate di aver partecipato alla rivolta, portate via ammanettate con i bus verso gli uffici centrali della polizia.

Dopo la polizia è arrivato nel lager il personale del dipartimento della protezione civile e ha condotto dei controlli in ogni cella.
Ad alcuni migranti è stato ordinato di lasciare i locali con le loro cose. Sono stati scortati fuori da un contingente di polizia, non si ancora verso dove.

A Malta i centri di detenzione sono tutti sovraffollati, migliaia di persone sono recluse da mesi, molte in attesa di un ricollocamento in altri paesi europei, malgrado la legge preveda la reclusione nei centri di detenzione per un massimo di 10 settimane.
Proprio oggi un tribunale maltese ha dichiarato illegale la detenzione di 6 richiedenti asilo, reclusi per più di 3 mesi nel lager di Hal Safi.
I loro avvocati avevano sostenuto che la detenzione continuata non era semplicemente una “limitazione della libertà di movimento” ma una flagrante privazione della loro libertà personale. I richiedenti asilo hanno raccontato come, immediatamente dopo il loro salvataggio in mare, erano stati interrogati da funzionari di polizia, senza l’assistenza di un interprete, e portati al centro di detenzione, dove i loro beni personali erano stati confiscati. Gli è stato quindi consegnato un documento che limitava il loro movimento affermando che c’erano “motivi ragionevoli” per sospettare che fossero portatori di una malattia contagiosa e che quindi richiedessero uno screening medico.
I richiedenti furono sottoposti a una scansione del torace in un centro sanitario, ma non furono mai informati dei risultati di quei test. Nel frattempo, avevano presentato domanda di asilo, rendendo la loro presenza a Malta “regolare e lecita”. Nonostante ciò, tuttavia, hanno continuato a essere detenuti nella caserma Safi. Ogni volta che venivano trasportati per andare al centro sanitario o all’Ufficio del Commissario per i rifugiati, venivano ammanettati.

Video dall’interno:

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Torino – 26/10 Presidio al CPR di Corso Brunelleschi

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Aggiornamenti sulla repressione delle azioni di solidarietà al confine Francia – Italia

fonte: Passamontagna

La settimana scorsa, un compagno italiano mentre lavorava in vendemmia in Francia si è trovato gli sbirri tra le vigne. Due gendarmi e due in borghese l’hanno prelevato per fargli delle domande e notificargli una denuncia per manifestazione non autorizzata e resistenza. I fatti risalgono al 22 settembre 2018, nel comune di Monginevro (Francia).
Di fatto è stata una GAV (un fermo) durato 4-5 ore, dove l’amico è stato interrogato sulla presunta organizzazione della giornata e sui partecipanti.
Il compagno non ha risposto a nessuna domanda ed è stato rilasciato dopo qualche ora perché senza abbastanza elementi per detenerlo. L’unica cosa che avevano su di lui era qualche foto nel corteo a viso scoperto per i sentieri del Monginevro.

SULLA COLLABORAZIONE TRA POLIZIE
Già da questa estate la collaborazione tra la polizia italiana e quella francese per la repressione della lotta in frontiera ha avuto degli sviluppi. La polizia italiana va a prendersi le persone respinte perché “senza  documenti” direttamente nella caserma della PAF francese, cosa mai successa prima.
E, con questo fermo, si confermano le non nuove amicizie tra le guardie. Pare che le foto del compagno fermato le abbia direttamente passate la Digos alla polizia francese. Così come alcuni nominativi.

Poco altro da dire. È abbastanza probabile che questo fermo sia parte di un indagine più grande su quella giornata.

RICORDIAMO A TUTTI CHE:
In stato di fermo (Garde a vue)
– Qualsiasi cosa che dici può essere usata contro di te e soprattutto contro gli altri. Avvalersi della facoltà di non rispondere (che è un tuo diritto ) è spesso l’idea migliore.
Qualsiasi foglio ti presentano,  puoi anche rifiutare di firmarlo.
– Spesso durante il fermo viene chiesto fotosegnalamento e impronte. Vi è la facoltà di opporvisi anche se costituisce reato. In Francia non le prendono con la forza come in Italia.
– È tuo diritto chiamare un avvocato (soprattutto in caso di arresto)

Oggi a Grenoble si e‘ tenuto il processo a Keke e il 24 ottobre si terra’ quello di Pierre, entrambi accusati di “aide a la rentree de clandestins” (favoreggiamento all’immigrazione clandestina) perché fermati con a bordo persone “senza documenti”tra Claviere e Briancon.
Un altro processo meramente “politico” che cerca di abbattere la solidarietà attiva del brianconnese.

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Francia – Intervista ai/alle Gilets Noirs

Fonte
Intervista a cura di Plateforme d’Enquêtes Militantes, qui trovate l’originale in francese.

I Gilets Noirs non sono un collettivo, ma un movimento! Archeologia di una lotta antirazzista

Nati contemporaneamente ai Gilets jaunes, in pochi mesi il movimento dei Gilets Noirs si è imposto come uno spazio di coordinamento e di lotta autonoma per numerose persone sans-papiers (irregolari in Francia), abitanti affittuari di foyer dell’ile-de-France o persone senza tetto. Dopo diverse azioni di forza organizzate insieme al collettivo la Chapelle Debout e destinate a ottenere una regolarizzazione collettiva negoziando con la prefettura, il movimento ha deciso di rivolgersi direttamente al primo ministro e di dare avvio a una campagna di azioni, che puntano a svelare e destabilizzare il sistema che, dall’illegalizzazione fino all’espulsione, passando per lo sfruttamento sul lavoro, produce persone sans-papiers. In questa intervista, discutiamo insieme ad alcuni attori del movimento — due referenti dei foyers in lotta (B. e K.) e due membri della Chapelle Debout (D. e V.) che hanno preferito restare anonimi — sulla genesi del movimento, la sua strutturazione e la sua ambizione a ridefinire la grammatica della lotta dei sans-papiers.

-PEM: Potete tornare all’inizio e ripercorrere la genesi di questo movimento dei Gilets Noirs

-V.: A novembre 2018, all’inizio, nessuno sapeva che i Gilets Noirs sarebbero diventati questo, abbiamo “superato” noi stessi. Abbiamo cominciato a mobilitare con l’idea di riaprire le porte della prefettura, e ha funzionato. Il 23 novembre, durante una prima azione che consisteva nell’occupare il Museo nazionale di storia dell’immigrazione, eravamo molto più numerosi del previsto… Abbiamo fatto una seconda azione alla Comédie française, il 16 dicembre, e siamo riusciti a ottenere un appuntamento in prefettura.

-B.: Grazie a questa azione, abbiamo visto che il meccanismo aveva successo. Abbiamo creato dei gruppi nei foyer e scelto dei referenti per allargare e strutturare la mobilitazione. I referenti andavano di foyer in foyer per parlare con gli altri e mobilitare. È importante questa comunicazione, poiché qui, quando sei senza documenti, non sai quali sono i tuoi diritti. Ora siamo almeno 1500 persone. All’epoca dell’appuntamento ottenuto con la prefettura, a dicembre 2018, il questore ha accettato di dare una risposta favorevole a 30 domande di regolarizzazione ogni mese. Ma queste 30 domande sono ancora là, nessuna ricevuta né niente. La prefettura gioca con noi, ci dice: ci vediamo tutti i mesi, poi è ogni tre mesi e in realtà… appena l’appuntamento arriva, lo rimandano. Quindi continuiamo la lotta. Quindi, siamo tornati nei foyer per mobilitarci di nuovo, abbiamo anche partecipato alla Marcia della Solidarietà il 16 marzo… A titolo personale, prima non mi ero mai mobilitato perché avevo paura vista la mia condizione, non avevo fiducia nelle persone. Da quando ho incontrato la Chapelle Debout e poi grazie a queste mobilitazioni, non abbiamo più paura e non perdiamo più! Perdevamo sempre, oggi non perdiamo più e i foyer adesso hanno fiducia in noi. Quindi non molleremo. Possiamo avanzare delle rivendicazioni anche perché cominciamo a conoscere i nostri diritti. Prima, come persona sans-papiers, non sapevo neanche se avevo diritto all’assistenza medica e la polizia poteva farmi credere qualsiasi cosa, ma dopo questa mobilitazione so che cosa ho diritto di fare: ho diritto alla solidarietà, all’assistenza medica… Prima non cercavo niente, non chiedevo aiuto allo Stato, parlano di “diritti dell’uomo” ma per i sans-papiers è “diritto alla prigione”. Quando sei sans-papiers, i diritti dell’uomo non ti riguardano, anche quando paghi le tasse, ti comporti bene. Se chiedi l’asilo, ricevi un decreto di espulsione. Qui se chiedi l’asilo e te l’hanno già respinto, ti rispediscono a casa tua.

-D.: Dopo questo primo appuntamento alla prefettura, abbiamo fatto delle assemblee, in particolare a Montreuil, alla Parole Errante, dove eravamo 700 persone. Un’assemblea in 5 lingue, per decidere la strategia. Abbiamo fatto altre riunioni in tutti i foyer affinché i dossiers [per le domande d’asilo NDT] fossero scelti tutti insieme, e non secondo i criteri della prefettura, ma sulla base di una decisione collettiva. Volevamo che un dossier di qualcuno che era arrivato da due mesi fosse trattato come quelli delle persone che sono qui da 22 anni. Per accompagnare la delegazione del 31 gennaio, che era composta da due Gilets Noirs e un membro della Chapelle Debout, abbiamo organizzato una grande manifestazione che partiva dalla Comédie française fino alla prefettura. Eravamo 1500, abbiamo corso fino alla prefettura, c’era un cordone di CRS [celerini francesi NDT] che ha avuto paura e ha bloccato la porta dalle 15 alle 19. Il 31 gennaio, 1500 persone sono corse verso la prefettura e l’hanno bloccata per 4 ore. Durante questo appuntamento, abbiamo consegnato dei testi per denunciare il razzismo di stato e più in generale le condizioni di accoglienza. L’abbiamo fatto per uscire dal quadro burocratico classico, e portare un contenuto politico.

-K.: Per me la prima partecipazione a un evento con la Chapelle Debout è stato il 31 gennaio, quando la prefettura ha dato l’appuntamento al collettivo per tenere fede alla promessa che ci avevano fatto: regolarizzare trenta persone per mese. Non è stato fatto. La Chapelle Debout ci ha detto che bisognava che “ci allacciassimo le cinture”: affinché mantenessero la loro promessa, dovevamo moltiplicare le azioni, le manifestazioni e le occupazioni. È stato allora che ho cominciato a lavorare con il collettivo la Chapelle Debout, che mi sono integrato e che sono diventato referente nel mio foyer. Prima avevo notato che c’erano dei collettivi di solidarietà ai sans-papiers, nel foyer c’erano dei manifesti, degli sportelli aprivano il sabato, ma non mi ci ero mai davvero interessato. A. mi ha contattato per organizzare delle riunioni e mobilitare il foyer, è stato allora che ho sentito che diventavo utile per il movimento. La prima volta in cui ho realmente partecipato, è stato quando siamo andati all’aeroporto per impedire la deportazione di un sudanese; ci siamo riusciti ed è stato allora che mi sono detto è ora di “allacciare la cintura”. Non avevo nessuna esperienza prima, anche al di fuori della Francia. Ho sempre detestato la politica, perché nel mio paese i politici sono tutti dei razzisti, i bravi leader vanno in prigione. O stai zitto e segui i politicanti, oppure finisci in prigione. Il leader della Mauritania è attualmente accusato di corruzione. Ora, è diverso: nel paese dei diritti dell’uomo, anche se non rispettano ciò che dicono, si vergognano di ciò che fanno. Grazie alla libertà di espressione, posso andarmene al palazzo dell’Eliseo a dire quello che penso a Macron, e non verrò arrestato (risate). Da noi quando si apre la bocca, ci si fa torturare, quindi non diventerò un oppositore con il rischio di perdere tutto. Nessuno vi ascolta e si finisce sconfitti. Qui, se conosci i tuoi diritti e li rivendichi, hai una possibilità di ottenere ciò che ti spetta.

-V.: Dopo questo prima consegna di dossier alla prefettura, uno solo è stato accettato, quello di un compagno che era in Francia da 22 anni e il cui dossier era stato rifiutato tre volte in precedenza. Abbiamo deciso di colpire più in alto ma ci ha richiesto un’organizzazione interna più strutturata. Per qualche mese, abbiamo imparato a farci fiducia accumulando le “piccole” azioni, come delle azioni anti-deportazione, la partecipazione alla manifestazione contro il razzismo di Stato del 16 marzo e quella davanti alla prigione per persone straniere di Mesnil-Amelot vicino a Roissy. È stato necessario per essere poi capaci di fare delle efficaci azioni di massa, illegali, offensive — potremmo persino dire violente, perché l’offensiva politica non si riduce a spaccare le vetrine, essere 500 persone sans-papiers che occupano gli sfruttatori è offensivo. Abbiamo lanciato una campagna, “I Gilets Noirs cercano un Primo Ministro”. La prima azione pubblica di questa campagna, il 19 maggio 2019 all’aeroporto Roissy-Charles-de-Gaulles, è circolata molto. 500 sans-papiers in un aeroporto, non per fare le pulizie ma per battersi, è potente. Ne hanno molto parlato, ha dato coraggio a tutti quelli che considerano l’aeroporto come lo spettro della frontiera e che si sono riappropriati di questo spazio con determinazione. La paura scompare: nessun arresto, blocco effettivo dell’aeroporto … All’interno emergeva anche la questione del lavoro, quindi abbiamo deciso di colpire gli attori del razzismo di Stato: le imprese che lavorano nei CRA, nelle prigioni…

-PEM: Come vi siete organizzati concretamente all’inizio? E come si sono evolute le forme di organizzazione? Continua a leggere

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Caltanissetta – Rivolta e resistenze continue contro le deportazioni nel CPR di Pian del Lago

Nella notte tra domenica e lunedì le persone recluse hanno dato vita a una nuova rivolta nel CPR di Pian del Lago a Caltanissetta, in vista di una delle due deportazioni verso la Tunisia previste settimanalmente. Circa 70 reclusi verso l’una di notte hanno cominciato a danneggiare il lager per cercare di renderlo inservibile: muri di separazione abbattuti, finestre divelte, arredi distrutti.
La protesta è durata almeno due ore ed è stata repressa da polizia e carabinieri in assetto antisommossa ricorrendo anche a pericolosissimi lanci di lacrimogeni negli ambienti chiusi del centro di detenzione.

La Questura ammette che le “proteste come quelle dell’altra notte sono ormai una consuetudine perché scattano ogni volta che si prefigura il rimpatrio”.

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