Un’altra persona uccisa dalla frontiera

fonte: Chez JesOulx

(Francaise en bas)

Un altro morto.
Un’altra persona uccisa dalla frontiera e dai suoi sorvegliatori.
Un altro cadavere, che va ad aggiungersi a quelli delle migliaia di persone che hanno perso la vita al largo delle coste italiane, sui treni tra Ventimiglia e Menton, sui sentieri fra le Alpi che conducono in Francia.

Tamimou Derman, 28 anni, originario del Togo. Questo è tutto quello che sappiamo per ora del giovanissimo corpo trovato steso al lato della strada tra Claviere e Briancon. Tra Italia e Francia. È il quarto cadavere ritrovato tra queste montagne da quando la Francia ha chiuso le frontiere con l’Italia, nel 2015. Da quando la polizia passa al setaccio ogni pullman, ogni treno e ogni macchina alla ricerca sfrenata di stranieri. E quelli con una carnagione un po’ più scura, quelli con un accento un po’ diverso o uno zaino che sembra da viaggiatore, vengono fatti scendere, e controllati. Se non hai quel pezzo di carta considerato “valido”, vieni rimandato in Italia. Spesso dopo minacce, maltrattamenti o furti da parte della polizia di frontiera.

Giovedì è stato trovato un altro morto. Un’altra persona uccisa dal controllo frontaliero, un’altra vita spezzata da quelle divise che pattugliano questa linea tracciata su una mappa chiamata frontiera, e dai politicanti schifosi che la vogliono protetta.
Un omicidio di stato, l’ennesimo.
Perché non è la neve, il freddo o la fatica a uccidere le persone tra queste montagne. I colpevoli sono ben altri. Sono gli sbirri, che ogni giorno cercano di impedire a decine di persone di perseguire il viaggio per autodeterminarsi la loro vita. Sono gli stati, e i loro governi, che di fatto sono i veri mandanti e i reali motivi dell’esistenza stessa dei confini.

Un altro cadavere. Il quarto, dopo blessing, mamadu e un altro ragazzo mai identificato.
Rabbia e dolore si mischiano all’odio. Dolore per un altro morto, per un’altra fine ingiusta. Rabbia e odio per coloro che sono le vere cause di questa morte: le frontiere, le varie polizie nazionali che le proteggono, e gli stati e i politici che le creano.
Contro tutti gli stati, contro tutti i confini, per la libertà di tutti e tutte di scegliere su che pezzo di terra vivere!

Abbattiamo le frontiere, organizziamoci insieme! Continua a leggere

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Torino – Qualcos’altro con cui sporcarsi le mani

fonte: macerie

Per tutta la notte, incessantemente, su c.so Brescia si sono sentiti i rumori dei lavori dentro a via Alessandria 12. Operai solerti, protetti dopo più di due giorni da un esercito blu che ha circoscritto una zona rossa, murano, sigillano, bruciano i mobili.
Si sta costruendo la “normalità” del quartiere, proprio quella di cui la sindaca Appendino ha scritto congratulandosi con Questura e le forze dell’ordine, la “giustizia fatta” di cui twitta il ministro Salvini riferendosi agli arresti di sei compagni con l’accusa di associazione sovversiva.

Aurora, una lingua di terra tra il centro e la vasta periferia nord, non è un posto facile in cui vivere, non lo è per nulla, e paradossalmente lo è di meno in questi ultimi anni in cui il tessuto sociale, tendenzialmente omogeneo e povero di cui era composta la popolazione che ci viveva, ha iniziato a variare. La borgata operaia è solo un lontano ricordo, quella Torino non esiste più e si perde nel cambiamento dei metodi di sfruttamento che prendono il nome di economia: chi vive qui, spesso senza salario stabile, è calato tutti i giorni in una guerra endemica e atroce per la sopravvivenza, chi perché straniero senza i documenti in regola, chi perché impoverito precipitosamente dalla sottrazione dei servizi sociali, chi a rischio di perdere la casa e il lavoro. Sono le condizioni materiali che dettano questa guerra e qui, ad Aurora, si sentono sempre più terribili i suoi rimbombi proprio da quando la grande economia urbana vi ha riposizionato il suo occhio, dopo che la mano aveva lasciato i ruderi delle fabbriche a trasformarsi in spettri. All’arrivo dei dirigenti Lavazza, passando per scuole di pregio e i poli di street-food e le novelle start-up, giornali e amministratori locali hanno iniziato una spasmodica narrazione della zona: “Aurora sta cambiando, arriva il futuro e la ricchezza!”. Qualche abitante ha scorto la possibilità di vedere la propria casa valorizzata, qualche imprenditore ha pensato di aprire una nuova attività in loco, altri personaggi danarosi da quartieri lontani hanno alzato i prezzi degli affitti. Ed ecco che il discorso contro i poveri si è acuito, è diventato insopportabile: “cacciate chi non paga l’affitto!”, “via gli anarchici che fanno casino”, “che tornino al loro paese, sono solo spacciatori”.
I livelli della guerra sono tanti, quelli che si giocheranno nelle città nei prossimi anni per due lire e un tozzo di pane saranno sempre più intensi.
All’Asilo per tanti anni abbiamo provato a guardarla in faccia questa guerra, vederne il volto di un umano sfigurato, e provare ad agire per scompaginarla, cercando di creare legami di solidarietà tra chi ha meno, proponendo e utilizzando la lotta contro chi decide l’altrui destino avendo la sicurezza monetaria di non rimetterci il proprio.
Dalla resistenza agli sfratti a tutto il sostegno possibile nella distruzione delle prigioni per migranti, abbiamo fatto ciò che abbiamo potuto, mai abbastanza per cercare di contrastare questo mondo di miseria e sfruttamento.
E lo Stato e venuto a prenderci più volte, con le sue guardie. Ora è arrivato ancora più in forze, con accuse pesanti contro nostri compagni e sgomberando l’Asilo.
Ce lo aspettavamo, perché nelle nostre vite abbiamo deciso di squarciare il velo di innocenza sporcandoci le mani per qualcos’altro, una bellissima e colpevole esigenza di uguaglianza e libertà.

Hanno arrestato sei compagni, hanno sgomberato via Alessandria 12.

Il nostro odio e la nostra rabbia non si possono pesare, ma una cosa la sappiamo bene: ora più che mai hanno tutta la città per esprimersi.

SILVIA, NICCO, LARRY, BEPPE, ANTONIO E GIADA LIBERI! TUTTI LIBERI!

 9 febbraio 2019

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Torino – Sabato 9 febbraio corteo contro lo sgombero dell’Asilo e gli arresti

Fonte: Macerie

Sei compagni sono in carcere per l’art. 270.

Alcuni solidali nei cortei spontanei di ieri sono stati arrestati.

L’Asilo di via Alessandria dove per anni si è incessantemente provato a lottare contro questo mondo di miseria, reclusione e sfruttamento è stato sgomberato.

Ma non finisce qui, non è una promessa, è la nostra vita.

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San Ferdinando (RC): dopo l’incontro di venerdì scorso arrivano le intimidazioni agli abitanti della tendopoli

Ancora un episodio di intimidazione verso le/gli abitanti della tendopoli che si autorganizzano per lottare per documenti, case e contratti.

Lo scorso venerdì 1° febbraio nel corso di un’assemblea presso la sala comunale di San Ferdinando è stato fondato un “comitato per il recupero delle case vuote” alla presenza dei sindaci dei paesi limitrofi, rappresentanti della regione Calabria, dei sindacati e partiti come USB e Potere al Popolo, delle associazioni e di volti noti dell’antirazzismo “democratico” tra i quali Mimmo Lucano, Alex Zanotelli e don Pino De Masi. Tra le tante parole mancavano proprio quelle delle persone che vivono e lavorano nelle tendopoli della Piana di Gioia Tauro: nessunx di loro era stata consultata o invitata né era previsto un loro intervento. Tuttavia un abitante della tendopoli si è conquistato la parola  inchiodando tutti alle loro responsabilità, mentre nel frattempo veniva distribuito un volantino a tutti i presenti per riportare la voce ignorata di chi vive in tendopoli. Nell’intervento il compagno ha anche ricordato che le case ci sono, non vanno cercate o riqualificate, sono pronte all’uso e i fondi erano stati stanziati specificatamente per gli immigrati che vivono e lavorano nella Piana. Qualche giorno dopo la stessa persona è stata convocata al Comune e ha subito una chiara intimidazione. Non è la prima volta: le persone della tendopoli da lungo tempo raccontano delle continue vessazioni e minacce da parte delle autorità e lo scorso luglio erano scese in strada in corteo per ricordare la “repressione da parte delle forze dell’ordine contro di noi e contro chi ci sta vicino”. Diverse sono state le denunce, condanne e fogli di via comminati negli ultimi tempi contro chi supporta l’autorganizzazione nella tendopoli, nel silenzio generale delle realtà che partecipano ai teatrini istituzionali e alle comparsate mediatiche, in sostituzione e sulla pelle degli/delle esclusx.

Fonte: Campagne in lotta

L’abitante della tendopoli che venerdì scorso aveva denunciato ancora una volta l’ipocrisia di istituzioni, sindacati e associazioni rispetto alla gestione della questione abitativa, domenica sera è stato convocato da un funzionario del comune che si é recato direttamente alla tendopoli per ‘invitarlo’ ad un incontro al Comune di San Ferdinando il giorno successivo. Qui si è trovato davanti 6 uomini. Ne conosceva solo uno, che lavora nel comune, gli altri 5 non si sono mai qualificati, neanche quando è stato chiesto loro di farlo. La conversazione è stata molto breve e queste persone hanno chiesto più volte all’abitante: chi ti ha mandato a fare l’intervento venerdì? per chi lavori? chi ti paga? cosa vuoi? voi della tendopoli cosa volete? Insomma, una chiara intimidazione!

Lo stesso giorno, sempre al Comune di San Ferdinando, si è tenuto l’ennesimo incontro tra il sindaco, il Prefetto di Reggio Calabria e le forze dell’ordine, nel corso del quale il prefetto ha comunicato ai giornalisti presenti le difficoltà incontrate nello sgomberare la famosa tendopoli. Certo è difficile pensare che delle persone che hanno solo quel luogo per vivere e per lavorare lo lascino in assenza di reali alternative abitative. Quelle proposte sino ad ora sono assurde (andare a vivere in un centro Sprar per 6 mesi massimo, ovviamente senza poter scegliere dove, in comuni sparsi in tutta Italia! e solo per i titolari di alcuni tipi di permesso di soggiorno…) o irrealizzabili (utilizzo dei beni confiscati e l’annunciazione di un fondo di garanzia per gli affitti calmierati!). E infatti ieri l’ennesimo tentativo di censimento delle persone che vivono in tendopoli è stato del tutto ignorato. In realtà, come è stato già raccontato, delle case vere a Rosarno ci sono e sono state costruite con fondi europei dedicati proprio ai lavoratori immigrati (!). Si tratta di 6 palazzine nuove, che possono ospitare 250 persone, in contrada Serricella. Ma ovviamente di quelle nessuno parla… come mai?

Oltre a esprimere la nostra piena e incondizionata solidarietà e vicinanza alla persona che è stata minacciata e a tutti coloro che resistono e lottano nei campi di Stato, ribadiamo che GLI ABITANTI DELLA TENDOPOLI SONO STANCHI DI ASCOLTARE BUGIE E FALSE PROMESSE, NON SARANNO MINACCE E INTIMIDAZIONI A FERMARCI! MA C’È BISOGNO DI PIÙ VICINANZA REALE A QUESTE PERSONE E MENO PROCLAMI!

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Caltanissetta – Protesta e tentativo di evasione dal CPR di Pian del Lago

Nelle ultime ore una ventina di reclusi ha attuato ancora una volta una protesta arrampicandosi sui tetti dei padiglioni nel CPR di Pian del Lago. Hanno poi provato ad evadere, come lo scorso dicembre, scalando la recinzione esterna del lager di stato ma sono stati fermati dall’intervento di polizia, carabinieri e guardia di finanza. Secondo quanto riporta l’articolo che ha diffuso la notizia, ci sarebbero danni alla struttura, dove da ieri erano in corso lavori per far fronte ai recenti danneggiamenti.

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Cantone Ticino – Una storia che non viene raccontata, perché troppo scomoda

fonte: frecciaspezzata 

[Prima parte]

In questi giorni in Ticino sono stati fatti vari fermi a persone di origine magrebina per costringerli al rimpatrio. Tra questi un caro amico, che da anni vive in situazioni aberranti, perché considerato illegale. X è ritenuto irregolare in quanto non possiede un documento d’identità, e perché all’epoca, anni 2000, quando fece domanda d’asilo gli fu negata.
Eppure, se dovesse ritornare nel suo paese rischia di essere imprigionato per anni, subendo trattamenti di tortura. Di fatto X vive da almeno 10 anni sul territorio Ticinese tra alberghi/pensioni riciclati come case di accoglienza, controllate da sbirri, tra bunker e carceri, con l’unica colpa di essere “clandestino”.

Questa condizione di vita, senza documenti senza un lavoro e senza un luogo in cui vivere dignitosamente, lo ha portato in tutti questi anni ad essere a carico dello stato, accumulando un debito, che non può saldare perché non autorizzato a lavorare.
Ironia della sorte, questo limbo in cui è stato costretto a sopravvivere in questi anni, lo ha portato ad essere considerato non collaborante e ad essere imprigionato più volte.

Nemmeno il legame con la compagna conosciuta in Svizzera, da cui ha avuto anche un figlio, è stato considerato come possibilità per avere un permesso.

Ora il sistema migratorio autoritario e disumano della Svizzera, vuole costringere il nostro amico a tornare nel suo paese e per far questo lo ha imprigionato. Non ci sono, infatti, accordi tra la Svizzera e il suo stato d’origine in base ai quali potrebbe essere rimpatriato forzatamente.

Il fermo che sta subendo è finalizzato unicamente a costringerlo ad accettare il rimpatrio in forma “volontaria”.

Come il nostro compagno in questi anni ha lottato per salvaguardare i diritti delle persone che si trovano nella sua stessa condizione, i diritti delle donne e degli emarginati, così noi ora vogliamo sostenere con la stessa sensibilità, solidarietà e umanità, lui e la sua causa.

Dopo due giorni in cui non avevamo più notizie, come scritto nel sito del DI, l’unica struttura dove poteva essere stato incarcerato è la Farera e perciò oggi siamo andati sotto il carcere a manifestargli la nostra solidarietà, come avrebbe fatto lui per noi.

Libertà per tutti e tutte!

Alcunx solidali

[Seconda parte]

Alcuni giorni fa abbiamo raccontato la storia di un caro amico. H. è dovuto fuggire dal proprio paese e se ci dovesse tornare, verrebbe imprigionato e subirebbe torture e altre vessazioni.
Appena arrivato in Svizzera, attorno al 2005, H. inoltra regolare domanda d’asilo, che viene subito respinta. H. è ritenuto irregolare in quanto non è in possesso di un documento di identità. Ma al contempo, non può neppure in nessun modo recuperare il suo passaporto. Continua a leggere

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Caltanissetta – Rivolta contro le deportazioni nel CPR di Pian del Lago

Nei CPR intorno ai quali non è attiva una presenza solidale di compagnx, si riesce ormai a sapere delle continue resistenze e rivolte solo incidentalmente, attraverso qualche articolo di stampa che riporta la propaganda razzista contro l’insubordinazione dei reclusi. È il caso del CPR di Pian del Lago a Caltanissetta, riaperto in gran silenzio nel mese di dicembre, già teatro di un tentativo di evasione collettiva il 28 dicembre.
Mercoledì 23 gennaio sarebbe avvenuta una rivolta dei detenuti (in gran parte tunisini) contro le deportazioni. Nelle poche immagini diffuse si vedono danneggiamenti alla struttura, e nelle dichiarazione di un deputato leghista in visita, due giorni dopo, nel centro, si parla di un duro intervento repressivo, di forti scontri con lancio di pietre contro le forze dell’ordine che lamentano tre feriti, di cui uno con un braccio fratturato. Sempre secondo la stessa fonte nel lager di stato dal 1° gennaio sono transitate 159 persone e di queste ben 90 sono state deportate.

Non sappiamo con certezza (ma è molto probabile), se tra queste ci sono i 30 tunisini, sbarcati autonomamente a Lampedusa nei giorni precedenti, reclusi nell’hotspot, e trasferiti in Sicilia a Porto Empedocle il 22 gennaio. Secondo i dati del ministero degli Interni il 25 gennaio, per la prima volta nel 2019 sono più numerose le deportazioni, i respingimenti e gli “accompagnamenti” alla frontiera (636, di cui 221 rimpatriati con accompagnamento alla frontiera) che le persone sbarcate in Italia (155).

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[Opuscolo] Note sul decreto – parte “immigrazione”. Conoscere il nemico per contrastarlo

Riceviamo e pubblichiamo. Per scriverci e inviarci contributi: hurriya[at]autistici.org

Qui il file per scaricare, leggere e stampare

Il 4 dicembre è entrata in vigore la legge n.132, attuazione del meglio conosciuto Decreto-Legge Salvini (D.L.113/2018), prodotto finale dell’intesa governativa tra Lega e M5S sul tema della sicurezza.

Con questo opuscolo “Note sul decreto. Parte “immigrazione”. Conoscere il nemico per contrastarlo” abbiamo pensato di approfondire soprattutto la questione migratoria, che ormai da anni nell’immaginario comune, costruito ad arte da tecnici, politici e media, è strettamente connessa alla questione sicurezza. Proprio perché il fenomeno migratorio è stato securitarizzato, gli strumenti, le pratiche e i metodi per gestirla e amministrarla provengono direttamente dall’armamentario repressivo e militare. Il contenimento, la deterrenza, la selezione, la messa a valore appartengono di fatto ad un linguaggio bellicoamministrativo.

Abbiamo voluto, però, fare un’analisi che non si arenasse nella levata di scudi che testate rosse e bianche del giornalismo nostrano, voci della sinistra legate ad ambienti parlamentari, associativi e movimentisti hanno iniziato da tempo contro decreto e governo, rimodellando a loro piacere la realtà dei fatti e contrapponendo al modello salviniano il modello dell’integrazione. Continuando a guardare con sdegno al sistema di controllo, contenimento e messa a valore della popolazione migrante in quanto tale, cercheremo, quindi, di avere uno sguardo esterno sulla questione senza cadere nelle facili trappole della retorica umanitarista e paternalista.

Pur nell’impossibilità di fare oggi previsioni su come alcuni dispositivi verranno concretamente attuati, ci sembra che il decreto Salvini esprima a chiare lettere l’attuale clima di una vera e propria guerra contro nemici ben individuati, mettendo in dotazione al potere tutti gli strumenti per un’estesa deriva poliziesca e un’aumentata possibilità di detenzione, rese legittime nero su bianco.

Il presente testo nasce da una nostra esigenza di restare vigili sui cambiamenti in atto e farci un po’ di chiarezza, senza pretese di esaustività. Lo condividiamo nella speranza che questi appunti possano risultare una base utile da cui sviluppare riflessioni, discussioni e confronti.

Nemici e nemiche delle frontiere

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Roma – 10 febbraio – Presidio al CPR di Ponte Galeria

Riceviamo e pubblichiamo. Per scriverci e inviarci contributi hurriya[at]autistici.org


È una mattanza.

Il colonialismo miete una quantità di morti che non siamo mai stax capaci di calcolare.

Se il massacro è stato per anni silenzioso (o sussurrato) alle nostre orecchie privilegiate ed europee, adesso i cadaveri arrivano fino alle nostre placide spiagge e si moltiplicano di anno in anno.
I morti di quest’anno appena iniziato sono già centinaia solo in mare. Il capitalismo colonialista stermina e avvelena una quantità di persone incalcolabile in ogni istante e in ogni parte del mondo. Da sempre gli individux e la terra pagano il prezzo di una crescita sfrenata dei consumi. In sostanza ci avveleniamo e avveleniamo il resto del mondo per possedere cose che a loro volta continuano ad avvelenarci.

Il prezzo più alto, in Europa, lo paga chi non ha il privilegio della bianchezza o di un documento valido in tasca. Infatti queste persone continuano a morire in frontiera, nei centri, nei ghetti e nelle strade.

Essere neutrali in situazioni di oppressione significa aver scelto la parte dell’oppressore

Se mai lo fosse stato, non è più tempo di stare calmx; rimanere sedutx di fronte ai nostri schermi significa essere complici di questa mattanza.

Abbiamo bisogno di nuove forme ed energie per lottare insieme, contrattaccare.

La lotta contro le frontiere nella città di Roma ha un appuntamento mensile per non lasciare sola chi è rinchiusa nelle gabbie per persone senza documenti. Parteciparvi ci può dare la possibilità di incontrarsi in un momento di lotta e scoprire insieme nuovi modi e possibilità.

Il 10 FEBBRAIO ALLE 15:30 SAREMO SOTTO LE MURA DEL CPR DI PONTE GALERIA  PER CONTINUARE A LOTTARE CONTRO CARCERI E CARCERIERX E PER  NON LASCIARE CHE BASTI UN MURO E POCHI KM PER FARCI DIMENTICARE LE DONNE RECLUSE.

Nemiche e nemici delle frontiere

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UN’ALTRA CAROVANA SFIDA I CONFINI: migliaia di persone in viaggio tra Honduras e Stati Uniti

Riceviamo da passamontagna.info e pubblichiamo. Per scriverci e inviarci contributi hurriya[at]autistici.org

UN’ALTRA CAROVANA MIGRANTI SFIDA I CONFINI
Migliaia di persone in viaggio tra Honduras e Stati Uniti

18 GENNAIO – STRADA TRA CIUDAD HIDALGO E TAPACHULA
Una fiumana di gente cammina al bordo della strada. Uomini, donne, bambini, vecchi. Qualche zaino, pochi bagagli. Direzione Stati Uniti. Sono in viaggio da 4 giorni. Circa 2-3 mila persone. Sono tanti. Sono partiti in più di 5mila da San Pedro Sula, in Honduras. Altre centinaia si sono aggiunte dal Guatemala e dal Salvador. Al confine tra Honduras e Guatemala prima di riuscire a passare sono stati repressi con gas lacrimogeni dalla polizia guatemalteca.
Il Messico ha “aperto” le porte. Il nuovo presidente eletto, Andrés Manuel López Obrador, “AMLO”, non avrà voluto sporcarsi mani e faccia ripetendo le violenti scene della precedente carovana, quando migliaia di persone sono state bloccate sul ponte di Tècun Uman, sul fiume Suchiate, e in seguito a scontri con la polizia si sono gettate nel fiume per passare.
La proposta fatta ai migranti di questa terza carovana era di registrarsi alla dogana, e attendere il visto. Alle persone che hanno accettato è stato rilasciato un braccialetto identificativo e sono stati fatti rientrare in Guatemala per 5 giorni in attesa di un promesso visto per un anno; per ora, sono ancora bloccate sul confine. In migliaia, circa 2-3mila persone, hanno deciso di continuare la loro strada rifiutando proposta e registrazione, denunciando il tentativo del governo di ingannarli bloccando la carovana in terra guatemalteca, in attesa di promesse in passato mai rispettate. Hanno fatto pressione per aprire la frontiera e hanno attraversato il confine tra il 17 notte e il 18 mattina, riprendendo a camminare.
Direzione: Tapachula, tappa forzata prima di continuare il viaggio a nord. 37 km a piedi. Sono arrivati, nella sera del 18, occupando la piazza principale di Tapachula per dormire. È la prima volta che la carovana non viene aiutata da nessuno.
A differenza delle altre carovane, e nonostante la retorica umanitaria di AMLO, nessuna organizzazione, né chiesa, né autorità locale hanno sostenuto il viaggio dei migranti. Nessun presidio medico né distribuzione di cibo è stata organizzata.

19 GENNAIO
Una buona parte della carovana è ripartita questa mattina. Alle 4 di notte ha ripreso la strada e ha iniziato il cammino verso nord. Sono arrivati a Huixtla in serata, dove si sono accampati. Hanno camminato 40 km. Un’altra parte della carovana è rimasta a Tapachula. Aspettano. Aspettano le oltre 3000 persone che sono ancora bloccate in Guatemala. Aspettano le oltre mille persone che stanno partendo con una nuova carovana dall’Honduras. Aspettano una nuova carovana che pare stia partendo dal Guatemala. “Dobbiamo restare uniti, ed essere tanti, insieme”. Se no la polizia e i narcos avranno gioco piu facile nel dividere, isolare. Controllare. Forse deportare, o rapire. La frontiera, quando non hai i documenti, è ovunque. È il bus su cui sali, la strada che prendi. I luoghi che puoi o non puoi frequentare. È la polizia.

20 GENNAIO
Un migliaio di persone continuano ad occupare la piazza di Tapachula. Continuano ad aspettare. Hanno improvvisato una mezza cucina da campo, ma la gente è tanta, il cibo poco. Molte le famiglie e i bambini. Intanto la massa di persone al confine messicano aumenta. Pare che siano tra le 5 e le 8mila. Alcuni guadano il fiume a piedi e arrivano a Tapachula. In migliaia restano bloccati in Guatemala. Domani scadono le 5 giornate di attesa che nella sua offerta il governo messicano aveva detto necessarie per il rilascio della visa di un anno. Si vedrà domani se rispetteranno la parola data. Conseguente sara l’azione dei migranti che si sono fidati e registrati. Intanto, il primo pezzo della carovana – circa 1000-1500 persone – è già più a nord, in Oaxaca.

LA CAROVANA
La forza della massa. organizzarsi insieme, per una vita migliore. Per passare la frontiera. Per non disperare nell’attesa di documenti. Prima c’era un treno tra Guatemala e Messico. La Bestia. Un buon modo per passare. È stato abolito qualche anno fa. Da allora la gente passa in diversi modi, i valichi informali sono tanti. Ma non tutti riescono. La carovana è un metodo quasi innovativo. Partire insieme, in massa. È come un popolo che migra. Un popolo che fugge la povertà, la violenza. Che cerca qualcosa di meglio. Infiniti i discorsi contro Juan Orlando Alvarado, il presidente hondureño, e contro la sua politica di sfruttamento e oppressione. “Non c’è futuro in Honduras” ripetono in tanti, dal ragazzino di 15 anni che viaggia solo, alla famiglia coi bambini in braccio. La frontiera è solo una linea da passare, per ora. Ma in modo individuale è più difficile. I controlli sono tanti, non solo ai valichi “legali”, ma sulla strada per andare a nord, dove militari e polizia controllano pullman, macchine, combie, alla ricerca di migranti irregolari. La carovana è fatta per questo. È anche una protesta, se vogliamo. Contro il governo dell’Honduraas e la sua gestione economica. Contro le frontiere e il loro dispositivo di controllo e selezione. Una lotta, quella migratoria, che sembra sempre più spesso passare “dall’individuale” al collettivo. Perché uniti si è più forti. La carovana è auto-organizzata. “Qui non ci sono capi, nessuno si impone. Decidiamo tutti insieme, siamo tutti leader” dicono. Le scelte vengono prese in assemblea. Non ci sono strutture dietro. “Ci siamo uniti perché insieme siamo più forti. Vogliamo solo una vita più degna. Nei nostri paesi non c’è futuro. Questo cerchiamo con questa carovana.” “E che la politica dei nostri paesi la capisca”, sembrano aggiungere. La gente fugge perché la politica e l’economia abusano del loro potere togliendo tutto al popolo. Che soffre e muore di fame e violenza. Continua a leggere

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