fonte: Macerie
«Il CIE di Torino è quasi distrutto.
Di 6 aree solo 3 sono attualmente funzionanti, il resto è stato bruciato durante le rivolte di marzo. Nel resto d’Italia nessun CIE è integro. Ne rimangono solo cinque parzialmente operativi. Gli altri centri sono stati chiusi dagli stessi detenuti i quali, stanchi di aspettare e carichi di rabbia, hanno deciso di bruciare ogni cosa. Per poter tornare liberi. Affinché nessuno ci finisca più dentro.
Nei nostri quartieri la polizia gira indisturbata a caccia di senza documenti nel tentativo di sottrarci qualcuno, magari un nostro amico o parente, o chi siamo soliti incontrare in quartiere. Ma quando il CIE non funziona retate e controlli diventano meno frequenti e la presenza della polizia è meno pressante, pur restando comunque fastidiosa. Quando il CIE è distrutto non possono rinchiuderci i nostri amici. Quando il CIE non c’è più si inizia a respirare meglio. La macchina delle espulsioni si inceppa e rallenta.
Ci troviamo oggi in una fase di ristrutturazione. Alcuni centri, chiusi dal fuoco delle rivolte, sono prossimi alla riapertura, quelli ancora aperti vengono sistemati. La gestione è in mano ai soliti noti come Croce Rossa, Aquarinto, Auxilium. Ma nuovi avventori, che hanno fiutato l’affare milionario, compaiono sulla scena (come la GEPSA, società francese specializzata in carceri private, che si occuperà della sicurezza interna del CIE di Milano). Il governo preannuncia delle riforme, come la riduzione dei tempi di detenzione, sperando così di placare la rabbia dei reclusi e di rendere più governabili i centri.
Tuttavia, se da una parte si prospettano ristrutturazioni e cambiamenti, dall’altra la lotta dei detenuti dentro ai CIE non si arresta. Solo pochi giorni fa a Ponte Galeria i detenuti hanno tentato la fuga, chiudendo la polizia fuori dalle aree. Il tentativo non è andato a buon fine ma ha dimostrato a tutti i reclusi che ribellarsi è possibile. A Trapani è andata meglio: un tentativo di fuga collettivo ha fatto conquistare la libertà a 4 persone.
È importante portare la nostra solidarietà ai detenuti, sostenere la loro lotta e portarla fuori da quelle mure, attaccando le diverse ramificazione del sistema dei CIE.
È importante portare il nostro calore e la nostra solidarietà ai pochi che sono ancora rinchiusi nel CIE di Torino e gridare forte che i CIE si chiudono con il fuoco delle rivolte.»
Domenica 27, ore 19
Presidio al CIE
Corso Brunelleschi angolo via Monginevro