“La guardia costiera e la polizia di frontiera egiziane hanno fermato più di 12.000 persone migranti di varie nazionalità (nel corso di un totale di 434 operazioni), che tentavano di entrare o uscire illegalmente dal paese nel 2016”, ha fatto sapere il regime qualche giorno fa. Nessuna nuova informazione, invece, è stata data sulla carretta del mare che il 9 aprile di questo anno è affondata al largo delle coste egiziane. Centinaia di persone, tra cui minorenni, sono morte (190 somali, 80 egiziani, 85 fra sudanesi, siriani e altri paesi sono le vittime accertate) in quella che è stata una delle sciagure più letali avvenuta nel Mediterraneo nel 2016.
Nessuno, finora, ha indagato su questa tragedia. Nessuno ha dato corso a indagini serie per accertare se le persone in mare potessero essere salvate. Nessuno ha dato corso alle svariate denunce che accusano le autorità militari egiziane di aver volontariamente ritardato i soccorsi. Non l’Italia, dove la barca era diretta. Non la Grecia o l’Egitto, da dove era partita. Nessuna indagine dalle Nazioni Unite, dall’Unione Europea, dalla Polizia europea, o dalle forze navali europee dispiegate nel Mediterraneo.
Il silenzio è complicità! In effetti, l’Egitto è da sempre al centro degli interessi strategici europei in quanto luogo di origine, transito e arrivo di persone migranti. Lo è diventato ancora di più dal momento che nel 2016 le persone migranti provenienti dall’Egitto, ma di differenti nazionalità, sono state il 17,5% in più rispetto all’anno prima. Molti di questi sono minori e, dunque in quanto tali, a differenza degli adulti non possono essere immediatamente espulsi una volta approdati in Europa (nel 2015, 1830 sono stati gli egiziani effettivamente espulsi su 5490 ordini). Allo stesso tempo il regime egiziano ha bloccato e arrestato 4640 persone migranti (gennaio – settembre 2016) sul punto di lasciare le coste del paese.
La durissima crisi economica che sta uccidendo l’Egitto (il cui regime vive di prestiti e sostegno internazionale) nonché la presenza di migliaia di rifugiati e migranti provenienti da Siria, Sudan, Etiopia, Somalia (e altri paesi), così come i ricatti di un regime a caccia di moneta estera, ha accresciuto la preoccupazione dell’UE, che nel 2016 ha dato il via a una serie di incontri e verifiche preliminari, a cui si aggiungono tutti gli accordi bilaterali, al fine di sviluppare progetti di “dialogo e cooperazione” (di cui già molti in atto già a partire dal 2004) per bloccare e prevenire i flussi migratori dal paese.
In termini pratici ciò vuol dire: la cooperazione dell’Egitto con la missione Frontex e la rete Seahorse (che unisce le guardie costiere operanti nel Mediterraneo); la collaborazione stretta con EUROPOL, CEPOL e INTERPOL; la cooperazione per il rientro dei migranti illegali (un modo per mascherare, di fatto, le espulsioni); l’impegno da parte del regime nel controllo delle frontiere tra Sudan e Libia, nonché della costa nord. In cambio l’Unione Europea si impegna a fornire i fondi necessari alla realizzazione dei diversi progetti (milioni di euro di cui l’Egitto ha bisogno per evitare la bancarotta) concernenti: gestione delle migrazioni, mezzi di sussistenza e protezione dei migranti. Allo stesso tempo l’UE garantirà all’Egitto l’attivazione di progetti appositi per la mobilità e l’emigrazione legale.
La cooperazione tra l’UE e il regime egiziano è inoltre vincolata, ma solo formalmente, alla protezione e assistenza delle persone migranti che raggiungono il paese, nonché alla concessione dell’asilo e delle protezioni internazionali. A tale scopo il parlamento egiziano ha approvato (17 ottobre 2016) una nuova legge contro l’immigrazione illegale e un piano nazionale strategico per l’immigrazione irregolare (scritto con il supporto dello IOM). Si tratta di una pura formalità legislativa, criticata da varie associazioni internazionali, al fine di soddisfare le richieste altrettanto formali dell’UE.
Ci si chiede come sia possibile stringere tali accordi con un regime che tiene incarcerati decine di migliaia di oppositori politici. Un regime le cui forze di polizia ed esercito torturano, fanno sparire persone, negano l’accesso alle cure ai/alle detenute. Non c’è libertà di movimento, parola ed espressione. Decine di giornalist* marciscono in carcere. Attivist*, avvocat* per i diritti umani, membr* di ONG, sindacalist* non possono lasciare il paese e sono continuamente sotto processo. I presidi dei lavoratori vengono sgomberati dall’esercito e gli operai in sciopero processati da tribunali militari. Un regime che combatte da due anni una guerra nel Nord Sinai contro gruppi islamisti insorti che ha causato migliaia di vittime civili. Dove 3742 richiedenti asilo e migranti sono stati arrestati.
Questo è il paese con cui l’UE e i suoi stati membri, in primis l’Italia, stringono patti di cooperazione per bloccare le persone migranti.
Per informazioni dettagliate su accordi UE, Egitto si veda l’articolo di Statewatch.
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