USA – Cosa sarebbe necessario per fermare i rastrellamenti?

Traduzione da: It’s going down

Durante la scorsa settimana negli Stati Uniti, circa 700 persone sono state catturate durante un’ondata di rastrellamenti dell’Immigration and Customs Enforcement – ICE (agenzia statunitense responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione ndr). In risposta, le persone hanno bloccato le strade e i furgoni dell’ICE e organizzato manifestazioni di massa. Ma cosa sarebbe necessario per fermare le retate una volta per tutte?

L’assalto

In alcune parti degli USA, gli attacchi dell’ICE implicano brutali retate militarizzate, in cui gli agenti spaccano finestre e lanciano granate flashbang dentro le case. In altri posti, tutto succede così silenziosamente da passare praticamente inosservato: una modifica burocratica nello status di qualche prigionierx qui, un trasferimento in detenzione a tempo indeterminato di reclusx in attesa di rilascio lì.

Le retate arrivano sulla scia di una serie di ordini esecutivi dell’amministrazione Trump che minacciano milioni di persone in tutti gli Stati Uniti. Questi ordini mirano a delegare alla polizia i compiti dei funzionari dell’immigrazione, a costruire strutture per la prigionia di massa, e infine a prendere di mira intere comunità per molestarle, imprigionarle e deportarle. L’idea è chiaramente di dare a polizia e funzionari governativi ampi poteri per terrorizzare intere comunità.

Il dibattito si è centrato sul dubbio che queste retate rappresentino il nuovo programma di Trump o semplicemente la continuazione della politica dell’ICE sotto Obama. L’amministrazione Obama ha deportato 2.7milioni di persone, un numero maggiore di tutte le deportazioni avvenute negli USA durante l’intero XX° secolo.

David Woard, il direttore dell’associazione nazionale degli ex agenti di frontiera, ha dichiarato che l’attuale ondata di rastrellamenti era stata “probabilmente pianificata 3 o 4 mesi fa, sotto l’amministrazione Obama, e finalmente lanciata sotto quella di Trump.”

Tuttavia il governo Trump intende aprire un nuovo capitolo nella criminalizzazione delle persone immigrate. Trump ha nominato un nazionalista bianco appartenente al gruppo anti-immigrazione FAIR a capo della US Customs and Border Protection. L’ala nazionalista bianca del regime, rappresentata da Steve Bannon, ha intenzione di portare a termine le promesse fatte da Trump durante la campagna elettorale riguardo la costruzione di un muro dal costo di un miliardo di dollari lungo il confine messicano e condurre inoltre deportazioni di massa.

L’amministrazione Obama aveva adottato un approccio neoliberista alle deportazioni di massa, usandole per distruggere l’organizzazione sui posti di lavoro delle persone immigrate, mentre dall’altro lato si lasciavano nel paese sufficienti persone senza documenti per fornire una forza lavoro a basso costo aumentando così i profitti aziendali.

L’amministrazione Trump sta invece adottando un approccio nazionalista, puntando sul fatto che sia più importante per le persone bianche e i cittadini USA mantenere il loro privilegio rispetto alle persone di colore e ai non-cittadinx piuttosto che preservare il funzionamento dell’economia.

Un’amministrazione che pur di criminalizzare il suo capro espiatorio è preparata al rischio di un collasso economico, e allo stesso modo è pronta al sollevamento di un po’ di clamore e proteste.

La risposta

Già durante le elezioni, le persone avevano organizzato linee telefoniche d’emergenza, reti di risposta immediata, e corsi di autoformazione legale.

Appena sono iniziate le retate, decine di migliaia di persone sono scese in strada a Baltimora e Milwaukee, mentre manifestanti più conflittuali hanno bloccato un’autostrada a Los Angeles. Ad Austin e Phoenix, la gente ha chiuso le strade e bloccato i furgoni dell’ICE. Martedì, 16 febbraio, migliaia di persone hanno partecipato a cortei scolastici, marce e manifestazioni di massa contro le retate sotto lo slogan #DayWithoutImmigrants.

Tutte queste azioni sono importanti. Insieme, creano un’atmosfera di opposizione all’agenda Trump e uno spazio in cui chi gli si oppone può incontrarsi e ritrovarsi. Però una grande replica simbolica delle manifestazioni del May Day 2006 (che furono di disturbo, conflittuali, e inclusero passeggiate di massa, scioperi selvaggi e cortei; sconfiggendo con successo la legge HR-4437) non sarà sufficiente per bloccare retate e deportazioni.

Trump non è preoccupato delle manifestazioni di disapprovazione; le proteste lo rendono più popolare agli occhi della sua base di supporter. È necessario spostarsi dalle proteste alla resistenza.

Allo stesso modo, bloccare i furgoni dell’ICE potrebbe interrompere una deportazione o due, ma di certo non fermerà il regime. Di certo questi sforzi disturbano e costituiscono un precedente per rispondere nell’immediato; dimostrano un coraggio considerevole, e contemporaneamente ispirano coraggio. Ma nella maggior parte dei casi, non saranno sufficientemente rapide e forti da salvare le persone che verranno strappate dalle loro famiglie.

Applicando la logica che rende le proteste contro il Muslim Ban così efficaci, vediamo che ciò che manca è un punto di vista largamente accessibile di intervento che faccia da leva diretta sulle infrastrutture che portano avanti queste retate. Le persone necessitano di un punto di pressione, un posto in cui poter convergere per passare all’offensiva.

Ma quale potrebbe essere questo punto di pressione? Ci sono diverse possibilità. L’ICE ha uffici ovunque negli USA. Altrettanto semplice è trovare le strutture detentive che utilizza. Se si spargesse la voce di manifestanti che in gran numero circondano queste strutture interferendo con le loro operazioni, molte altre persone in tutto il paese potrebbero seguire l’esempio. Se si diffondesse abbastanza lontano, potrebbe creare una crisi all’interno dello stato.

Intendiamoci, non si tratta di un sostegno a qualche particolare strategia. Molte persone di certo considerano perfettamente legittimo restare con le mani in mano mentre milioni di persone vengono rastrellate e deportate o imprigionate. Questo include probabilmente molti bravi liberali che non hanno obiettato mentre ciò avveniva con Obama ma si compiacciono di se stessi per aver registrato il loro dissenso sotto l’amministrazione Trump. “Prima vennero a prendere gli immigrati…”

Il punto è semplicemente che – per parafrasare Utah Phillips – i nostri vicini e colleghi non stanno “svanendo”, vengono fatti scomparire, e le istituzioni responsabili di ciò hanno nomi e indirizzi.

“E come ci consumavamo poi, nel lager, pensando: come sarebbero state le cose se ogni agente di sicurezza, mentre usciva di notte per arrestare qualcuno, fosse stato incerto di tornare vivo e dicesse addio alla famiglia? Se durante le catture in massa, per esempio a Leningrado, dove fu arrestato un quarto della città, la gente non si fosse rintanata, fiaccata dal terrore ogni volta che sbatteva il portone o risuonavano passi sulle scale, e avesse invece capito che non aveva nulla da perdere, e avesse organizzato, negli anditi, energicamente, imboscate di diversi uomini con accette, martelli, attizzatoi, qualunque cosa capitasse sottomano? […] Gli “Organi” avrebbero ben presto sentito la mancanza di agenti e di veicoli, e nonostante la sete di Stalin, la maledetta macchina si sarebbe fermata! Se… se… Non abbiamo avuto abbastanza amore per la libertà. E, ancora di più, la coscienza della reale situazione. Noi abbiamo puramente e semplicemente meritato tutto ciò che è successo dopo”

-Aleksandr Solženicyn, Arcipelago Gulag

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