“Auschwitz Onlus”: la guerra umanitaria in Libia

A una settimana dalla chiusura del bando Aid-11273, in tutta fretta sono state annunciate le ONG che diventeranno presto le nuove complici delle deportazioni e della prigionia nei lager libici. Il bando, emesso dal governo tramite l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, ha quindi stabilito le ennesime organizzazioni che faranno affari sulle vite delle persone migranti.
Ccs, Cefa, Cesvi, Cir, Emergenza Sorrisi e Fondazione Albero della Vita sono le ONG che hanno partecipato e vinto l’appalto di 2 milioni di euro, a cui ne seguirà presto un altro.
Il bando, dall’altisonante titolo Iniziativa di primissima emergenza a favore della popolazione dei centri migranti e rifugiati di Tarek al Sika, Tarek al Matar e Tajoura in Libia, si inserisce nella serie di progetti nati appunto per “gestire le emergenze” con un approccio securitario.

Il “sistema campo”, con i suoi dispositivi repressivi d’eccezione, che abbiamo già visto realizzarsi in molti territori a noi vicini dopo terremoti e alluvioni o per gestire la perenne “emergenza migranti” o quella abitativa, viene allo stesso modo, e ancora una volta, rafforzato nell’ambito della guerra permanente.
Le guerre dell’ultimo secolo hanno sempre visto la corresponsabilità di apparati militari e di apparati umanitari lodati per l’interventismo nelle tragedie umane. Questo duetto ha degli attori che spesso coincidono in entrambi i ruoli (es: Croce Rossa) o che, in numerosi casi, appaiono come organismi extra nazionali, portatori del cosiddetto “diritto internazionale umanitario” scelto dalle stesse super potenze che spargono morte nel pianeta.
In questo caso la guerra a chi migra, dopo che le politiche europee contro l’immigrazione hanno portato a una drastica riduzione dei flussi migratori – grazie a respingimenti violenti e migliaia di morti in mare -, nonché a un aumento delle deportazioni, si allontana dal terreno europeo per nascondersi in Libia.

Al di là di alcune incongruenze e fumosità tra i dati forniti dal bando rispetto il numero dei campi (si parla di 34-35 campi variabili “a causa dell’instabilità politica della regione”), è interessante che il bando stesso riveli esplicitamente chi gestisce realmente quelli che vengono chiamati “centri per migranti e rifugiati” ma che di fatto sono campi di detenzione e tortura, gli stessi noti a chi, almeno negli ultimi 15 anni, ha attraversato la Libia nel proprio percorso migratorio.
Difatti, nel bando si legge che il governo centrale di Tripoli detiene solo il controllo nominale di questi campi, che in realtà sono nelle mani delle milizie locali con cui si presume le ONG italiane dovranno collaborare.
Altro dato rilevante è l’ammissione del governo italiano, che ricordiamo aver preso accordi con la Libia in tempi decisamente precedenti questo bando, della totale mancanza di servizi di base all’interno di questi campi. Motivo per cui, appunto, si richiede l’intervento delle ONG per nascondere l’abominio sotto il tappeto dell’umanitarismo e accontentare l’opinione pubblica indignata per le immagini recentemente pubblicate dalla CNN.

Non stupisce inoltre che a partecipare e vincere questo bando siano ONG che già si sono distinte per aver collaborato alla gestione di centri accoglienza per migranti in Italia e all’estero:

Alcuni responsabili del CCS sono stati accusati e condannati per essersi intascati le donazioni destinate a progetti in Africa o adozioni a distanza.

CEFA, insieme ad altre organizzazioni, era già impegnata in progetti per garantire “il rimpatrio volontario”, promosso dal progetto Ermes.

CESVI opera da anni in Libia e si districa bene nella gestione “delle emergenze” utilizzando le comunità rifugiate a cui presta assistenza come manodopera in lavori socialmente utili, sfruttandole quindi in cambio dell’accoglienza. La direzione di questa Onlus non sarà dunque rimasta stupita dalle immagini di “compravendita di schiavi” che hanno destato, probabilmente, l’indignazione pubblica in italia.

CIR, partner di CEFA e già presente in Libia da anni, in Italia gestisce diversi SPRAR e inoltre promuove progetti di “rimpatrio volontario”.

Tendopoli, lager, centri di accoglienza grandi o piccoli, puliti o degradati, sono in mano all’apparato umanitario per controllare, gestire e reprimere le nostre vite. Questo sistema va attaccato e distrutto. Quello che accade in Libia inizia qui.

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