No, il 16 dicembre non saremo in piazza.

No, il 16 dicembre non saremo in piazza.

Il 16 dicembre è stata convocata una manifestazione a Roma per i “diritti dei migranti”. La proposta di una riunione nazionale era stata lanciata ufficialmente a fine settembre dal CISPM (Coalizione Internazionale Sans-Papiers, Migranti, Rifugiati e Richiedenti asilo), e cioè nei fatti dal sindacato USB , ed era stata seguita da assemblee a Roma basate su un appello intitolato “Le leggi repressive sono un ostacolo per un’accoglienza dignitosa, un inserimento socio-lavorativo e per la giustizia sociale in generale”.

Senza voler entrare troppo nel merito della piattaforma, che contiene alcuni punti storicamente espressi dalle lotte delle persone immigrate, non possiamo non notare l’ambiguità nel rivendicare ad esempio “un’accoglienza dignitosa”, senza mettere in discussione l’intero sistema di controllo e selezione delle persone che va dagli hotspot, ai centri di prima e seconda accoglienza, ai campi di lavoro per finire con i centri di deportazione. Come si fa a conciliare la libertà di movimento e residenza con un sistema che decide se, dove e per quanto tempo le persone saranno “accolte”, senza che queste ultime abbiano la minima voce? Come conciliare la richiesta di documenti di soggiorno per tuttx con un meccanismo che segrega le persone proprio per permettere la loro selezione tra regolari e irregolari? Perché le persone dovrebbero continuare a essere differenziate tra chi, autoctonx, vive nelle case, e chi, immigratx, deve essere costretto e gestito in centri, campi, tendopoli? Anche il punto “Contro i lager” ci sembra davvero scarno e poco chiaro, si intendono forse solo quelli in Libia o, come espresso in tante lotte dalle stesse persone immigrate, gli hotspot, i CPR, i centri di accoglienza, i campi di lavoro di stato?

E questa chiusura come dovrebbe avvenire, aspettando una decisione governativa o appoggiando le lotte reali, le uniche che sono davvero riuscite a distruggere dall’interno i vari tipi di lager di stato?

A prescindere dalla piattaforma, ci sono altri aspetti di questa mobilitazione che consideriamo inaccettabili. Al corteo hanno aderito vari gruppi e organizzazioni (il centro sociale Je so pazz di Napoli, il PRC, il PCI, la piattaforma Eurostop – dove è presente la stessa USB – e altri) che poco più di un mese fa hanno dato vita a un percorso per la costruzione di una lista elettorale alle prossime elezioni politiche previste nel 2018. L’adesione di questa cordata intende la manifestazione di sabato come parte di una due giorni che vedrà, nella successiva giornata di domenica, l’assemblea nazionale per costruire la lista elettorale.

La manifestazione arriva inoltre al termine di un anno che ha visto l’organizzazione che ha lanciato questo percorso, l’USB, cercare di conquistarsi un’egemonia intervenendo nei luoghi dove dure lotte sono in corso da anni, dalle campagne ai centri di accoglienza. Un intervento che non riconosceva nemmeno l’esistenza dei precedenti percorsi autorganizzati e delle chiare rivendicazioni delle persone immigrate, di una coscienza delle proprie condizioni di vita e della determinazione a cambiare queste condizioni attraverso le lotte. L’USB ha agito come se, prima del suo intervento di “sindacalizzazione”, ci fosse un deserto, concetto chiaramente espresso da queste loro parole: “È stata un’estate diversa, perché per la prima volta i lavoratori, gli operai agricoli che comunemente chiamiamo braccianti, c’è stata una presa di coscienza collettiva, che già esisteva sul piano individuale per alcuni. Questo è merito di un’attività sindacale che ha consentito quest’anno ai braccianti, attraverso un lavoro di informazione e sensibilizzazione, di avere coscienza dei propri diritti.”

Per l’Usb dunque prima del suo intervento salvifico, le campagne così come i centri di accoglienza erano una tabula rasa, senza lotte, autorganizzazione, coscienza, piattaforme di rivendicazione politica. Viene cancellata una lunga storia di mobilitazioni, scioperi, lotte autorganizzate.

Mettendo come al solito davanti a tutto i propri interessi di bottega sindacali e mostrando così la reale consistenza degli appelli all’unità delle lotte, l’USB infatti non aveva ritenuto di partecipare nel recente passato alle numerose mobilitazioni locali e nazionali autorganizzate dalle persone immigrate, da quelle nazionali del 12 novembre 2016 e 24 aprile 2017, alla giornata di mobilitazioni diffuse del 6 febbraio 2017, e nemmeno ai tanti altri cortei tenutisi, dal foggiano alla Piana di Gioia Tauro, nel corso di quest’anno.

Eppure il tempo della lotta, la necessità di confluire in tanti e tante e in quali giornate farlo, è stato spesso dichiarato apertamente dai soggetti attivi in determinati territori. Appelli che sono caduti, per molti e molte, nel vuoto. Sulle modalità di azione dell’USB, e sulle contraddizioni tra le loro prese di posizione pubbliche e quanto realmente fatto, ci siamo già espressi qui, e lo raccontano gli stessi abitanti della tendopoli di San Ferdinando.

Purtroppo concentrarsi su un solo episodio non descrive la complessità delle manovre becere del suddetto sindacato, il quale, in combutta con le istituzioni, ha creato un doppio livello in diversi contesti, nel clima di repressione feroce, nel quale agitarsi: da una parte il tesseramento come garanzia di poter accedere a servizi base che le stesse istituzioni devono garantire (es: lo sportello dentro il comune di San Ferdinando dove si concede la carta d’identità, gestito da USB), dall’altra l’altisonanza di comunicati combattivi, capaci, nonostante la fuffa contenuta, di raggruppare alcune realtà sociali confuse.

Ora, un corteo organizzato con queste premesse, che si inserisce in un contesto di campagna elettorale da parte di vari gruppi partecipanti, è quanto di più lontano, a nostro vedere, da un reale sostegno alle persone in lotta che sanno autorganizzarsi quotidianamente in questo paese, e diventa strumentale ad altri fini.

La natura gerarchica, egemonica e di potere di questa manifestazione, apre sicuramente delle riflessioni su quanto potrebbe avvenire nella prossima “stagione” di mobilitazioni: se è in questo modo che il movimento scandisce i propri tempi d’intervento, “il consentito” per chi è determinatx a portare avanti le proprie lotte continuerà a restringersi fino a scomparire, e la repressione frontale si potrà concentrare esclusivamente su chi si autorganizza rifiutando le mediazioni. Il carattere “pacifico” della giornata, sottolineato in un articolo dalla redazione di Contropiano in risposta agli allarmi questurini, ci fa pensare al “controllo popolare” del servizio d’ordine del corteo che lascia poca immaginazione alla conflittualità oltre gli slogan.

Noi preferiamo invece contribuire a continuare e rafforzare le lotte autonome, ecco perché non ci saremo.

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