Sulla propaganda umanitaria anti-immigrazione: appunti dal Ghana

Riceviamo e pubblichiamo. Per scriverci: hurriya [at] autistici.org

“Italia? Io ci sono stata in Italia, ma mi hanno deportata indietro qui in Ghana appena arrivata, a inizio anno scorso. Ma ci riprovo, voglio andare di nuovo, è quello che voglio”. “Quel ragazzo lì, sì vuole andare. È stato due volte nel deserto fino alla Libia. Sempre rimandato indietro, ma lo sai sono giovani e non hanno paura. Ripartirà”. Se l’annuncio della missione in Niger da parte dell’Esercito Italiano punta a intensificare con la forza le politiche anti-immigrazione in Africa Occidentale, campagne e iniziative nei “paesi di provenienza”, finanziate dalle agenzie internazionali, giocano la carta morbida della propaganda umanitaria per sensibilizzare sui rischi di oltrepassare le frontiere illegalmente.

Per le strade di Accra, capitale del Ghana – a detta degli osservatori uno dei crocevia della “tratta di essere umani” – ci si imbatte con insistenza in cartelloni pubblicitari finanziati da Unione Europea e OIM che mirano a dissuadere chi voglia intraprendere il lungo viaggio via terra e mare verso l’Europa. In un esercizio di macabra ipocrisia una di queste campagne ricopre le mura dell’Ufficio Immigrazione della città.

“L’immigrazione illegale è pericolosa”, “informati e viaggia in sicurezza” sono i messaggi a commento delle immagini di repertorio che ritraggono chi a questi avvertimenti non avrebbe dato ascolto. Una carovana che attraversa il deserto, un illegale che scavalca una recinzione di filo spinato diventano fotografie che si vorrebbero facessero da deterrente dissuadendo e spaventando. Oppure, più lucidamente, tentano di mistificare le responsabilità della UE e dell’OIM in un imbarazzante tentativo di washing a tutela dell’immagine di garanti di libertà e diritti di cui si autocelebrano. Su questo filo, le iniziative sono molteplici, come la recente riproposizione di “Cinemarena”, progetto finanziato dalla “Cooperazione allo Sviluppo” del Ministero Affari Esteri italiano che prevede di organizzare proiezione di film propagandistici anti-immigrazione nella aree rurali dell’Africa Occidentale. O ancora, le diverse ong di missionari vecchi e nuovi, che sulla necessità di “fermare la tratta” da anni costruiscono attività sviluppando il discorso del fallimento del progetto migratorio, una prospettiva che rimuove la violenza strutturale del sistema dell’accoglienza, delle frontiere e della deportazione in una riduzione delle responsabilità al dramma dell’esperienza individuale. Un discorso spendibile durante gli incontri “di dissuasione” come quelli organizzati nei villagi ghanesi da “Stop Tratta”.

Allo stesso tempo però, se da un lato l’obiettivo è di scoraggiare chi viaggia privo di documenti, dall’altro le attività delle ambasciate locali, come quella italiana ad Accra, enfatizzano le opportunità per gli imprenditori di visitare e avviare investimenti nel paese (“World Trade Center di Accra intensifica scambi commerciali con l’Italia” ) e vivere il sogno africano di uno stile di vita spesso superiore a quello europeo. Le numerose visite dei capi di stato europei in Africa dimostrano come le ex-colonie siano una destinazione caldeggiata per aziende e affaristi della cooperazione. La retorica di “aiutarli a casa loro”, miscelata con le pratiche della cooperazione per lo sviluppo sono uno dei motivi dominanti dei summit a cui prendono parte agenzie, imprenditori, start-up, speculatori e politici locali e internazionali. Esemplare a questo proposito il tour africano del primo ministro italiano Gentiloni dello scorso Novembre. Arrivato in Ghana in compagnia del presidente di Eni De Scalzi, ha presentato, tra la firma di un contratto e l’altro, un’agenda molto chiara tenendo incontri volti a incentivare i rapporti commerciali delle imprese italiane e offrendo investimenti per le aziende locali motivati dal contrasto all’immigrazione illegale. La presenza di Eni in Ghana è uno dei più importanti investimenti dell’azienda di stato, a cui è affidato il controllo dei giacimenti di gas e petrolio lungo la costa della regione Occidentale del paese. Una produzione, a detta dell’azienda, profittevole perché volta soprattutto al mercato energetico interno.

Una linea politica confermata pochi giorni dopo al vertice Africa/UE di Abidjan in cui accanto alla garanzia di tutelare gli interessi commerciali europei sono state formalizzate ancora una volta le direttive della task-force anti-immigrazione per “proteggere e salvare” le vite di chi migra rafforzando i controlli alle frontiere esterne all’UE e accelerando le procedure di ritorno dei paesi di origine (comunicato stampa UE/UA/UN ). Il vertice cadeva infatti nelle settimane della sollevazione mediatica attorno alle condizioni dei campi di detenzione libici. Messo in scena come fosse uno scoop di cui nessuno era a conoscenza, il racconto della riduzione in schiavitù in Libia ha di fatto legittimato nell’opinione pubblica dei “paesi di provenienza” l’istituzionalizzazione della deportazione sotto le spoglie del salvataggio. A questo proposito le testate ghanesi hanno raccontato con soddisfazione come due voli charter organizzati da Afriqiyah e Lybina Airlines riportavano a casa qualche centinaio di returnees che avevano raggiunto il territorio libico (prigionieri ghanesi in Libia tornano a casa ). Chiamare queste persone returnees è una scelta non casuale che distorce e rimuove la violenza insita nella deportazione, attribuendo volontarietà a una non-decisione, quella di tornare, che è sovradeterminata e frutto di intimidazioni da parte delle agenzie umanitarie, in questo caso l’OIM ( deportati gambiani: non siamo returnees per nostra volontà ).

L’operazione comunque si può dire riuscita, per gli stati UE. Colpe e sangue dei morti rimangono confinati in Africa, le responsabilità attribuite sia a imprecisati carcerieri sanguinari, anch’essi africani, che all’incoscienza di chi ha scelto di partire.

Quanto invece al successo delle campagne di dissuasione, a detta delle istituzioni non sembrano riuscire nell’intento di demotivare le intenzioni di viaggio ( i ghanesi non sono interessati alle campagne anti-immigrazione ), come pure le stesse “operazioni di salvataggio” non sono del tutto immuni al contrasto di chi le subisce ( pietre contro gli uffici OIM a Banjul ).

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