Algeria – Rastrellamenti e deportazioni di migranti verso il Niger

Nella notte tra il 13 e il 14 aprile, la polizia algerina ha eseguito l’ennesima serie di rastrellamenti in 3 quartieri della periferia di Orano. Alla fine dell’operazione oltre 200 persone migranti di origine subsahariana sono state ammassate su alcuni camion e portate all’estremo sud dell’Algeria per essere espulse verso il Niger. Tra di loro sembra ci sia anche una donna nigeriana e suo figlio, nato con parto cesareo un mese fa.

Un ragazzo ivoriano di 18 anni sfuggito alla retata racconta: “Verso le 4 del mattino, ho sentito delle sirene delle volanti della polizia, il rumore delle lamiere spaccate, poi delle grida (…) Io ho aspettato, rifugiato nel mio nascondiglio, fino a quando non è venuto il proprietario alle 14, dopo la partenza della polizia. Ha detto ai migranti che erano con me che non avevano più il diritto di stare nel quartiere. Uscendo dalla mia baracca, ho visto un quartiere completamente decimato: le baracche distrutte, c’erano dei vestiti e degli utensili da cucina sparpagliati a terra”.

Dal 2014 l’Algeria – ufficialmente per tutelare la sicurezza del paese – conduce una vera e propria caccia ai migranti al fine di cacciarli dal territorio. Dati ufficiali diffusi dall’ONU parlano di almeno 28.000 persone espulse verso il Niger dal 2014. Nel solo 2018 più di 1.600 persone del Mali sono state rimpatriate dall’OIM o espulse. La procedura è sempre la stessa. Le persone migranti vengono prelevate da tutte le città algerine, soggette a ogni sorta di violenza, messe sui camion e portate nei campi di Tamanrasset (1.800km a sud di Algeri) prima di essere condotte alla frontiera col Niger, in pieno deserto, e lì abbandonate a loro stesse.

Naturalmente la caccia violenta e reiterata messa a punto dal governo, affiancata da una studiata e massiccia campagna mediatica di odio razzista e xenofobo, ha fatto aumentare gli episodi violenti razzismo verso i migranti.

Il 18 maggio scorso, per esempio, in seguito all’arresto di migranti subsahariani nella città di Orano, bande di criminali razzisti “incappucciati, accompagnati da cani, e armati di sciabole e spade”, hanno attaccato ripetutamente i quartieri presi di mira dai rastrellamenti. Sono stati gli stessi migranti che si sono rifiutati di salire sui camion della polizia e hanno deciso di denunciarlo alla Lega algerina dei diritti dell’uomo. L’istituzione ha scritto un comunicato in cui parla di aggressioni, furti, violenze senza “l’intervento di alcuna autorità” specificando che “le bande di teppisti attaccano i migranti ogni volta che si accorgono di un rastrellamento. Aspettano che la polizia finisca l’operazione e poi entrano nelle case per saccheggiare e commettere violenze”. Inoltre, secondo l’organizzazione dei diritti umani è proprio la “politica aggressiva verso le persone migranti usata dalle autorità” al momento delle espulsioni collettive che ha invitato le bande criminali a “comportarsi senza alcun limite, con violenza e nella più totale impunità”.

Il governo algerino – paese tuttora sprovvisto di una legge sulla richiesta d’asilo – è comunque supportato nel suo compito di bloccare e reprimere i flussi migratori dalle istituzioni internazionali. L’Ue con cui esiste un accordo di partenariato per le “gestione dei flussi migratori” e soprattutto l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Dal 2011, l’Algeria partecipa infatti al cosiddetto “programma di ritorno volontario” il cui scopo secondo l’OIM sarebbe di “facilitare il ritorno volontario assistito, sicuro, umano e degno” delle persone migranti. In realtà si tratta di una vera e propria cooperazione nella caccia ed espulsione dei migranti.

Braccati dalla polizia, attaccati da bande criminali e razziste, con il rischio di essere lasciati in mezzo al deserto del Niger – che spesso non è il paese di origine delle persone espulse – molti migranti decidono di chiedere di essere rimpatriati dall’OIM. Non un rimpatrio volontario dunque, ma una scelta obbligata di fronte al rischio reale di perdere la vita o essere vittima di violenza. Inoltre la richiesta di rimpatrio non offre alcun tipo di protezione durante tutto il periodo di svolgimento delle pratiche. Da numerose testimonianze sembra che anche alcune organizzazioni religiose abbiano aiutato le persone a riempire i moduli per il rimpatrio.

 

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