Da mesi ormai, il sistema educativo e sanitario dell’Algeria è stato paralizzato da un’ondata di scioperi. L’alto tasso di disoccupazione, l’aumento dell’inflazione, la svalutazione del dinaro algerino, stanno ora presentando grossi problemi alla popolazione. Un numero sempre maggiore di giovani algerini si vede costretto a tentare l’emigrazione verso l’Europa, malgrado gli accordi bilaterali prevedano l’immediato respingimento o la reclusione nei centri di detenzione per la successiva deportazione, per chi proviene da questo paese.
Per due anni i sindacati indipendenti si sono mobilitati contro le politiche sociali e del lavoro del governo, ma da novembre 2017, innumerevoli sindacati indipendenti nel servizio pubblico stanno portando avanti mobilitazioni sempre più conflittuali contro il governo. Oltre alla compagnia aerea pubblica Air Algerie, gli operatori dei trasporti locali e il servizio postale, le società statali di elettricità e gas hanno proclamato scioperi e proteste.
Ahmed Ouyahia, primo ministro e leader del partito di governo “Rassemblement National Democratique” (RND), mentre reprime violentemente queste proteste e perseguita sindacalisti indipendenti e militanti dei movimenti sociali, ricorre alla propaganda populista contro gli immigrati africani per distogliere l’attenzione, creare un capro espiatorio e garantire gli accordi con l’Unione europea sul controllo dei flussi migratori.
Continuano infatti i rastrellamenti e le espulsioni di massa di persone migranti provenienti dalla regione subsahariana. Nelle ultime settimane sono più di 1500 le persone che sono state arrestate e deportate alla frontiera sud per essere poi abbandonate nel deserto tra Mali e Niger. Secondo delle testimonianze, una volta catturati “les black” vengono detenutx in campi di fortuna per qualche tempo e successivamente sotto minaccia vengono caricate su camion e abbandonate nel deserto, senza acqua né viveri, non prima di essere spogliati di tutti i loro averi (soldi, cellulari e altro). In queste condizioni sono costretti a marciare decine di chilometri verso la frontiera più vicina, che nella maggior parte dei casi non corrisponde a quella del paese di provenienza.
Alcune cifre ufficiali parlano di 28.000 espulsioni dal 2014. Le autorità algerine continuano a ripetere che queste espulsioni avvengono “in concertazione con i governi dei paesi coinvolti”, ma si tratta di una pura menzogna. A parte il programma “di rimpatrio volontario” firmato con l’OIM, organismo che si rende complice di tutte quelle violenze che le autorità algerine mettono in atto per spingere le persone a firmare la richiesta di rimpatrio, la Lega dei diritti umani algerina sottolinea che ad ora esiste solo un accordo “opaco” con il Niger concernente prima di tutto donne e bambini. Del resto la stampa locale accenna ad accordi sotterranei con i paesi europei ma nessuno ne parla in maniera ufficiale.
Così dal 2014, e specialmente nei primi mesi di quest’anno, continue retate vengono compiute a più riprese ad Algeri, Orano e in tutte le altre città del paese in un crescendo di discriminazione e di persecuzione razziale. In effetti, già nel 2017 diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani affermavano che gli arresti delle persone “sono basate sul profilo etnico, poiché poliziotti e gendarmi non cercano di sapere se i migranti soggiornano legalmente in Algeria, non verificano i loro passaporti, né altri documenti”. Il governo dal canto suo non fa altro che ripetere i consueti discorsi sui migranti in quanto causa maggiore della disoccupazione nel paese, nonché di essere i principali fautori di ogni sorta di crimine e delle spaccio di droga.
Proprio in questi giorni e per la prima volta in questi anni diverse organizzazioni non governative algerine, militanti dei diritti umani e attori della società civile hanno reso pubblico un appello per la protezione dei diritti umani in Algeria chiedendo apertamente la “fine delle deportazioni di massa”. Nel testo dell’appello si denunciano “le operazioni arbitrarie che prendono di mira migliaia di migranti subsahariani, tra cui anche persone altamente vulnerabili”. I firmatari, inoltre, chiedono al governo di provvedere in tutta urgenza alla creazione di “un quadro nazionale in rispetto dei diritti dei lavoratori migranti e di una legge sull’asilo che permetta l’accesso anche allo statuto di rifugiato”.
Cresce intanto la rabbia tra le persone deportate che hanno subito maltrattamenti, torture, detenzione in Algeria e hanno rischiato la morte per disidratazione dopo essere state abbandonate nel deserto. “Per protestare contro questi trattamenti disumani”, come raccontano i giornali locali, lo scorso 12 marzo diverse centinaia di persone, tra le quali molte che recentemente avevano subito la deportazione dall’Algeria, hanno manifestato davanti all’ambasciata algerina a Bamako in Mali. Con pneumatici, pietre, tronchi d’albero, hanno barricato la strada bloccando il traffico. La polizia presente sulla scena, in minoranza numerica e intimorita dalla determinazione dei manifestanti, in un primo momento è fuggita per cercare rinforzi. Prima del loro ritorno, i manifestanti hanno dato fuoco al giardino che si affaccia sull’ambasciata. Le barriere di ferro sono state distrutte, così come i vetri delle finestre, le lampadine e le telecamere di sorveglianza. Solo il successivo intervento in forze dei plotoni antisommossa che hanno attaccato i dimostranti con gas lacrimogeni, effettuando circa 12 arresti, ha impedito che la rabbia delle persone deportate irrompesse nei locali dell’ambasciata.
“Sono venuti in gran numero. Il loro obiettivo era chiaramente attaccare l’ambasciata e il suo staff. Sono persone espulse dalla Libia e dall’Algeria. Loro vogliono, attraverso questo evento, far pagare all’Algeria ciò che hanno vissuto quando erano in questo paese “, ha affermato un commissario di polizia. Secondo le testimonianze raccolte sul posto, i manifestanti hanno detto di aver voluto inviare un forte segnale alle autorità algerine che impone loro condizioni di vita disumane sul suo territorio e persino al momento del loro rimpatrio.
In diverse occasioni il Consiglio superiore della diaspora maliana (CSDM) ha denunciato le condizioni in base alle quali i maliani sono trattati sul suolo algerino e il modo in cui vengono espulsi: cioè “gettati” nel deserto.