Bologna – Resoconto del presidio contro CEFA

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Il 20 giugno ci siamo riunite/i in presidio in via Marsala 12 di fronte a Palazzo Grassi, sede del circolo ufficiali dell’esercito, dove la nota ong bolognese CEFA avrebbe voluto festeggiare le sue ultime imprese con un aperitivo di beneficenza di gran gala. Ad attenderci, il solito deprimente gruppetto di polizia e digos che premurosamente ci avvisa che l’evento non c’è più. Chiaramente, se la digos invita ad allontanarsi la cosa migliore da fare è rimanere un altro po’ a dare volantini e informazioni sul CEFA e sulle sue attività.

Dopo esserci accertati sull’effettivo annullamento dell’evento, abbiamo deciso di partire in corteo per il centro della città spiegando, con una serie di interventi da megafono e microfono, le motivazioni principali della protesta: soprattutto la partecipazione del CEFA a ben due chiamate internazionali bandite dall’AICS (agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo) per effettuare “interventi umanitari” all’interno dei centri di detenzione nella provincia di Tripoli, in Libia.

Siamo felici dunque di essere riusciti ad incidere, al punto di spingerli ad annullare la serata pur di non rischiare di mostrare, a chi avrebbe sborsato ingenti quantità di soldi per le loro “lodevoli” iniziative, il loro vero volto di umili servitori del meccanismo securitario delle frontiere.

Precisiamo che il primo progetto approvato dal bando AICS, presentato dal CEFA insieme alla fondazione milanese “L’Albero della Vita” e al CIR (Consiglio Italiano Rifugiati), denominato “Sostegno ai migranti del centro di Tarek el Matar e alla comunità ospitante” e finanziato per circa 670 mila euro, si è svolto da dicembre dello scorso anno fino ad aprile 2018, con una durata, per ora, di quattro mesi.
Un secondo, invece, dal titolo “Sostegno ai migranti dei centri di Zwara e Janzour (e alle comunità ospitanti) in Libia”, (non più consultabile sul sito web dell’ong bolognese), con una durata prevista di 10 mesi e proposto da CEFA, HELPCODE e FSD, sarebbe stato bocciato per un cavillo amministrativo. Quindi, tecnicamente ad oggi CEFA non è più nei centri in Libia, ma questo poco importa. CEFA nelle prigioni libiche c’era e ci sarebbe tornato, se solo la burocrazia non si fosse messa in mezzo.

Entrambi i progetti presentati si basano sul concetto neocoloniale di fornire assistenza in contesti di “prima emergenza” con la pretesa di avere gli strumenti “giusti” per migliorare le condizioni alimentari e igieniche e il livello di protezione delle fasce più vulnerabili della popolazione migrante incarcerata in centri dove, come CEFA stesso dichiara, “gli standard umanitari non sono affatto rispettati” e dove i detenuti “sono vittime di abusi e i cui diritti umani vengono violati”.
Non è possibile rendere umana e dignitosa la vita in una prigione e, anzi, la subdola retorica umanitaria fornisce una funzionale copertura a veri e propri lager mentre l’operato delle ong rientra in questo sistema che si rivendica solidale con gli oppressi e gli sfruttati, ma che in realtà va strettamente a braccetto con gli interessi degli sfruttatori.

Abbiamo gridato per la città che non esiste un modo buono di stare in quei posti e che oltre ad aver supportato la questione demagogica dell'”emergenza flussi”, l’ong bolognese si è attivata per fungere da complemento necessario del progetto di esternalizzazione delle frontiere attuato dall’ex ministro degli interni, Marco Minniti, cogliendo al volo l’opportunità di cooperare con lo stato italiano nella gestione dei flussi migratori, in linea con gli interessi governativi, in particolar modo per quanto riguarda le politiche securitarie degli ultimi anni. Tale gestione ha previsto da un lato una costante e crescente militarizzazione dei confini, mentre dall’altro ha individuato proprio nelle ong il mezzo di normalizzazione di situazioni e realtà fortemente precarie e disastrose, come quelle riguardanti il contesto libico, dove sono in gioco altri grandi interessi, come ad esempio quelli di ENI.

Abbiamo ribadito che chi lavora e collabora con organizzazioni di questo tipo e partecipa alla visione umanitaria delle strategie di sviluppo e sicurezza imposte in giro per il mondo, altro non fa che essere complice del sistema autoritario di controllo e sfruttamento, che genera troppo spesso morte e distruzione, ideato dagli stati e dalle grandi organizzazioni finanziarie ed economiche. Le organizzazioni presenti in Libia stanno così contribuendo ad un cambiamento particolare: quello che si concretizza nella continua ridefinizione dei ruoli e delle modalità attraverso cui un tale assurdo sistema si abbatte sulla vita quotidiana delle persone.

Sappiamo bene che il territorio bolognese è costellato di cooperative, associazioni e organizzazioni che si assumono volentieri il compito di intervenire in contesti di questo genere. Ad oggi, oltre al CEFA, anche un’altra famosissima ong, GVC Italia, ha partecipato alla chiamata dell’AICS, aggiudicandosi l’approvazione ed un finanziamento di un milione di euro, con un progetto dal titolo “Supporto d’emergenza a migranti e comunità ospitanti nelle aree di Janzour e Gharyan”, insieme alle ong Emergenza Sorrisi e ICU (Istituto per la Cooperazione Universitaria. Sulla falsa riga del progetto di CEFA e company, anche questo è rivolto a migliorare le condizioni di vita delle persone detenute all’interno dei centri di prigionia della provincia tripolitana.
Invece che trovarci in piazza Nettuno con collettivi, associazioni e sindacati a braccetto con le istituzioni, abbiamo ritenuto opportuno manifestare contro tutti quei soggetti che, usando la data del 20 giugno come “giornata mondiale del rifugiato”, in realtà non fanno altro che perpetrare le dinamiche di controllo e sfruttamento contro le quali dichiarano di voler opporsi. La manifestazione di cui parliamo ha avuto come ospite d’eccezione la sindaca di Barcellona, Ada Colau. Per l’ennesima volta è andata in scena la pantomima del buon militante cittadino che si ritrova in piazza con i rappresentanti delle istituzioni, fornendo un utile supporto a chi è responsabile delle politiche securitarie da sempre in atto. La vicenda della nave Aquarius e la sua momentanea risoluzione con l’intervento del governo spagnolo sono un altro refugeeswelcome-washing che nasconde politiche raccapriccianti come la gestione delle frontiere a Ceuta e Melilla, dove c’è una vera e propria caccia all’immigrato, muri di filo spinato e un supporto economico al governo marocchino che pesta gli immigrati e dà fuoco agli accampamenti di fortuna nei boschi nei pressi delle due enclaves spagnole.

Lottare contro le frontiere significa riconoscere come frontiere anche tutti quei soggetti responsabili dell’incremento del controllo, del colonialismo, della gestione delle persone.

Significa attaccarli invece che scendere in piazza insieme a loro.

CEFANCORASCHIFO!

Nemiche e Nemici delle frontiere

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