Le stazioni sono frontiere

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Nel 2015 con il “Progetto gate” è iniziata la militarizzazione di alcune grandi stazioni italiane: prima Milano Centrale in occasione di Expo, poi Roma Termini e Firenze Santa Maria Novella. Il Gruppo Ferrovie dello Stato ha schierato gli agenti della “protezione aziendale” (struttura che si occupa di antifrode e collabora strettamente con le fdo) lungo l’ennesima frontiera interna: i varchi di accesso ai binari da cui partono i treni. Nelle stazioni suddette è ormai invalsa la prassi di controllare i biglietti in una zona presidiata da militari e fdo e situata tra il centro commerciale della stazione e i binari. Il pretesto è quello di rendere più sicure le stazioni dal rischio di furti e attacchi terroristici, ma gli obiettivi effettivamente raggiunti sono altri: da un lato ripulire la stazione (e i treni) da quell’umanità in eccesso e non produttiva che sperimentava le più varie forme di sopravvivenza ai margini del viavai quotidiano (una bancarella ambulante, una panchina dove riposare, un luogo di passaggio dove elemosinare); dall’altro lato aumentare i profitti delle aziende di trasporto attraverso un controllo sempre più serrato nelle stazioni e sui treni. D’altronde il nesso tra i varchi e l’antiterrorismo è evidentemente sfuggente, considerando il fatto che con un biglietto in mano l’accesso ai binari è consentito a chiunque. Pur mancando ancora i gates di accesso, anche a Torino, Bologna, Venezia e Napoli i controlli in stazione da parte di protezione aziendale e militari sono sempre più frequenti.

Da circa un mese una novità esalta la polizia ferroviaria, una nuova tecnologia che si aggiunge alle centinaia di videocamere disseminate nelle stazioni e sui treni: il palmare CAT S60. Ha l’aspetto di un classico smartphone, al momento pare ce ne siano in giro 800 e la sua sperimentazione è stata affidata alla polfer in servizio nelle stazioni di Milano e Roma, proprio a ribadire la trasformazione delle stazioni in zone di confine alla stregua degli aeroporti e delle varie frontiere interne. Con questo dispositivo di controllo high-tech i controlli si susseguono più rapidi che mai: il poliziotto inserisce le generalità o passa la banda magnetica del documento elettronico sullo schermo del palmare. Questo è collegato alla banca dati delle forze dell’ordine: in caso di precedenti penali o pendenza di provvedimenti di polizia, un segnale acustico risuona istantaneamente nella sala operativa della polfer che si mette in contatto con la pattuglia per dare ordini sul da farsi ed eventualmente inviare rinforzi, ulteriormente facilitata in questo dal GPS attivo sul palmare.

L’accesso alla banca dati e il coordinamento con la sala operativa sono dunque istantanei e questo permette di controllare un numero sempre maggiore di persone. Questo nuovo dispositivo è dotato anche del software chiamato “face control”, con cui la polizia ha un riscontro sulla corrispondenza della fotografia presente nella banca dati con quella del documento esibito. Non solo: una termocamera permette di individuare le persone attraverso il calore prodotto dal corpo fino a 10 metri di distanza, il che renderà meno complici l’oscurità o un bagno guasto.

Oggi anche nella stazione di Roma Tiburtina sono cominciati i controlli con questa nuova tecnologia: un poliziotto con palmare in mano e due militari con fucile in spalla fermavano ragazzi con zaino in spalla e sopratutto persone con tratti somatici non tipicamente occidentali in una stazione che va assomigliando sempre più ad un centro commerciale di frontiera. Tanti negozi, bar e salotti riservati a chi viaggia in prima classe sull’alta velocità, nessun bagno ad uso pubblico né panchine, per scongiurare il bivacco di chi non ha una destinazione e non consuma, videocamere militari e poliziotti che con armi e nuove tecnologie controllano e selezionano chi ha diritto a muoversi.

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