Roma – Domenica 7 ottobre – Presidio al CPR di Ponte Galeria

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L’estate appena trascorsa ha visto media e opinione pubblica concentrarsi in modo particolare sul tema immigrazione. La presenza di Matteo Salvini al Ministero dell’Interno, e la forte propaganda mediatica razzista degli ultimi mesi, hanno senza dubbio dato man forte agli innumerevoli atti di violenza contro persone di altre etnie e Paesi di provenienza che si sono susseguiti da nord a sud, causando spesso gravi ferimenti e uccisioni. Grande spazio hanno avuto poi i testa a testa del governo italiano con i rappresentanti degli altri Paesi europei sulla questione degli sbarchi, con i noti slogan che ritraggono la situazione italiana in perenne emergenza immigrazione.

In realtà i dati riportati dal Viminale nel dossier sulla sicurezza ci dicono che durante il periodo 1 agosto 2017-31 luglio 2018 sono sbarcate in Italia 42.700 persone, il 76,6% in meno dell’anno precedente, quando le coste italiane erano state raggiunte da quasi 183.000 migranti. Sappiamo bene che fine hanno fatto le persone che non sono mai arrivate, lasciate morire in mare o respinte in Libia, rinchiuse nei lager nati in seguito all’accordo con l’Italia dell’estate 2017 avente l’intento di frenare e controllare l’immigrazione dall’Africa e dall’Asia.

Pestaggi, torture, stupri e violenze di ogni genere sono all’ordine del giorno, e tutti ne sono a conoscenza. Per rendere più umana e accettabile dall’opinione pubblica democratica e indignata la brutalità di quei lager, e continuare a fare affari sulla vita delle persone migranti, l’Italia ha stanziato dei fondi destinati alla fornitura dei servizi di base assenti nelle prigioni libiche, e le ong vincitrici del bando sono partite alla volta della Libia. 

Questa complicità nel sistema di gestione e controllo delle persone in cambio di soldi, nascosta sotto la maschera della missione umanitaria, non ci è affatto nuova. L’intero sistema di accoglienza delle persone migranti (CARA, CAS, SPRAR) è in mano a cooperative che lucrano sulla vita di individui ai quali viene impedito di decidere dove, come e con chi vivere; persone infantilizzate e inchiodate dall’attesa estenuante dell’esito della domanda di protezione internazionale, che può durare anni. Anni durante i quali la propria vita è in mano ad altri.

Il 67% di chi è costretta nel circuito dell’accoglienza si vede poi recapitare un diniego che spalanca le porte a una vita da irregolare, con il pericolo continuo di retate delle forze dell’ordine e ingresso nei CPR, i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (ex CIE) istituiti nel 1999 per recludere ed espellere le persone senza documenti. Nell’ultimo anno sono state circa 7000 le deportazioni.

Dopo la chiusura di alcune sezioni o interi CPR grazie alle rivolte delle persone che vi erano recluse, la legge Minniti-Orlando, entrata in vigore lo scorso anno, ha previsto la ristrutturazione e l’apertura di nuovi lager. Al momento attuale quelli attivi sono 6 (Torino, Roma, Bari, Brindisi, Palazzo S. Gervasio, Caltanissetta) e altri 4 sono in fase di attivazione (ex carcere di Macomer, Modena, Gradisca d’Isonzo, Milano). 

A Ponte Galeria i lavori di ristrutturazione della sezione maschile sono andati avanti tutta l’estate.

Salvini è forse il volto brutale, la legittimizzazione di ideologie ed efferatezze razziste, ma dietro tutto questo c’è l’operato dei tanti che lo hanno preceduto e dei suoi alleati di governo.

L’approvazione del decreto di sicurezza e migrazione conferma l’impegno nel colpire i gruppi più deboli della società: raddoppio del  tempo massimo di trattenimento nei CPR, che passa da 90 a 180 giorni; estensione delle aree di applicazione del Daspo urbano; sperimentazione del taser nei comuni con più di 100.000 abitanti; aumento di pene per gli occupanti di case e molto altro.

La macchina statale delle espulsioni e del controllo delle persone non si è mai arrestata, continua imperterrita il suo lavoro.

Nonostante questo sono tantissime le proteste di donne e uomini nei centri accoglienza e nei CPR di tutta Italia che provano ad incepparne i meccanismi.

Solidarizziamo con chi lotta e resiste nei centri di accoglienza e nelle prigioni per migranti.

Partecipiamo al presidio come momento concreto per rompere il silenzio che circonda le mura e provare a scambiare contatti con le detenute all’interno.  

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