Trapani – CIE, poi Hotspot e ora CPR: cambiano i nomi ma nel lager di stato continuano i tentativi di fuga e le rivolte

Secondo quanto riporta il blog Borderline Sicilia “l’hotspot di Trapani dal primo ottobre è ufficialmente un CPR, quindi la prefettura ha sospeso il bando esistente affidando la gestione a Badiagrande, che a suo tempo aveva vinto il bando quando la struttura era un CIE (prima di essere trasformata in hotspot)”.

Il nome della struttura è cambiato 3 volte in tre anni ma rimane inalterata la realtà di un campo di concentramento per la selezione e la deportazione delle persone migranti, così come le continue resistenze di chi vi è recluso.

Lo scorso 10 febbraio una sessantina di reclusi aveva tentato la fuga e dato fuoco a delle suppellettili. Un nuovo tentativo di fuga collettivo è avvenuto l’8 ottobre: “novanta immigrati hanno cercato di scappare in massa dall’hotspot di Milo, a Trapani. Si tratta di un grosso numero di tunisini trattenuti nel centro per lo smistamento e l’identificazione della città siciliana. Come scrive TrapaniOggi, si è reso necessario l’intervento della polizia (agenti della questura di Trapani e il reparto mobile di Palermo) per arginare le loro velleità e per riportare la situazione nei ranghi. Non è escluso che nel caos creatosi all”interno dell”hotspot – e durato diversi minuti – qualcuno sia effettivamente riuscito a darsela a gambe. Pare, infatti, che qualcuno sia riuscito a scavalcare le recinzioni e far perdere le proprie tracce alle forze dell”ordine intervenute.
Il giorno successivo, 9 ottobre, 20 tunisini sono stati deportati nel paese di provenienza, con uno dei consueti voli programmati due volte a settimana, in base agli accordi col governo della Tunisia, dall’aeroporto Falcone-Borsellino di Palermo verso l’aeroporto di Enfida-Hammamet

In un comunicato, i sindacati di polizia si sono lamentati della situazione nel lager: “il personale dei reparti mobili della polizia è spesso in numero inadeguato per fronteggiare le continue rivolte poste in essere dagli ospiti extracomunitari, “si susseguono gli episodi di violenza, vere e proprie azioni di guerriglia organizzata. Oltretutto, a rendere ancora più difficile la situazione c’è il fatto che la struttura, al momento, non è ancora adeguata alle caratteristiche richieste per un Cpr”.

In Sicilia rimangono ora tre hospot sui quattro presenti in Italia: Messina, Lampedusa e Pozzallo. In quest’ultimo lager 72 persone (e tra di loro una donna incinta e bambini di età compresa tra i 5 mesi e i 5 anni) sono segregate da tre mesi, malgrado il trattenimento negli hospot sia autorizzato per 48 ore, tempo aumentato dal recente decreto sicurezza ad un massimo di 30 giorni. Anche a Pozzallo, nel maggio scorso, un tentativo di fuga era stato represso dall’intervento delle forze dell’ordine.

A Lampedusa l’hotspot, con una capienza ufficiale di 95 posti e ancora non completamente ristrutturato dopo la rivolta del marzo 2018, continua a recludere quasi 200 persone – sbarcate direttamente sull’isola – in disastrose condizioni di sovraffollamento e mancanza dei minimi servizi: anche i minori sono costretti a dormire per terra e negli uffici del personale.
In Sicilia è presente anche un altro CPR, quello di Caltanisetta – Pian Del Lago, a quanto ne sappiamo ancora chiuso in seguito ai danneggiamenti provocati dalla rivolta del 9 dicembre 2017. Per questa rivolta, che ha temporaneamente chiuso un lager dal quale nel 2017 erano state deportate 1.565 persone, due tunisini sono detenuti in carcere e sotto processo con l’accusa di “devastazione e saccheggio”.

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