Roma – Di CPR si muore ancora

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ROMA – MORTA UNA DONNA NEL CENTRO DI DETENZIONE PER MIGRANTI DI PONTE GALERIA

L’11 novembre scorso una donna è morta nel CPR di Ponte Galeria (Roma). Siamo venute a saperlo ieri, 24 novembre, durante il presidio davanti le mura di quel lager. Dai racconti delle recluse emerge che Natalia avesse problemi di cuore e nonostante questo, in seguito ad un malore, i soccorsi sono arrivati solo quando lei era già morta.
In generale, da questa e altre storie, sappiamo che all’interno dei centri di permanenza per il rimpatrio le persone che necessitano di cure o medicinali normalmente non le ricevono.
Questa morte ci appare un fatto speciale, ma è in realtà un caso limite di una situazione quotidiana fatta di negazione delle cure, condizioni igieniche indegne e pasti scadenti nella generale privazione di libertà e violenza quotidiana.
Se da un lato la distribuzione dei farmaci richiesti (anche da prescrizione medica) viene negata, dall’altro la medicalizzazione delle recluse avviene attraverso la somministrazione di psicofarmaci nascosti nel cibo.
Complici e responsabili di quanto avviene all’interno del CPR sono la Cooperativa sociale Albatros 1973, la prefettura di Roma e il garante nazionale dei diritti dei detenuti, oltre che tutti coloro che col centro collaborano.

Ancora una volta le uniche che ci raccontano quanto accade nei lager sono le persone recluse. Infatti la notizia della morte di Natalia è uscita solo grazie alle loro voci.
I giornali e le associazioni non si sono occupati di tutto ciò, confermando il loro ruolo di connivenza e continuando a garantire la facciata democratica dei centri.
La sera in cui si è consumata questa infamia le detenute hanno deciso di rifiutare il pasto collettivamente.
Sappiamo inoltre che da almeno tre giorni nel CPR di Ponte Galeria non c’è acqua calda.

La violenza sulle donne che lo stato continua a dire di combattere in realtà è strutturale, e viene agita fra gli altri dai tutori dell’ordine sistematicamente in strada e nelle galere, oltre che in casa. Quanto ci raccontano da dentro le mura del CPR e quanto viviamo ogni giorno ne è la prova.
Decidiamo  di recarci lì davanti ogni mese per solidarizzare con le donne che vivono quotidianamente la violenza degli stati colonialisti e patriarcali.

IL MIGLIOR MODO PER SAPERE COSA ACCADE NEI CENTRI È SENTIRE LA VOCE DI CHI È RECLUSA, PER QUESTO È IMPORTANTE ESSERE SOTTO QUELLE MURA.

PORTIAMO IN STRADA LA NOSTRA RABBIA PER QUANTO È ACCADUTO E CONTRO QUESTO SISTEMA SUPREMATISTA E ASSASSINO.

Solidarietà per Trabelsi, condannato a dieci anni di carcere  per la rivolta del Dicembre 2017 a Pian del Lago

Oggi come ieri, l’indifferenza è complicità

Nemiche e nemici delle frontiere

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