In questi ultimi giorni la cronaca romana ha dato grande spazio all’iniziativa di tale Fabio Saccomani. La sua opera, dal nome (S)ink, consiste nella scrittura, sull’isola pedonale del Pigneto, di 36570 nomi di persone uccise nelle stragi in mare, nel tentativo di arrivare in Europa. La grande idea sarebbe l’utilizzo di una vernice che appare visibile solo se bagnata.
Dunque, nelle giornate piovose, si potranno calpestare 36570 nomi di persone “seppellite dall’acqua” (perché questo viene detto) scritti con l’inchiostro simpatico.
Ovviamente questa lista, che si ipotizza completa come se le stragi non avvenissero a ritmo incessante, ha una pesante presenza di “No Named”. Ovvero di persone non identificate.
Sulle mancate identificazioni è in corso una grande sperimentazione tra università e apparato militare, ospitata nelle basi NATO come quella presente ad Augusta. Con il pretesto di “dare finalmente un nome” alle persone che gli stessi Stati europei non hanno voluto far arrivare, si sta lavorando sulla raccolta e l’incrocio di dati, utilizzando ogni elemento ritrovato in possesso delle centinaia di corpi che hanno a disposizione e sulle imbarcazioni che vengono recuperate.
Agende, numeri di telefono, fotografie e appunti avrebbero il compito di far risalire, non solo ai parenti e alle relazioni, ma anche alla rete che permette di effettuare i viaggi a pagamento.
La maxi mappatura del DNA che viene prelevato dai cadaveri avrebbe il compito non solo di aiutare l’identificazione ma anche di affinare la ricerca in questo campo, con il fine di conoscere meglio le rotte migratorie per contrastarle.
Sulle stragi in mare si è sempre rafforzata la militarizzazione del Mediterraneo. Dalle operazioni Frontex a quelle “umanitarie”, come Mare Nostrum, gli Stati europei hanno cavalcato l’onda emotiva di alcuni massacri per continuare a scatenare la guerra contro le persone migranti, parlando di salvataggi. Solo più di recente assistiamo alle battaglie navali con le ONG, a cui partecipiamo tra social network e tv.
Oltre al grande senso di impotenza, concentrarsi unicamente su quello che avviene nel Mediterraneo genera un grande rimosso. Si finisce per dare per normali e scontate le politiche europee di rifiuto dei visti e di chiusura delle frontiere, che obbligano le persone a rischiare la vita in mare. E poi, quanti sanno o si domandano che fine fanno le persone che arrivano vive sulle coste di questo paese? In quanti conoscono le politiche di segregazione e i percorsi forzati che le persone devono affrontare, vedendosi negata ogni possibilità di scelta e autodeterminazione? In quanti sanno come e se è possibile avere un documento in regola per il soggiorno e cosa comporta non averlo?
Fabio Saccomani e il suo team sono a conoscenza di cosa è stato negli ultimi anni il Pigneto per le persone immigrate che hanno attraversato il Mediterraneo? Conoscono le retate in pieno giorno, le operazioni militari contro la comunità senegalese di via Campobasso o il gruppo Pigneto Vivo, impegnato da sempre nel rendere possibile questo abominio?
Forse chi ha un cuore e vive quel quartiere, più che calpestare 36570 nomi di persone uccise, vorrebbe gridare “non in mio nome” e prendersela con i diretti responsabili. E non parliamo né di Poseidone, né di Nettuno.
La consapevolezza del massacro che avviene da anni nel Mediterraneo è inutile e autoassolutoria se non si indicano, e contrastano realmente, i responsabili, affiancandosi alle lotte quotidiane delle persone che subiscono sulla loro pelle le politiche di gestione dell’immigrazione.