Protesta e incendio nel CPR di Brindisi – Restinco

Lunedì 9 marzo, verso le 20.30, le persone recluse nel CPR di Brindisi Restinco hanno portato avanti una protesta, che fa seguito a quella del 7 febbraio.

Sembra che ci siano stati degli incendi nel padiglione C della struttura, spenti dall’intervento dei vigili del fuoco. Queste sono le uniche notizie trapelate.

Nello stesso giorno, poco prima della protesta Radio Radicale aveva intervistato una persona reclusa nel lager di Brindisi, che ha raccontato la situazione che vivono i reclusi all’interno e le preoccupazioni per i rischi di contagio da coronavirus.
Di seguito la trascrizione di alcuni estratti:

“Noi siamo qui e viviamo ogni giorno con l’ansia. Anche perché con le ultimi leggi ci trattengono sei mesi, sembra una condanna, una condanna senza reato, ci trattengono qua per 6 mesi, per 180 giorni. E in più con questo coronavirus ultimamente stiamo vivendo un’ansia incredibile, perché entrano, facendo i turni, agenti della polizia, carabinieri, militari, finanzieri, questi hanno contatti con la gente fuori, e non si sa mai, hai visto, fino a oggi sono arrivati a 8.000 contagi, 500 morti.
Noi stiamo vivendo un momento di agitazione, di paura, anche perché noi siamo nel centro, davvero come animali dentro le stalle, nessuno viene a farci controlli [sanitari], praticamente siamo a scontare una pena di 6 mesi. E noi qua dentro, a nessuno arriva la nostra voce. Non ti saprei dire quanti siamo qui dentro perché ci sono dei blocchi e nessuno può vedere l’altro, ma è peggio del carcere. Qui è una sofferenza incredibile, prima non prendevo nulla adesso sono arrivato a prendere gli psicofarmaci per addormentarmi la notte, per gli attacchi di panico. Fino a oggi noi cerchiamo [di farci sentire] in modo pacifico, siamo come i cavalli dentro le stalle, chiusi, e nessuno ci sta ascoltando, né gli organi interni né quelli fuori, al ministero, perché ormai non ci guarda nessuno, perché questa cosa è ormai un’emergenza nazionale, internazionale. Rispetto alle richieste di rimpatrio, i nostri paesi non ci vogliono più, con questa emergenza e i decreti che sono usciti i rimpatri sono stati bloccati. Io mi faccio la domanda: “perché noi siamo ancora qui?” . 6 mesi qui sono una condanna, a questo punto preferisco andarmene in carcere e chiedere gli arresti domiciliari.
Spero che la nostra voce arriverà all’autorità che è più alta in Italia, al ministero dell’Interno, perché non si tratta di una settimana o un mese, questa sarà un’emergenza per mesi e mesi e noi davvero da un momento all’altro possiamo contagiarci con questo virus, ma facile, nemmeno in 30 secondi saremo contagiati. Noi vogliamo essere ascoltati e aiutati, non essere ignorati, questo è il punto di partenza.”

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