Atene – Le donne nel lager di Petrou Ralli continuano da 9 giorni lo sciopero della fame. Domenica 10 novembre presidio solidale

Traduzioni da: Indymedia Athens

5 novembre

Disegno mandato da una scioperante a Petrou Ralli

Nel centro di detenzione per stranieri di Petrou Ralli, lo sciopero della fame cominciato il 2 novembre da 16 donne, 14 della Siria e 2 della Palestina, continua. La loro richiesta è il trasferimento immediato nelle isole dove hanno iniziato le procedure di asilo, per completarle.  La loro decisione di non fermarsi fino a quando non verranno accolte le loro rivendicazioni, si rafforza. I messaggi che ci inviano costantemente lo confermano. Hanno bisogno del sostegno e della solidarietà pratica di tuttx. È quello che sperano. Vivendo in questa gabbia, a tempo indeterminato, senza sapere perché e fino a quando, senza essere state informate da nessuno, senza aver commesso alcun crimine, non gli è rimasta nessun’altra speranza. Il crimine è la loro detenzione e lo sciopero della fame è il mezzo scelto per resistere al tormento della loro paranoica reclusione, che le cancella come esseri umani. Non si sono lasciate convincere dalle bugie che vengono raccontate dalla polizia, come ad esempio: “Termina lo sciopero, inizia a mangiare e ti aiuteremo a uscire di qui” o viceversa: “Ferma lo sciopero della fame, perché non otterrai niente. Altre hanno fatto lo stesso, in passato, e in una settimana sono state trasferite, malate, con le ambulanze negli ospedali e in seguito sono state riportate qui” etc. etc., per spezzare il morale. Né hanno accettato la cioccolata con la quale hanno cercato di attirarle e spezzarle… Queste donne ci insegnano cosa significa dignità! Vogliono che il loro grido sia ascoltato in tutto il mondo e non venga dimenticato. Vogliono toccarci, svegliarci e scuoterci. Chiedono di poter di nuovo esistere come persone!

7 novembre

Martedì pomeriggio, al 4° giorno di sciopero, il quartier generale della polizia per l’immigrazione ha risposto alla richiesta di 7 scioperanti, trasportandole in barca verso le isole dove dovrebbero completare le loro procedure di asilo: 5 a Kos e 2 a Chios. Le minacce, gli schifosi attacchi verbali sessisti da parte della polizia contro le donne che hanno rifiutato di mangiare, sono finiti. Gli ordini sono cambiati. Ora potevano andarsene e respirare liberamente. Le 9 donne rimaste nel lager hanno continuato lo sciopero della fame. Abbiamo ricevuto una denuncia dal coniuge di un scioperante palestinese, secondo cui la ragazza ci sta chiedendo di raccontare la sua storia, per far sapere a tutto il mondo che se non la lasciano andare direttamente nell’isola di Leros per completare la sua richiesta di asilo, in modo da poter raggiungere e vivere con suo marito rifugiato in Belgio, si suiciderà. Non abbiamo diffuso immediatamente la notizia, perché pensavamo si trattasse di una dichiarazione che avesse fatto in un momento di disperazione, il che non è raro in questo sporco luogo di confinamento e costanti torture. Ma in seguito alle informazioni che abbiamo ricevuto ieri dal centri di detenzione, riteniamo nostro dovere diffondere la sua richiesta, con il suo nome e con l’accordo delle altre, poiché ieri le scioperanti hanno deciso di dare una svolta pericolosa alla loro lotta e hanno iniziato anche uno sciopero della sete. Alle 19.30 Fatima è svenuta. Una reclusa ha chiamato la guardia di turno chiedendo di portare la ragazza in ospedale per darle l’aiuto di cui aveva bisogno. Il brutale poliziotto, in un modo razzista omicida e misogino ha risposto: “Non vado da nessuna parte. È una sua responsabilità se è svenuta. Se rifiuti di mangiare è naturale svenire. Se vuole morire, deve morire.” Dopo di che se ne andò. La ragazza fu scossa dalla rivolta causata dall’indifferenza omicida della polizia. “A loro non importa se viviamo o moriamo”. Certo, la guardia ha fatto tutto il possibile per farlo accadere e speriamo che durante la notte non sia successo niente di peggio. Continua a leggere

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Deportazioni in Tunisia

Sono di pochi giorni fa le dichiarazioni della ministra degli interni Luciana Lamorgese “Non siamo di fronte ad alcuna invasione… basti pensare che nel 2019 gli arrivi sono stati circa 9.600 rispetto ai 22 mila di tutto il 2018” che poi continuano con la soddisfazione del ministro per l’aumento del numero dei rimpatri termine al quale noi preferiamo deportazioni perché restituisce la vera natura di queste pratiche infami: «a ottobre sono sbarcati sul territorio italiano 379 tunisini e siamo riusciti a rimpatriarne 243, di cui 138 sbarcati nello stesso mese. In questo modo la percentuale dei rimpatriati rispetto agli sbarcati è di oltre il 60%».

Tra le persone più colpite dalle deportazioni ci sono sicuramente quelle che provengono dalla Tunisia come testimoniano le note del viminale; la cronaca di questi giorni ci restituisce la drammatica condizione delle persone tunisine colpite da questi provvedimenti.
Ieri ad esempio è stato imbarcato su un aereo per Tunisi e deportato su iniziativa della questura di Reggio Emilia un 34enne tunisino che era in Italia dal 2002. L’uomo che in passato aveva già ignorato alcuni decreti di espulsione a suo carico era stato arrestato il 21 giugno del 2018 ed era stato tradotto nel carcere di Reggio con una condanna a due anni; il 27 settembre scorso è stato raggiunto anche da una sentenza del Magistrato di Sorveglianza di Reggio che ne ha disposto l’espulsione come sanzione alternativa alla pena. Il lasciapassare dal consolato tunisino di Genova è arrivato il 29 ottobre e come detto è stato deportato ieri.

Ad Ancona invece un uomo di origine tunisina di 34 anni recluso nel carcere di Montacuto, e in sciopero della fame dal 2 novembre, si è cucito labbra e palpebre e ha poi ingoiato delle pile per protestare contro il decreto di espulsione che prevede la sua deportazione ad aprile 2020, una volta terminata la pena. Portato in ospedale per espellere le pile ha rifiutato l’intervento dei medici che avrebbero voluto tagliare i fili da cucito con l’intenzione di continuare la sua protesta e lo sciopero della fame. Come cita un articolo che racconta la sua storia “Non vuole tornare in Tunisia dove non avrebbe più parenti e nemmeno una casa”.

Queste sono solo le ultime due deportazioni di cui si ha notizia ma anche nel mese di ottobre si segnalano la deportazione in Tunisia, da parte degli agenti dell’ufficio immigrazione della Questura di Siracusa, di un 33enne detenuto dal 2015 nella casa di reclusione di Brucoli e quella di un 30enne prelevato alle prime luci dell’alba del 17 ottobre dalla sua abitazione di San Benedetto del Tronto dalla Digos di Ascoli Piceno e dai carabinieri del ROS in quanto “sospettato di avere posizioni radicali di impronta jihadista”. L’uomo è stato accompagnato all’aeroporto di Fiumicino da dove è partito alla volta di Tunisi, scortato dagli sbirri.
Da segnalare infine che sempre ad ottobre abbiamo assistito ad un caso di respingimento immediato a Livorno dove 4 persone di origine tunisina appena sbarcate da una nave sono state fermate dai finanzieri e trovate senza documenti, nelle vicinanze del varco doganale Galvani, dentro il porto. Sono quindi state respinte dalla Polmare che li ha affidati al comandante della nave con cui erano da poco sbarcati, affinché li riportasse indietro.

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Grecia – Donne in sciopero della fame nel centro di detenzione Petrou Ralli a Atene

tradotto da: athens.indymedia.org

Nella sezione femminile del centro di detenzione di Petrou Ralli ad Atene, 16 detenute siriane e due palestinesi hanno iniziato uno sciopero della fame, sabato 2 novembre 2019, in segno di protesta. Sebbene siano prigioniere da molto tempo, alcune da due mesi e altre da ancora più tempo, non hanno idea di quando verranno trasferite nelle isole dove gli sono state prese le impronte digitali, per completare la procedura e ottenere l’asilo.

Il tribunale si è già espresso sul trasferimento nelle isole ma sono ancora detenute in celle fatiscenti a tempo indeterminato. Alcune hanno problemi di salute come problemi cardiaci, respiratori ecc. E altre a causa delle condizioni disumane che devono subire in detenzione si sono ammalate. Mirano a continuare lo sciopero della fame fino a quando non avranno esplicitamente promesso loro che saranno trasferite direttamente dove dovrebbero essere. Una delle recluse è minorenne e la detenzione minorile è illegale.

Quando cesseranno le violazioni delle loro stesse leggi da parte delle autorità? Le donne non resistono a un altro assalto, urlano BASTA, e chiedono solidarietà e sostegno a tutti nella loro giusta lotta. Chiamano anche organizzazioni che difendono i diritti umani dei gruppi vulnerabili per prendere una posizione.

Nelle strade, nelle piazze e nelle celle di prigione, le donne migranti non sono sole!

La passione per la libertà è più forte di ogni tipo di cella!

La Solidarietà e l’auto-organizzazione sono le nostre armi

Insieme cambieremo il mondo

The House of Women for the Empowerment & Emancipation

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Egitto – Aggiornamenti sulla repressione

Dopo le proteste del 20 settembre 2019, in tutto l’Egitto le persone arrestate sono state più di 4.300. Di più di 50 persone non si ha più notizia.
Gli arresti sono stati arbitrari e hanno coinvolto donne, minori, giovanissime e giovanissimi, intere famiglie e uomini. Associazioni per i diritti umani denunciano il sistema di abusi e violenze sessuali nelle carcere e nei posti di polizia ai danni di prigionieri e prigioniere.

Oltre a questi arresti arbitrari, la morsa repressiva non si è fermata. Come avviene oramai quotidianamente dal 2013 sono continuati i prelevamenti forzati dalle case e gli arresti per strada mirati nei confronti di compagne e compagni.

Mahienour al-Masry, una compagna avvocata è stata sequestrata davanti la procura dei servizi, dove stava presenziando un’udienza di rinnovo del carcere preventivo per un avvocato di Alessandria. All’uscita dalla procura è stata sequestrata da uomini in borghese e trasportata a forza su un microbus, ma ha avuto la prontezza di urlare che la stavano arrestando. Mahienour ora si trova nel carcere di al-Qanater in attesa di processo dal 22 settembre.

Alaa Abdel Fattah, un compagno che da sei mesi aveva finito di scontare la pena detentiva di 5 anni di carcere per manifestazione non autorizzata, era sottoposto alla misura cautelare di semilibertà che prevede 12 ore al giorno da passare nel commissariato di appartenenza. Questa misura viene applicata ultimamente a moltissime compagne e compagni sotto processi politici. Alaa doveva uscire come tutte le mattine alle 6 dal chiosco del commissariato, dopo aver passato 12 ore in isolamento. Quel giorno, il 29 settembre, Alaa non è uscito e la famiglia allertata ha subito capito che era stato nuovamente arrestato, vista la tensione e gli arresti continui che stavano avvenendo dal 20 settembre. Alaa si trova ora nel carcere di massima sicurezza Torah 2, in isolamento, senza ora d’aria e in condizioni brutali. Le guardie come benvenuto lo hanno bendato e torturato, inoltre è stato minacciato che non sarebbe uscito vivo da quelle maledette mura. Alaa nonostante le minacce ha denunciato i soprusi e le torture subite durante l’udienza di rinnovo del processo aperto apposta per lui.

Oltre a Alaa anche Mohamed Baker, uno degli avvocati che seguiva il suo caso, è stato arrestato durante l’udienza del rinnovo e aggiunto allo stesso processo. Anche Baker ha subito lo stesso brutale trattamento ed è rinchiuso nello stesso carcere di massima sicurezza che vorrebbe tutte le persone rivoluzionarie morte. Continua a leggere

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Belgio – Torture e abusi durante le deportazioni

Traduzione da: Getting the voice out

Non mancava che il cuscino… come per Samira Adamu 21 anni fa soffocata dalla polizia durante una deportazione!

Allarmatx del trattamento disumano inflitto almeno a due donne sotto forma di brutalità da parte delle forze dell’ordine durante i tentativi di espulsione, abbiamo visitato Holsbeek, un centro fermé (CPR) per sole donne aperto nel luglio 2019. Si tratta di un ex hotel situato alla fine di una zona industriale. Attualmente 28 persone sono detenute lì dentro per una capacità massima prevista di 58.

Incontriamo una donna che è stata rinchiusa per diverse settimane e che spiega che è stata arrestata dalla polizia alle 6 del mattino. Sorpresa, consegna alle guardie la sua “carta arancione” valida ancora per 4 mesi e il suo passaporto. Pur essendo la madre di un bambino di 6 anni, viene portata via senza ricevere alcuna motivazione o documento che indichi i motivi dell’arresto. Nessun interprete o avvocato in questa fase. Da allora, 1/10/2019, non ha più visto suo figlio. La sua storia è costantemente interrotta da lacrime e silenzi, si trova in uno stato psicologico deplorevole, racconta gli atti di violenza avvenuti durante il tentativo di espulsione all’aeroporto di Charleroi il 18 ottobre 2019. Portata in manette alla stazione di polizia dell’aeroporto, le guardie le hanno detto “devi andare a casa”. Ma lei non voleva essere deportata e piangeva. Allora si sente male, cade a terra, “cinema marocchino” le dicono le guardie mentre la prendono a calci. In lacrime lei dice che ha un figlio ma questo non cambia il trattamento violento inflitto dalle guardie che continuano a picchiarla ripetendo “sei solo una bambinona”. I tre poliziotti maschi continuano a tenerla ammanettata e si accorgono che c’è una telecamera nella stanza, per questo escono e continuano a umiliarla ridendo dall’altra parte della porta mentre lei è ancora a terra. L’autista del centro di detenzione ha assistito alla scena. Tracce di violenza e della brutalità sono visibili sul suo corpo. Ci dice che è stata colpita anche in faccia. Siamo stati in grado di osservare i lividi. Da allora non è più capace di mangiare. In uno stato psicologico molto preoccupante, è crollata in lacrime, soprattutto al ricordo di suo figlio. Ha paura che la polizia lo arresti a scuola.

Questa storia descrive l’estrema brutalità che le guardie si divertono a perpetrare senza conseguenze per loro. Esercitata liberamente, questa violenza contro una persona che si trova in una situazione di estrema vulnerabilità, a terra, è accompagnata da dichiarazioni sprezzanti e offensive. Tutto ciò può essere descritto come tortura. Continua a leggere

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Francia – Rivolte e incendi nei CRA di Mesnil-Amelot e Plaisir, fughe dal CRA di Nizza

Traduzione da: A bas les CRA

La prigione per persone senza documenti di Mesnil-Amelot si trova proprio accanto all’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi. Qui ci sono più di 230 persone recluse ed è anche l’unica prigione della regione parigina per donne senza documenti. Dalla creazione di questo blog lo scorso novembre, abbiamo spesso raccontato le lotte collettive e le rivolte che hanno avuto luogo lì, e anche la violenza della polizia, le deportazioni “nascoste” e violente, il razzismo delle guardie. Questa è almeno la terza volta quest’anno che i prigionieri del CRA2 cercano di danneggiare la macchina delle espulsioni tentando di bruciare le celle.
Questo lunedì 28 ottobre, nelle prime ore della sera, in tre edifici (9, 10 e 11) sono stati appiccati ​​gli incendi. L’edificio 10 è il più colpito. I pompieri sono intervenuti (troppo) rapidamente e hanno ritenuto che si possa continuare a rinchiudere le persone senza pericolo per la loro salute. Il risultato è che i prigionieri degli edifici interessati si trovano a dormire in quelle stesse celle che hanno bruciato, senza materassi né coperte. La repressione è già iniziata: due prigionieri sono stati portati in isolamento (e potrebbero essere messi in custodia). Uno di loro è stato riconosciuto da una guardia del CRA perché lo aveva già picchiato l’anno scorso.
Un prigioniero fa sapere che: “Oggi le guardie sono molto eccitate. Stanno cercando chi è stato. Ma non lo sanno. La direzione del CRA ha detto che ci vorrà fino a giovedì per la bonifica. Ma nulla è iniziato. Come punizione, non ci danno nessuno shampoo o gel doccia. Ma già ieri, prima dell’incendio, non c’era lo shampoo.
Presto comunicheremo aggiornamenti.

Come promemoria: questa domenica sera, una cella è bruciata anche nel centro di detenzione di Plaisir.

Forza e solidarietà con tutti i prigionieri!

Nizza- Tripla evasione dal centro di detenzione

Traduzione da: Sans attendre demain

Leggendo la stampa questo martedì 29 ottobre, apprendiamo che tre persone prive di documenti sono fuggite dal centro di detenzione di Nizza il 1 ° ottobre. Sono riusciti a fuggire rubando le chiavi agli sbirri incaricati di rinchiudere i migranti privi di documenti nella caserma di Auvare, che funge da CRA. Due di loro sono ancora in fuga! Continua a leggere

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Belgio – “Ieri sono stata torturata dalla polizia belga”. Il racconto di una deportazione

Traduzione da: Getting the voice out

Il 21 ottobre T. ha subito un secondo tentativo di “espulsione”. La domanda d’asilo che aveva inoltrato nel 2015 è stata rigettata. Da quattro anni, tuttavia, T. ha una relazione e da due vive nelle Fiandre. La coppia ha inoltrato una domanda di matrimonio da qualche tempo. Nonostante però il dossier fosse ancora incompleto il Comune ha deciso di considerare questo matrimonio come “bianco” e ha inviato le guardie presso il domicilio con un mandato di arresto e di trasferimento nel lager per sole donne di Holsbeek.

Qui la sua testimonianza audio (EN) di quanto avvenuto durante la seconda deportazione. T. è stata vittima di violenza e tortura da parte delle guardie che la “scortavano”.

“Ieri sono stata torturata dalla polizia belga su un aereo della SN Brussels Airlines alle 11. Mi hanno schiacciato la testa sul sedile. Erano quattro poliziotti e una poliziotta. Ogni volta che urlavo per chiedere aiuto, mi stringevano la bocca, mi tappavano la bocca e mi torturavano ancora di più. Sono stata torturata veramente, mi tappavano il naso. Sono stata trattata come un animale, mi hanno picchiato molto forte, mi hanno stretto il collo e la gola. Non potevo urlare. Sono stati il pilota e il personale di bordo che sono venuti in mio aiuto. Mi fa troppo male il corpo. Ho talmente tanti dolori che non sono riuscita a dormire la notte scorsa.

Mi hanno strappato la biancheria intima, mi hanno strappato i pantaloni, sono stata torturata e picchiata. E mi hanno detto che la prossima settimana mi porteranno su un volo marocchino e mi tortureranno. È così che funziona. Ho tanta paura, ho bisogno di aiuto e chiedo il vostro aiuto.

Volevano sedarmi. Mi hanno detto che, dato che sono molto forte, la settimana prossima mi metteranno su un volo e mi faranno un’iniezione per rendermi debole e dormire. È quello che fanno a tutti quelli dentro il centre fermé. Poi ti portano all’aeroporto. La prima volta ti riportano indietro. Ti prendono la seconda volta e ti riportano indietro. La terza volta allora ti sedano. E ho tanta paura. Ho qui la mia amica, viene dal Marocco e forse potete parlarle, parla arabo.” Continua a leggere

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Malta – Rivolta e incendi nel centro di detenzione di Hal Far

Una nuova rivolta è avvenuta domenica 20 ottobre, alle dieci di sera, nel centro di detenzione di Hal Far a Malta.

Nel lager e nell’adiacente centro di accoglienza, situati in un’ex caserma britannica dell’isola, vicino all’aeroporto, sono segregate circa 1.400 persone. Secondo le persone recluse la protesta è iniziata a causa delle violenze delle guardie contro alcune persone. Sono state lanciate pietre e appiccati diversi incendi ad alcune strutture tra le quali l’ufficio dell’AWAS (Agency for the Welfare of Asylum Seekers, l’agenzia statale che gestisce il centro) e 5 auto dei dipendenti. Gli operatori dell’AWAS sono fuggiti e i rivoltosi hanno preso il controllo del centro fino alle 23.30, quando sono arrivati i rinforzi di polizia e le unità di intervento rapido in assetto antisommossa. Gli scontri sono continuati e 3 auto della polizia sono state danneggiate. Verso le 4 di notte la protesta è stata repressa.

Questa mattina un numero ancora più ingente di poliziotti in assetto antisommossa, circa 200, ha effettuato un’irruzione nel campo di concentramento, tra grida e pianti delle donne presenti, arrestando almeno 75 persone accusate di aver partecipato alla rivolta, portate via ammanettate con i bus verso gli uffici centrali della polizia.

Dopo la polizia è arrivato nel lager il personale del dipartimento della protezione civile e ha condotto dei controlli in ogni cella.
Ad alcuni migranti è stato ordinato di lasciare i locali con le loro cose. Sono stati scortati fuori da un contingente di polizia, non si ancora verso dove.

A Malta i centri di detenzione sono tutti sovraffollati, migliaia di persone sono recluse da mesi, molte in attesa di un ricollocamento in altri paesi europei, malgrado la legge preveda la reclusione nei centri di detenzione per un massimo di 10 settimane.
Proprio oggi un tribunale maltese ha dichiarato illegale la detenzione di 6 richiedenti asilo, reclusi per più di 3 mesi nel lager di Hal Safi.
I loro avvocati avevano sostenuto che la detenzione continuata non era semplicemente una “limitazione della libertà di movimento” ma una flagrante privazione della loro libertà personale. I richiedenti asilo hanno raccontato come, immediatamente dopo il loro salvataggio in mare, erano stati interrogati da funzionari di polizia, senza l’assistenza di un interprete, e portati al centro di detenzione, dove i loro beni personali erano stati confiscati. Gli è stato quindi consegnato un documento che limitava il loro movimento affermando che c’erano “motivi ragionevoli” per sospettare che fossero portatori di una malattia contagiosa e che quindi richiedessero uno screening medico.
I richiedenti furono sottoposti a una scansione del torace in un centro sanitario, ma non furono mai informati dei risultati di quei test. Nel frattempo, avevano presentato domanda di asilo, rendendo la loro presenza a Malta “regolare e lecita”. Nonostante ciò, tuttavia, hanno continuato a essere detenuti nella caserma Safi. Ogni volta che venivano trasportati per andare al centro sanitario o all’Ufficio del Commissario per i rifugiati, venivano ammanettati.

Video dall’interno:

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Torino – 26/10 Presidio al CPR di Corso Brunelleschi

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Aggiornamenti sulla repressione delle azioni di solidarietà al confine Francia – Italia

fonte: Passamontagna

La settimana scorsa, un compagno italiano mentre lavorava in vendemmia in Francia si è trovato gli sbirri tra le vigne. Due gendarmi e due in borghese l’hanno prelevato per fargli delle domande e notificargli una denuncia per manifestazione non autorizzata e resistenza. I fatti risalgono al 22 settembre 2018, nel comune di Monginevro (Francia).
Di fatto è stata una GAV (un fermo) durato 4-5 ore, dove l’amico è stato interrogato sulla presunta organizzazione della giornata e sui partecipanti.
Il compagno non ha risposto a nessuna domanda ed è stato rilasciato dopo qualche ora perché senza abbastanza elementi per detenerlo. L’unica cosa che avevano su di lui era qualche foto nel corteo a viso scoperto per i sentieri del Monginevro.

SULLA COLLABORAZIONE TRA POLIZIE
Già da questa estate la collaborazione tra la polizia italiana e quella francese per la repressione della lotta in frontiera ha avuto degli sviluppi. La polizia italiana va a prendersi le persone respinte perché “senza  documenti” direttamente nella caserma della PAF francese, cosa mai successa prima.
E, con questo fermo, si confermano le non nuove amicizie tra le guardie. Pare che le foto del compagno fermato le abbia direttamente passate la Digos alla polizia francese. Così come alcuni nominativi.

Poco altro da dire. È abbastanza probabile che questo fermo sia parte di un indagine più grande su quella giornata.

RICORDIAMO A TUTTI CHE:
In stato di fermo (Garde a vue)
– Qualsiasi cosa che dici può essere usata contro di te e soprattutto contro gli altri. Avvalersi della facoltà di non rispondere (che è un tuo diritto ) è spesso l’idea migliore.
Qualsiasi foglio ti presentano,  puoi anche rifiutare di firmarlo.
– Spesso durante il fermo viene chiesto fotosegnalamento e impronte. Vi è la facoltà di opporvisi anche se costituisce reato. In Francia non le prendono con la forza come in Italia.
– È tuo diritto chiamare un avvocato (soprattutto in caso di arresto)

Oggi a Grenoble si e‘ tenuto il processo a Keke e il 24 ottobre si terra’ quello di Pierre, entrambi accusati di “aide a la rentree de clandestins” (favoreggiamento all’immigrazione clandestina) perché fermati con a bordo persone “senza documenti”tra Claviere e Briancon.
Un altro processo meramente “politico” che cerca di abbattere la solidarietà attiva del brianconnese.

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