Fonte
Intervista a cura di Plateforme d’Enquêtes Militantes, qui trovate l’originale in francese.
I Gilets Noirs non sono un collettivo, ma un movimento! Archeologia di una lotta antirazzista
Nati contemporaneamente ai Gilets jaunes, in pochi mesi il movimento dei Gilets Noirs si è imposto come uno spazio di coordinamento e di lotta autonoma per numerose persone sans-papiers (irregolari in Francia), abitanti affittuari di foyer dell’ile-de-France o persone senza tetto. Dopo diverse azioni di forza organizzate insieme al collettivo la Chapelle Debout e destinate a ottenere una regolarizzazione collettiva negoziando con la prefettura, il movimento ha deciso di rivolgersi direttamente al primo ministro e di dare avvio a una campagna di azioni, che puntano a svelare e destabilizzare il sistema che, dall’illegalizzazione fino all’espulsione, passando per lo sfruttamento sul lavoro, produce persone sans-papiers. In questa intervista, discutiamo insieme ad alcuni attori del movimento — due referenti dei foyers in lotta (B. e K.) e due membri della Chapelle Debout (D. e V.) che hanno preferito restare anonimi — sulla genesi del movimento, la sua strutturazione e la sua ambizione a ridefinire la grammatica della lotta dei sans-papiers.
-PEM: Potete tornare all’inizio e ripercorrere la genesi di questo movimento dei Gilets Noirs
-V.: A novembre 2018, all’inizio, nessuno sapeva che i Gilets Noirs sarebbero diventati questo, abbiamo “superato” noi stessi. Abbiamo cominciato a mobilitare con l’idea di riaprire le porte della prefettura, e ha funzionato. Il 23 novembre, durante una prima azione che consisteva nell’occupare il Museo nazionale di storia dell’immigrazione, eravamo molto più numerosi del previsto… Abbiamo fatto una seconda azione alla Comédie française, il 16 dicembre, e siamo riusciti a ottenere un appuntamento in prefettura.
-B.: Grazie a questa azione, abbiamo visto che il meccanismo aveva successo. Abbiamo creato dei gruppi nei foyer e scelto dei referenti per allargare e strutturare la mobilitazione. I referenti andavano di foyer in foyer per parlare con gli altri e mobilitare. È importante questa comunicazione, poiché qui, quando sei senza documenti, non sai quali sono i tuoi diritti. Ora siamo almeno 1500 persone. All’epoca dell’appuntamento ottenuto con la prefettura, a dicembre 2018, il questore ha accettato di dare una risposta favorevole a 30 domande di regolarizzazione ogni mese. Ma queste 30 domande sono ancora là, nessuna ricevuta né niente. La prefettura gioca con noi, ci dice: ci vediamo tutti i mesi, poi è ogni tre mesi e in realtà… appena l’appuntamento arriva, lo rimandano. Quindi continuiamo la lotta. Quindi, siamo tornati nei foyer per mobilitarci di nuovo, abbiamo anche partecipato alla Marcia della Solidarietà il 16 marzo… A titolo personale, prima non mi ero mai mobilitato perché avevo paura vista la mia condizione, non avevo fiducia nelle persone. Da quando ho incontrato la Chapelle Debout e poi grazie a queste mobilitazioni, non abbiamo più paura e non perdiamo più! Perdevamo sempre, oggi non perdiamo più e i foyer adesso hanno fiducia in noi. Quindi non molleremo. Possiamo avanzare delle rivendicazioni anche perché cominciamo a conoscere i nostri diritti. Prima, come persona sans-papiers, non sapevo neanche se avevo diritto all’assistenza medica e la polizia poteva farmi credere qualsiasi cosa, ma dopo questa mobilitazione so che cosa ho diritto di fare: ho diritto alla solidarietà, all’assistenza medica… Prima non cercavo niente, non chiedevo aiuto allo Stato, parlano di “diritti dell’uomo” ma per i sans-papiers è “diritto alla prigione”. Quando sei sans-papiers, i diritti dell’uomo non ti riguardano, anche quando paghi le tasse, ti comporti bene. Se chiedi l’asilo, ricevi un decreto di espulsione. Qui se chiedi l’asilo e te l’hanno già respinto, ti rispediscono a casa tua.
-D.: Dopo questo primo appuntamento alla prefettura, abbiamo fatto delle assemblee, in particolare a Montreuil, alla Parole Errante, dove eravamo 700 persone. Un’assemblea in 5 lingue, per decidere la strategia. Abbiamo fatto altre riunioni in tutti i foyer affinché i dossiers [per le domande d’asilo NDT] fossero scelti tutti insieme, e non secondo i criteri della prefettura, ma sulla base di una decisione collettiva. Volevamo che un dossier di qualcuno che era arrivato da due mesi fosse trattato come quelli delle persone che sono qui da 22 anni. Per accompagnare la delegazione del 31 gennaio, che era composta da due Gilets Noirs e un membro della Chapelle Debout, abbiamo organizzato una grande manifestazione che partiva dalla Comédie française fino alla prefettura. Eravamo 1500, abbiamo corso fino alla prefettura, c’era un cordone di CRS [celerini francesi NDT] che ha avuto paura e ha bloccato la porta dalle 15 alle 19. Il 31 gennaio, 1500 persone sono corse verso la prefettura e l’hanno bloccata per 4 ore. Durante questo appuntamento, abbiamo consegnato dei testi per denunciare il razzismo di stato e più in generale le condizioni di accoglienza. L’abbiamo fatto per uscire dal quadro burocratico classico, e portare un contenuto politico.
-K.: Per me la prima partecipazione a un evento con la Chapelle Debout è stato il 31 gennaio, quando la prefettura ha dato l’appuntamento al collettivo per tenere fede alla promessa che ci avevano fatto: regolarizzare trenta persone per mese. Non è stato fatto. La Chapelle Debout ci ha detto che bisognava che “ci allacciassimo le cinture”: affinché mantenessero la loro promessa, dovevamo moltiplicare le azioni, le manifestazioni e le occupazioni. È stato allora che ho cominciato a lavorare con il collettivo la Chapelle Debout, che mi sono integrato e che sono diventato referente nel mio foyer. Prima avevo notato che c’erano dei collettivi di solidarietà ai sans-papiers, nel foyer c’erano dei manifesti, degli sportelli aprivano il sabato, ma non mi ci ero mai davvero interessato. A. mi ha contattato per organizzare delle riunioni e mobilitare il foyer, è stato allora che ho sentito che diventavo utile per il movimento. La prima volta in cui ho realmente partecipato, è stato quando siamo andati all’aeroporto per impedire la deportazione di un sudanese; ci siamo riusciti ed è stato allora che mi sono detto è ora di “allacciare la cintura”. Non avevo nessuna esperienza prima, anche al di fuori della Francia. Ho sempre detestato la politica, perché nel mio paese i politici sono tutti dei razzisti, i bravi leader vanno in prigione. O stai zitto e segui i politicanti, oppure finisci in prigione. Il leader della Mauritania è attualmente accusato di corruzione. Ora, è diverso: nel paese dei diritti dell’uomo, anche se non rispettano ciò che dicono, si vergognano di ciò che fanno. Grazie alla libertà di espressione, posso andarmene al palazzo dell’Eliseo a dire quello che penso a Macron, e non verrò arrestato (risate). Da noi quando si apre la bocca, ci si fa torturare, quindi non diventerò un oppositore con il rischio di perdere tutto. Nessuno vi ascolta e si finisce sconfitti. Qui, se conosci i tuoi diritti e li rivendichi, hai una possibilità di ottenere ciò che ti spetta.
-V.: Dopo questo prima consegna di dossier alla prefettura, uno solo è stato accettato, quello di un compagno che era in Francia da 22 anni e il cui dossier era stato rifiutato tre volte in precedenza. Abbiamo deciso di colpire più in alto ma ci ha richiesto un’organizzazione interna più strutturata. Per qualche mese, abbiamo imparato a farci fiducia accumulando le “piccole” azioni, come delle azioni anti-deportazione, la partecipazione alla manifestazione contro il razzismo di Stato del 16 marzo e quella davanti alla prigione per persone straniere di Mesnil-Amelot vicino a Roissy. È stato necessario per essere poi capaci di fare delle efficaci azioni di massa, illegali, offensive — potremmo persino dire violente, perché l’offensiva politica non si riduce a spaccare le vetrine, essere 500 persone sans-papiers che occupano gli sfruttatori è offensivo. Abbiamo lanciato una campagna, “I Gilets Noirs cercano un Primo Ministro”. La prima azione pubblica di questa campagna, il 19 maggio 2019 all’aeroporto Roissy-Charles-de-Gaulles, è circolata molto. 500 sans-papiers in un aeroporto, non per fare le pulizie ma per battersi, è potente. Ne hanno molto parlato, ha dato coraggio a tutti quelli che considerano l’aeroporto come lo spettro della frontiera e che si sono riappropriati di questo spazio con determinazione. La paura scompare: nessun arresto, blocco effettivo dell’aeroporto … All’interno emergeva anche la questione del lavoro, quindi abbiamo deciso di colpire gli attori del razzismo di Stato: le imprese che lavorano nei CRA, nelle prigioni…
-PEM: Come vi siete organizzati concretamente all’inizio? E come si sono evolute le forme di organizzazione? Continua a leggere