Torino – Fuori Sodexo dalle università

fonte: passamontagna.info

Oggi in Università , un gruppo di persone, nemiche di ogni forma di detenzione e di coloro che speculano sopra di essa, ha fatto il giro del CLE distribuendo e attacchinando volantini contro Sodexo e la sua possibile presa in gestione del bar del Campus.
Sodexo è una multinazionale che da sempre specula sulla detenzione amministrativa degli immigrati e sulle prigioni. Fa i miliardi nel business della detenzione e della guerra.
E’ Sodexo che gestisce I pasti del CPR (Centro Permanente per il Rimpatrio) di Torino, in C.so Brunnelleschi. Pasti che arrivano spesso avariati, sempre in ritardo, e dove vengono di prassi infilati farmaci e tranquillanti per sedare la rabbia dei detenuti.

Sodexo ha attualmente l’appalto in alcune mense universitarie, come quella del Politecnico in C.so Castelfidardo. Ora vuole prendersi la gestione del bar del Campus, da cui tra l’altro voleva licenziarne le/i lavoratrici/i.
L’Università, in tutto ciò, se ne lava le mani.
L’appalto non è stato ancora assegnato in definitiva. Forse si parla di fine mese.
Noi non staremo zitti, e torneremo a farci sentire se Sodexo dovesse vincerlo.

Questo il testo di uno dei volantini distribuiti

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SODEXO STA CERCANDO DI OTTENERE LA GESTIONE DEL BAR DEL CAMPUS UNIVERSITARIO.
SODEXO SPA SPECULA DA SEMPRE SULLA DETENZIONE AMMINISTRATIVA DEGLI IMMIGRATI (CPR) – TRA CUI QUELLO DI TORINO – E NELLE PRIGIONI.
FA I MILIARDI NEL BUSINESS DELLA DETENZIONE E DELLA GUERRA
BOICOTTA E SABOTA SODEXO !

Sodexo è la più grande multinazionale della ristorazione del mondo : opera in 80 Paesi, con 75 milioni di consumatori che vengono interessati ogni giorno dai suoi servizi, per una cifra di affari che si aggira intorno ai 19,8 miliardi di euro.
Sodexo gestisce il business dell’approvvigionamento alimentare in molti degli aspetti della società capitalista, dagli asili alle università, dalle officine alle caserme, dagli ospedali alle casa di riposo.
In Italia Sodexo è stata identificata anche in passato come responsabile della gestione del servizio mensa di diversi centri di detenzione per persone senza il «buon documento», ma i suoi rapporti con il mondo della privazione della libertà e la sua volontà di lucrare sui luoghi di prigione travalicano la semplice fornitura di cibo.
Sodexo si occupa di fornire servizi a diversi eserciti, sia in patria che durante le missioni all’estero. È presente in scuole d’addestramento e uffici civili. Nelle basi militari organizza e gestisce per conto di eserciti NATO, USA, Francia e GB vitto, pulizie, manutenzione impianti, servizio posta, cure mediche, approvvigionamento materiali e carburanti, purificazione dell’acqua, gestione dei depositi armi, organizza la vita interna alla base al di là della sua routine militare. Continua a leggere

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Confine alpino – GLI AUTISTI PARLANO… E RESALP TACE

fonte: passamontagna.info

Gli autisti parlano…
e Resalp tace

Su come gli autobus diventano strumenti repressivi.

Resalp è una compagnia di trasporti francese che gestisce una delle linee che collega l’Italia e la Francia. Ogni giorno, la linea Oulx-Briancon è utilizzata da persone che non hanno i documenti necessari per passare la frontiera “legalmente”. Per questo scendono a Claviere, a qualche passo dalla PAF (la polizia di frontiera francese) per poi entrare in Francia dalle montagne. Ed è sulle montagne che inizia la caccia all’uomo, dove giorno e notte le guardie inseguono chi prende i sentieri per evitare i loro controlli.

Quando passano la frontiera, alcuni autisti riferiscono ai poliziotti della PAF il numero di persone che sono scese a Claviere, informandoli così del numero di persone da cercare. Questa informazione, tutt’altro che innocua, agevola la caccia e rende quasi una certezza l’arresto, qualche ora più tardi, tra i sentieri di montagna. Come considerare questo passaggio di informazioni se non come una delazione?

Per non parlare, poi, dei comportamenti umilianti e discriminatori di alcuni autisti che arrivano persino a proibire ad alcune persone di salire sull’autobus a causa del colore della loro pelle. Queste pratiche sono razziste e, per quello che conta, illegali.

Dal momento che la linea Oulx-Briancon è un passaggio obbligato per l’attraversamento della frontiera, gli autisti che vi lavorano diventano agli occhi della polizia gli informatori perfetti. Le responsabilità individuali e quelle della Resalp si intrecciano: gli autisti non hanno assolutamente il dovere di fornire informazioni riguardanti i passegeri alla polizia, mentre l’azienda deve garantire che questo passaggio di informazioni non avvenga.

Fino a quando l’impresa non darà ai propri impiegati delle indicazioni chiare su come comportarsi, Resalp continuerà di fatto a collaborare alla caccia all’uomo ad essere un’estensione del controllo della polizia.

Passeggeri/e: state in guardia, non siate complici!
Autisti/e: non parlate alla polizia!

STOP ALLA DELAZIONE E AL COLLABORAZIONISMO

link scaricamento A3 italiano

link scaricamento A3 francese

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Francia – Testimonianza di una resistenza (riuscita!) alla deportazione

Traduzione da: A bas les CRA
 
Pubblichiamo la testimonianza di un recluso in un CRA della regione parigina che racconta di come ha resistito con successo al tentativo di deportarzione in Sudan.
Oltre alla denuncia della violenza della polizia, la sua testimonianza fornisce alcuni consigli alle persone minacciate di espulsione nelle varie prigioni per stranieri (ad esempio, cercando di mantenere la calma finché non si viene portati sull’aereo, e solo allora gridare per farsi sentire dagli altri passeggeri, in modo che si oppongano alla deportazione, alzandosi in piedi e chiedendo al pilota di non decollare).
E infine, una buona notizia: il compagno, dopo quasi 90 giorni di detenzione e la resistenza al volo, è stato rilasciato!
“Signor procuratore,
Vorrei portare alla vostra attenzione i seguenti fatti.
Il 30 ottobre, la polizia è venuta a prendermi nella mia cella al centro di detenzione alle 9 del mattino. Sono andato in bagno, mi hanno fermato davanti al bagno e mi hanno detto di andare a raccogliere le mie cose.
Sono stato perquisito, mi hanno fatto domande sull’asilo e sulla mia nazionalità e mi hanno detto che mi avrebbero portato in Sudan.
Sono arrivato all’aeroporto e non ho subito alcuna violenza fino all’aeroporto Roissy Charles de Gaulle. Sono stato ricevuto da 5 agenti di polizia in borghese e da uno in uniforme. Mi hanno proposto di prendere delle pillole senza spiegarmi cosa fossero e mi hanno offerto una bottiglia d’acqua da bere. Mi sono rifiutato di prenderle.
Mi hanno accompagnato sull’aereo.
Tre agenti mi hanno messo sull’aereo, mi hanno ammanettato e mi hanno coperto con un panno rosso per nascondermi dagli altri passeggeri. Non c’era ancora nessuno sull’aereo. In quel momento, avevo un poliziotto alla mia sinistra, uno alla mia destra e uno davanti. Altri due stavano parlando con il capitano.
I passeggeri sono arrivati ​​e ho urlato e ho pianto, la polizia ha iniziato a colpirmi. Ho ricevuto pugni e mi hanno strangolato. Sono stato colpito soprattutto alla testa.
Poi non ho capito e sentito tutto ma ho visto il pilota parlare con gli ufficiali erifiutarsi di farmi volare, soprattutto a causa della violenza che ho subito di fronte a tutti.
La polizia mi ha portato fuori dall’aereo. Ho continuato a essere colpito e sono stato insultato (“succhiami il cazzo” “stai zitto” “figlio di puttana”) nell’auto che mi ha portato alla stazione di polizia in aeroporto. Sono stato colpito alla testa e strangolato, per impedirmi di urlare.
Sono stato portato in una stazione di polizia all’aeroporto per due ore e sono stato picchiato da due dei tre poliziotti.
Durante questi momenti, ho protetto la mia faccia con le braccia mentre urlavo cherispettavo la polizia.
Successivamente sono stato portato al centro di detenzione.
Non sono riuscito a vedere un medico quando sono tornato al centro. Vorrei essere portato alla stazione di polizia per presentare un reclamo. Vorrei vedere un dottore. Mi rendo conto che qualsiasi menzogna è punibile dalla legge.”
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Tra Marocco e Spagna, nuove recinzioni e provvedimenti repressivi contro chi migra

La rotta migratoria del Mediterraneo occidentale, che dal Marocco si dirige in Spagna, negli ultimi due anni è diventata la seconda per importanza dopo quella che attraversa la Turchia verso la Grecia, superando di tre volte quella diretta da paesi come Libia, Tunisia e Algeria verso l’Italia. 

Qualche settimana fa il Marocco ha annunciato la fine dei lavori per la costruzione di una barriera di filo spinato concertina per 8 km dentro il proprio territorio lungo il confine dell’enclave coloniale di Ceuta (Spagna). Ciò permetterebbe alla Spagna di levare le proprie barriere di concertina, illegali in Europa a causa delle ferite che provocano le lame taglienti di cui è composto. Al loro posto è prevista la costruzione di una barriera più piccola. Stessa cosa pare debba succedere a Melilla, nelle parti dove il muro di cemento lascia il posto alle barriere di metallo. Nello stesso periodo, il 15 ottobre, per la prima volta, la Spagna ha processato e condannato delle persone accusate di aver organizzato un “salto” alla recinzione di Ceuta. Il tribunale provinciale di Cadice, che ha giurisdizione su Ceuta, ha condannato a un anno e mezzo di reclusione e multato per oltre 25.000 euro nove persone ritenute colpevoli di aver orchestrato il ​​26 luglio 2018 il passaggio della recinzione di Ceuta da parte di 602 persone prive di documenti. La corte li ha considerati responsabili di crimini quali disordini pubblici, lesioni lievi e danneggiamenti, ed è stata loro rifiutata la sospensione della pena. Continua a leggere

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Roma – 22 e 23 novembre appuntamenti contro il CPR di Ponte Galeria

riceviamo e pubblichiamo

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Torino – Aggiornamenti dal CPR di Corso Brunelleschi

via NoCie/NoCpr Torino

L’inverno è arrivato e con lui anche il freddo naturalmente. Al cpr di corso Brunelleschi però il riscaldamento è rotto e si congela. La mensa è diventata un’area per sopperire agli spazi che i rivoltosi hanno sottratto alla struttura. Manca il mobilio, in conseguenza alle tante giornate di protesta in cui i reclusi hanno dato alle fiamme suppellettili e quello che trovavano nelle loro celle.
La situazione all’ interno del cpr di Torino non è casuale ma si situa all’interno di politiche che tagliano drasticamente i fondi e i servizi destinati ai vari centri di detenzione e gestione dei migranti. I reclusi soni ammassati in aree sovraffollate dove manca qualsiasi servizio: le docce sono fredde, non ci sono materassi e in molti sono costretti a dormire per terra. La quotidianità che si vive nei centri di reclusione sottolinea quale luogo scomodo e angusto sia il cpr. La routine giornaliera e la condivisione di quel poco che c’é ricorda ai detenuti come sono stati strappati alla propria realtà attraverso retate, fermi in strada o detenzioni carcerarie commutate in fermi amministrativi. Le complicazioni economiche e burocratiche si ripercuotono in piccoli problemi all’ordine del giorno: il sapone viene distribuito ogni quindici giorni in pacchetti monodosi, il barbiere passa sempre meno spesso e le visite mediche sono un qualcosa che si ottiene con la complicità e l’ insistenza degli altri detenuti.
Da quello che ci raccontano gli stessi reclusi ora, all’ interno del cpr di Corso Brunelleschi, un ragazzo è in isolamento per via della scabbia, mentre da sei giorni un ragazzo continua lo sciopero della fame, richiedendo di essere visitato e curato al più presto per via di un problema grave alla mandibola dovuto ad un incidente. Nell’area viola, invece, un ragazzo è riuscito ad evadere 3 giorni fa ed ora è finalmente libero.

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Atene – Le persone sgomberate dallo squat Clandestina a Exarchia resistono alle deportazioni nei lager

All’alba dei martedì 12 novembre numerose forze di polizia, compresi i reparti antiterrorismo, hanno circondato lo squat Clandestina, autogestito da persone immigrate, in via Bouboulinas 42 nel quartiere di Exarchia ad Atene.

Si è trattato del secondo sgombero dell’occupazione in 8 mesi: il 18 aprile il governo, allora a guida Syriza, aveva sgomberato 95 persone (tra cui 30 bambini) dallo squat. Il 3 maggio la struttura era stata nuovamente occupata e al momento di quest’ultimo sgombero ci vivevano 138 persone. Si tratta del 12° sgombero effettuato negli ultimi mesi ad Atene. Durante le operazioni di polizia, due solidali sono state fermate all’esterno dello squat. La polizia come al solito ha gettato nella spazzatura tutto quello che apparteneva alle persone che vivevano nell’edificio.

Le persone sgomberate sono state condotte in bus nella struttura di Petrou Ralli, dove ha sede il dipartimento dell’immigrazione e un centro di detenzione. Un presidio di solidali è stato immediatamente organizzato all’esterno. In serata le persone fermate, 66 uomini, 44 donne e 38 minorenni, sono state caricate su 4 bus per condurle verso il famigerato campo di concentramento e deportazione di Amygdaleza. Le persone a bordo di due di questi bus sono riuscite ad opporsi alla reclusione, di seguito il loro comunicato e la richiesta di supporto.

Traduzione da: Athens Indymedia

Dichiarazione delle persone residenti nello squat di via Bouboulinas – è necessario un sostegno urgente Continua a leggere

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Francia – Un altro morto di stato nel centro di detenzione di Vincennes a Parigi

Traduzione da: A bas les CRA

“Nel CRA, l’infermeria è una macelleria.”

Il CRA è una macchina per uccidere. Lottiamo affinché la morte di Mohammed, prigioniero nel CRA di Vincennes, non venga dimenticata.
Venerdì 8 novembre un recluso è morto nel centro di detenzione di Vincennes. Si chiamava Mohammed e aveva 19 anni. È stato rinchiuso per 28 giorni. Al mattino, i suoi compagni detenuti lo hanno scoperto tra la vita e la morte nel letto. Questi ultimi parlano di una overdose causata dalla somministrazione di un cocktail di farmaci. Quando hanno chiesto aiuto, gli sbirri ci hanno messo un sacco di tempo per intervenire. Alla fine è stata chiamata un’infermiera, per mancanza di un medico sul posto, e i pompieri hanno impiegato mezz’ora per arrivare, troppo tardi. La procura di Parigi ha “aperto un’indagine sulle cause della morte” e la stampa si è affrettata a dire che si è trattato di un mix di farmaci e stupefacenti.
Ma dove avrebbe trovato queste medicine? quindi non sono stupefacenti? All’ingresso del CRA ai reclusi viene sequestrato tutto e messo in una cassetta di sicurezza. I suoi compagni denunciano la responsabilità dei medici del centro, sono loro che hanno somministrato questo cocktail avvelenato: “L’infermeria è una macelleria, non un’infermeria”. Sostengono che ogni giorno Mohammed riceveva dall’infermeria delle pillole di valium, tramadolo e altri sonniferi (pillole colorate). Uno dei suoi compagni detenuti ha detto di averlo trovato regolarmente in pessime condizioni dopo aver assunto i farmaci dati dai medici:
“Il dottore dà sedativi, li spara a tutti e dopo può andare a letto. Nel centro di detenzione i prigionieri sono trattati come matti, è un HP (un ospedale psichiatrico ndt.), non un centro di detenzione. Ogni giorno ci chiamano “vieni a prendere la tua medicina”. E le persone corrono nello stato in cui si trovano.
Spesso all’interno ci viene detto che i medici somministrano sedativi e tranquillanti al momento della deportazione e prima che i reclusi siano portati davanti al giudice, in modo che rimangano calmi. Il giorno dopo la sua morte, Mohammed doveva presentarsi davanti al giudice delle libertà. Il giorno prima, ai suoi compagni detenuti, aveva detto che non sarebbe sopravvissuto per altri 30 giorni di reclusione.
Il CRA è un luogo di confinamento in cui i prigionieri sono costantemente spinti al limite. Tutto porta alla loro distruzione fisica e psicologica. Oltre al confinamento, la violenza delle guardie è quotidiana. Dall’interno, ci viene raccontato della violenza subita da Mohammed, così come da tutti gli altri:

“Il giorno prima della sua morte, stava ancora soffrendo [parlando di Mohammed], è stato strangolato dagli sbirri. Ogni giorno vediamo prigionieri con dei lividi, tracce di colpi”.
“Qui vedo cose che non ho mai visto, l’altro giorno ero seduto con un ragazzo; aveva mal di pancia, chiamo gli sbirri, “Qui c’è qualcuno che non sta bene”, lo sbirro mi guarda con un piccolo sorriso “È morto, sta respirando?”
Le cosiddette morti accidentali nei centri di detenzione sono tutt’altro che rare. Questa è la seconda morte che ha luogo a Vincennes in tre mesi. Il 19 agosto, un prigioniero di nazionalità rumena è stato trovato morto nella sua cella. Secondo i media, la sua morte sarebbe dovuta a droghe, i reclusi parlano invece di un sovradosaggio di metadone. In questo caso, al momento della scoperta del corpo, i prigionieri erano stati portati fuori dall’edificio per ore, in modo che nessuno sapesse davvero cosa fosse successo.
Quando si tratta di una persona morta, devi nascondere, dissimulare, cancellare tutto. Oggi i compagni di Mohammed temono che, ancora una volta, la polizia farà di tutto per insabbiare il caso. Chiamano a mobilitarsi per Mohammed, in modo che non venga dimenticato.
Crepare in una CRA non è mai un incidente: è a causa della violenza delle guardia, della mancanza di cure, della reclusione, è lo stesso CRA che produce queste morti. In questo caso, i medici sono chiaramente pericolosi e responsabili perché mettono nelle mani dei reclusi un vero e proprio veleno.
L’Assemblea contro il CRA e il collettivo delle persone senza documenti Paris 1 convocano un incontro pubblico mercoledì 13 novembre alle 18h, al CICP (21ter rue Voltaire).
Non lasciamo che questa ennesima morte passi inosservata. Solidarizziamo con i/le reclusx, organizziamo la lotta all’esterno.
Il confinamento delle/degli stranierx e i confini uccidono.
Abbasso il CRA!

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Atene – Le donne nel lager di Petrou Ralli continuano da 9 giorni lo sciopero della fame. Domenica 10 novembre presidio solidale

Traduzioni da: Indymedia Athens

5 novembre

Disegno mandato da una scioperante a Petrou Ralli

Nel centro di detenzione per stranieri di Petrou Ralli, lo sciopero della fame cominciato il 2 novembre da 16 donne, 14 della Siria e 2 della Palestina, continua. La loro richiesta è il trasferimento immediato nelle isole dove hanno iniziato le procedure di asilo, per completarle.  La loro decisione di non fermarsi fino a quando non verranno accolte le loro rivendicazioni, si rafforza. I messaggi che ci inviano costantemente lo confermano. Hanno bisogno del sostegno e della solidarietà pratica di tuttx. È quello che sperano. Vivendo in questa gabbia, a tempo indeterminato, senza sapere perché e fino a quando, senza essere state informate da nessuno, senza aver commesso alcun crimine, non gli è rimasta nessun’altra speranza. Il crimine è la loro detenzione e lo sciopero della fame è il mezzo scelto per resistere al tormento della loro paranoica reclusione, che le cancella come esseri umani. Non si sono lasciate convincere dalle bugie che vengono raccontate dalla polizia, come ad esempio: “Termina lo sciopero, inizia a mangiare e ti aiuteremo a uscire di qui” o viceversa: “Ferma lo sciopero della fame, perché non otterrai niente. Altre hanno fatto lo stesso, in passato, e in una settimana sono state trasferite, malate, con le ambulanze negli ospedali e in seguito sono state riportate qui” etc. etc., per spezzare il morale. Né hanno accettato la cioccolata con la quale hanno cercato di attirarle e spezzarle… Queste donne ci insegnano cosa significa dignità! Vogliono che il loro grido sia ascoltato in tutto il mondo e non venga dimenticato. Vogliono toccarci, svegliarci e scuoterci. Chiedono di poter di nuovo esistere come persone!

7 novembre

Martedì pomeriggio, al 4° giorno di sciopero, il quartier generale della polizia per l’immigrazione ha risposto alla richiesta di 7 scioperanti, trasportandole in barca verso le isole dove dovrebbero completare le loro procedure di asilo: 5 a Kos e 2 a Chios. Le minacce, gli schifosi attacchi verbali sessisti da parte della polizia contro le donne che hanno rifiutato di mangiare, sono finiti. Gli ordini sono cambiati. Ora potevano andarsene e respirare liberamente. Le 9 donne rimaste nel lager hanno continuato lo sciopero della fame. Abbiamo ricevuto una denuncia dal coniuge di un scioperante palestinese, secondo cui la ragazza ci sta chiedendo di raccontare la sua storia, per far sapere a tutto il mondo che se non la lasciano andare direttamente nell’isola di Leros per completare la sua richiesta di asilo, in modo da poter raggiungere e vivere con suo marito rifugiato in Belgio, si suiciderà. Non abbiamo diffuso immediatamente la notizia, perché pensavamo si trattasse di una dichiarazione che avesse fatto in un momento di disperazione, il che non è raro in questo sporco luogo di confinamento e costanti torture. Ma in seguito alle informazioni che abbiamo ricevuto ieri dal centri di detenzione, riteniamo nostro dovere diffondere la sua richiesta, con il suo nome e con l’accordo delle altre, poiché ieri le scioperanti hanno deciso di dare una svolta pericolosa alla loro lotta e hanno iniziato anche uno sciopero della sete. Alle 19.30 Fatima è svenuta. Una reclusa ha chiamato la guardia di turno chiedendo di portare la ragazza in ospedale per darle l’aiuto di cui aveva bisogno. Il brutale poliziotto, in un modo razzista omicida e misogino ha risposto: “Non vado da nessuna parte. È una sua responsabilità se è svenuta. Se rifiuti di mangiare è naturale svenire. Se vuole morire, deve morire.” Dopo di che se ne andò. La ragazza fu scossa dalla rivolta causata dall’indifferenza omicida della polizia. “A loro non importa se viviamo o moriamo”. Certo, la guardia ha fatto tutto il possibile per farlo accadere e speriamo che durante la notte non sia successo niente di peggio. Continua a leggere

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Deportazioni in Tunisia

Sono di pochi giorni fa le dichiarazioni della ministra degli interni Luciana Lamorgese “Non siamo di fronte ad alcuna invasione… basti pensare che nel 2019 gli arrivi sono stati circa 9.600 rispetto ai 22 mila di tutto il 2018” che poi continuano con la soddisfazione del ministro per l’aumento del numero dei rimpatri termine al quale noi preferiamo deportazioni perché restituisce la vera natura di queste pratiche infami: «a ottobre sono sbarcati sul territorio italiano 379 tunisini e siamo riusciti a rimpatriarne 243, di cui 138 sbarcati nello stesso mese. In questo modo la percentuale dei rimpatriati rispetto agli sbarcati è di oltre il 60%».

Tra le persone più colpite dalle deportazioni ci sono sicuramente quelle che provengono dalla Tunisia come testimoniano le note del viminale; la cronaca di questi giorni ci restituisce la drammatica condizione delle persone tunisine colpite da questi provvedimenti.
Ieri ad esempio è stato imbarcato su un aereo per Tunisi e deportato su iniziativa della questura di Reggio Emilia un 34enne tunisino che era in Italia dal 2002. L’uomo che in passato aveva già ignorato alcuni decreti di espulsione a suo carico era stato arrestato il 21 giugno del 2018 ed era stato tradotto nel carcere di Reggio con una condanna a due anni; il 27 settembre scorso è stato raggiunto anche da una sentenza del Magistrato di Sorveglianza di Reggio che ne ha disposto l’espulsione come sanzione alternativa alla pena. Il lasciapassare dal consolato tunisino di Genova è arrivato il 29 ottobre e come detto è stato deportato ieri.

Ad Ancona invece un uomo di origine tunisina di 34 anni recluso nel carcere di Montacuto, e in sciopero della fame dal 2 novembre, si è cucito labbra e palpebre e ha poi ingoiato delle pile per protestare contro il decreto di espulsione che prevede la sua deportazione ad aprile 2020, una volta terminata la pena. Portato in ospedale per espellere le pile ha rifiutato l’intervento dei medici che avrebbero voluto tagliare i fili da cucito con l’intenzione di continuare la sua protesta e lo sciopero della fame. Come cita un articolo che racconta la sua storia “Non vuole tornare in Tunisia dove non avrebbe più parenti e nemmeno una casa”.

Queste sono solo le ultime due deportazioni di cui si ha notizia ma anche nel mese di ottobre si segnalano la deportazione in Tunisia, da parte degli agenti dell’ufficio immigrazione della Questura di Siracusa, di un 33enne detenuto dal 2015 nella casa di reclusione di Brucoli e quella di un 30enne prelevato alle prime luci dell’alba del 17 ottobre dalla sua abitazione di San Benedetto del Tronto dalla Digos di Ascoli Piceno e dai carabinieri del ROS in quanto “sospettato di avere posizioni radicali di impronta jihadista”. L’uomo è stato accompagnato all’aeroporto di Fiumicino da dove è partito alla volta di Tunisi, scortato dagli sbirri.
Da segnalare infine che sempre ad ottobre abbiamo assistito ad un caso di respingimento immediato a Livorno dove 4 persone di origine tunisina appena sbarcate da una nave sono state fermate dai finanzieri e trovate senza documenti, nelle vicinanze del varco doganale Galvani, dentro il porto. Sono quindi state respinte dalla Polmare che li ha affidati al comandante della nave con cui erano da poco sbarcati, affinché li riportasse indietro.

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