Grecia – Presidio contro lo sgombero del campo di Eleonas

Fonte: Solidarity with migrants

Dall’alba di stamattina mercoledì 22 giugno è in corso un presidio organizzato dagli/dalle abitanti del campo di Eleonas, per opporsi al previsto sgombero. Il campo aperto si trova a 5 km da Atene e le autorità hanno accelerato il già progettato sgombero, col pretesto del recente incendio di qualche giorno fa che ha distrutto alcune strutture e provocato ferite a un 14enne, che si trova ora ricoverato in terapia intensiva con ustioni e problemi respiratori. Molto spesso questi incendi sono il risultato di problemi elettrici, che nel periodo estivo aumentano la probabilità di fiamme incontrollate all’interno dei campi. Le amministrazioni sono indifferenti a risolvere questi problemi, nonostante le richieste degli immigrati, e così mettono a rischio la loro vita. Questa indifferenza all’interno dei campi è parte strutturale dei campi di concentramento e dell’incarcerazione stessa, ovvero una gestione politica di morte che cinicamente invisibilizza o uccide qualsiasi vita ritenga inutile ai greci e ai datori di lavoro europei. Questo è il sistema greco-europeo di “gestione dei profughi/migranti”, costruito da SYRIZA, ANEL, ND e da tutti i governi greci precedenti, insieme agli stati europei. Con lo sgombero di Eleonas e la deportazione nei campi di Malakasa, Schisto, Termopili etc. le donne e gli uomini immigratx, insieme ai loro figli, saranno ancora più esclusx e isolatx, lontani dalle città e senza accesso all’istruzione e a strutture sanitarie adeguate, condannati ad una segregazione di regime razzista ancora più grande, come migliaia di altre persone e famiglie stanno già vivendo, con l’unico destino di diventare manodopera a basso costo nelle campagne greche.
Non vogliamo certo abbellire il campo di Eleonas, integrato nel sistema razzista dei campi di concentramento, esclusione e sfruttamento. Tutti i campi di concentramento razzisti dovrebbero essere distrutti e sostituiti con strutture abitative aperte all’interno delle città. Fino ad allora, però, siamo contrari a qualsiasi tentativo di ulteriore peggioramento delle condizioni di vita delle persone immigrate.

Dalle frontiere alle isole ai campi di concentramento della Grecia continentale, il sistema razzista, assassino e sfruttatore funziona ancora accanto a noi.
Questo è ciò che il presente e il futuro riserva all’intero pianeta, il futuro delle persone immigrate e degli/delle oppressx locali.

Strutture abitative aperte nelle città!
Basta campi di concentramento!
Documenti per tutti!

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Roma – Subito uno spazio per il Dhuumcatu

Riceviamo e diffondiamo. Per scriverci: hurriya [at] autistici.org

Bomba oppure Bombola?

Comunicato Stampa Associazione Dhuumcatu

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Come Associazione Dhuumcatu denunciamo di trovarci in una situazione di grande pericolo, qualcuno sta criminalizzando la nostra attività e la nostra presenza in questa città. In particolare in questo quartiere.

Come già sapete il 10 maggio 2022 la banca, attraverso il servizio di recupero crediti, ci ha sfrattati dal locale. Dopo quella data, tante cose sono accadute all’associazione, siamo sconvolti e ci chiediamo come può accadere tutto questo in una società civile.

Dopo lo sfratto, per continuare le nostre riunioni abbiamo sistemato un giardino in disuso a nostre spese: due giorni dopo qualcuno gli ha dato fuoco.

Poi abbiamo chiesto l’ autorizzazione  per  l’utilizzo del ex sala consigliere del Municipio 5, abbiamo ricevuto il consenso e le chiavi dal municipio, ma poi ci è stato intimato, con le minacce, di liberare il locale prima della data pattuita e siamo stati costretti a restituire le chiavi.

Ieri, 19 giugno, abbiamo fatto un’assemblea a Piazza della Marranella per avere uno spazio sociale dal Municipio, un’assemblea molto partecipata da persone del quartiere, di ogni provenienza.

Oggi, 20 giugno, alle ore 11.00 di mattina, da Via Capua 4 (ex sede dell’associazione) è arrivato un allarme per una bombola di gas legata ad una bicicletta, ritenuta sospetta.

I Carabinieri sono intervenuti ed hanno bloccato la circolazione di Via Capua per la sicurezza dei cittadini e invitato i residenti a liberare la palazzina. Hanno poi controllato i documenti agli abitanti del palazzo, uno per uno.

La nostra paura è che queste cose stanno accadendo perché qualcuno vuole criminalizzare l’attività dell’associazione.

La nostra paura è che qualsiasi cosa accadrà in questo quartiere, diranno che la colpa è dell’ associazione Dhuumcatu o di Bachu.

Pertanto chiediamo alla Prefettura di Roma di convocare urgentemente un tavolo per la sicurezza del territorio e se possibile dare la possibilità di partecipare anche ad una nostra delegazione, per spiegare che cosa sta accadendo.

Per tutto questo, chiamiamo a due appuntamenti nei prossimi giorni:

– domenica 26 giugno alle 18:30 in Piazza della Marranella facciamo un’assemblea per confrontarci insieme su quello che sta succedendo e come organizzarci;

– martedì 28 giugno, alle 10:30, saremo davanti alla sede del Municipio V, in via di Torre Annunziata 1, per ricordare alla giunta le sue responsabilità in questa faccenda.

Chiediamo la presenza e la vicinanza di tutte le persone solidali.

Vi chiediamo di non lasciarci soli.

Roma – Subito uno spazio per il Dhuumcatu

Fonte: Documenti per tutt

Nel quartiere di Torpignattara, a Roma, continua il durissimo attacco nei confronti dell’ Associazione Dhuumcatu e della comunità che frequentava lo spazio sgomberato in via Capua. Di seguito il comunicato che chiama tutte le persone solidali in città al supporto, all’impegno, alla presenza in quartiere nei prossimi giorni. Basta razzismo, basta speculazioni, vogliamo spazi di solidarietà in tutti i quartieri! Continua a leggere

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Roma – Assemblea a Torpignattara verso una mobilitazione cittadina

FANNO IL DESERTO E LO CHIAMANO LEGALITÀ

Chi abita e frequenta Torpignattara sta vedendo con i propri occhi una trasformazione velocissima del quartiere: nuovi investimenti sugli immobili, prezzi degli affitti che volano – in un momento in cui il carovita colpisce la popolazione mondiale -, ondate di turismo che trasformano il quartiere in un albergo diffuso e un commercio a misura dei nuovi clienti ricchi.

Chi prova a resistere e a organizzarsi partendo dai bisogni è un ostacolo da rimuovere. L’associazione Dhuumcatu è stata sgomberata il 10 maggio e da più di un mese proseguono minacce e intimidazioni: dai cento celerini schierati in forze al momento dello sgombero, all’incendio al giardino a largo Preneste recuperato all’abbandono per renderlo luogo d’incontro, alle intimazioni del presidente del municipio che ha revocato la concessione dell’ex sala consiliare, all’arrivo della polizia intenzionata a identificare i presenti, alla continua pressione da parte della questura contro qualsiasi iniziativa di comunicazione in quartiere. Tutto questo ha un risultato: paura, esposizione alla violenza razzista, criminalizzazione che impedisce all’associazione di trovare una nuova sede. Nessuno vuole guai e le porte si chiudono.

Se la banca è il mandante e la polizia l’esecutore, il responsabile è chi governa questo territorio: il presidente Caliste e la sua giunta.
Dobbiamo rispondere a questo attacco.

Ci vediamo domenica 19 giugno alle 18 in piazza della Marranella in assemblea per organizzare una mobilitazione cittadina. Invitiamo abitanti e non.

Torpignattara è solidale.

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Gran Bretagna – “Basta deportazioni razziste”: il gruppo Stop Deportations blocca la prima deportazione verso il Ruanda

Traduzione da: Freedom News

14 giugno 2022

I manifestanti hanno bloccato i centri di detenzione per migranti e un autobus che trasportava cinque richiedenti asilo per la deportazione verso il Ruanda. Manifestanti del gruppo Stop Deportations sono intervenutx per opporre resistenza al primo volo di deportazione la cui partenza era prevista dall’aeroporto Stansted di Londra  verso Kigali (Ruanda) la sera del 14 giugno.

Lx manifestanti si sono legatx insieme con dei tubi di metallo e hanno bloccato le uscite del centro di detenzione per migranti (Immigration Removal Centres -IRC) di Colnbrook a Heathrow, dove erano detenute altre persone che il Ministero dell’Interno voleva mettere su un volo per il Ruanda.

Il volo che sarebbe dovuto partire stasera è la prima deportazione del Rwanda Asylum Plan, il piano razzista, inumano e incivile voluto da Priti Patel [segretaria di stato per gli affari interni, l’equivalente in Italia del ministro degli Interni ndt.] che ha ricevuto condanne e critiche generalizzate da parte dell’opinione pubblica, dellx attivistx, delle organizzazioni per i diritti umani, dall’UNHCR, da membri del Parlamento e dal sindacato PCS (Public and Commercial Services Union).

Le politiche esistenti in Ruanda sono state oggetto di molteplici ricorsi legali di fronte alle Corti del Regno Unito negli ultimi giorni. Nonostante le corti non abbiano deciso di sospendere il volo di oggi, nell’attesa di una disamina completa sulla conformità legale della politica di deportazione, sono stati presentati con successo numerosi ricorsi per conto di singoli individui. Questo significa che la maggioranza delle persone che originariamente dovevano essere su quel volo sono state depennate dalla lista. Sappiamo che ci sono cinque persone ancora a rischio di deportazione verso il Ruanda questa sera.

Lx attivistx di Stop Deportations hanno dichiarato: “Questa politica è il risultato di anni di narrazioni che descrivono le persone migranti come non umane; narrazione che ha consentito al Ministero dell’Interno di infliggere dolore a queste persone e di farla franca. Noi come opinione pubblica ci rifiutiamo di accettare i piani crudeli, disumani e illegali del Ministero dell’Interno. Mentre i tribunali continuano a essere complici con il regime violento delle frontiere, l’unico modo per resistere all’oppressione razzista sistemica è quello di continuare a prendere parola e a scendere in piazza. Chiediamo che il Rwanda Asylum Plan venga eliminato e continueremo a scendere in strada finché questa richiesta non sarà accolta“.

Non ci dovrebbe essere nessuno su quel volo. Nessuno dovrebbe essere deportato sulla base di politiche così razziste e discriminatorie. È chiaro che non possiamo fidarci dei tribunali per ottenere una giustizia reale e per evitare questa deportazione razzista e fascista, ecco perché abbiamo agito direttamente. No alle deportazioni né in Ruanda né altrove.

Non possiamo affidarci ai tribunali o ai politici per fermare il regime violento delle frontiere: ecco perché moltx di noi si stanno riunendo per agire direttamente contro le leggi sull’immigrazione. Erevamo centinaia a fermare le retate nelle nostre comunità, in Scozia e a Londra. Siamo scesx in strada in massa per protestare contro le leggi e le vili politiche migratorie del governo. Abbiamo fermato bus e aerei per resistere alle deportazioni. Continueremo a costruire relazioni e solidarietà visto che le persone nere, brown e razzializzate vengono prese di mira alle frontiere, nelle carceri e dalla polizia – dobbiamo organizzarci ora per contrastare questo governo fascista con amore, cura e comunità.

Sono stato unx attivistx contro la guerra e per il clima negli ultimi 4 anni e questo volo rappresenta il peggio della normativa statale in materia di rifugiatx. Le persone fuggono dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla siccità e dalla carestia. Con il peggioramento della crisi climatica, lx rifugiatx climaticx avranno bisogno di un posto sicuro dove andare visto che il fallimento dell’agricoltura intensiva significa l’impossibilità per le persone di sfamare le loro famiglie, come sta già succedendo in Yemen. Dobbiamo agire come se fossero gli albori di un governo fascista che intende disumanizzare le persone per una manciata di voti, perché è questo che sta succedendo“. Continua a leggere

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Foggia – L’11 giugno scendiamo in piazza contro la violenza razzista

Fonte: Comitato lavoratori delle campagne

FOGGIA: BASTA CACCIA AL NERO! L’11 GIUGNO SCENDIAMO IN PIAZZA CONTRO LA VIOLENZA RAZZISTA

Come già accaduto in anni passati, i braccianti africani tornano a denunciare molteplici aggressioni a evidente sfondo razzista, accadute lo scorso fine settimana, che hanno coinvolto almeno una decina di persone attaccate in diverse zone della città di Foggia, e altre a Borgo Mezzanone.

Le aggressioni sono avvenute alle prime luci dell’alba: mentre i braccianti si recavano al lavoro a bordo delle loro biciclette sono stati avvicinati da auto o motorini, da cui sono partiti lanci di pietre, schiaffi e pugni. In altri casi chi si trovava sui veicoli ha deliberatamente cercato di fare cadere i lavoratori africani dalle loro biciclette per poi aggredirli una volta a terra.

Tre di questi lavoratori sono rimasti feriti ma non tutti si sono recati in ospedale, per paura e con la consapevolezza che difficilmente avrebbero ricevuto le cure necessarie.

E’ ora di dire basta a queste violenze, figlie della stessa cultura che discrimina gli immigrati attraverso leggi fatte per dividere e sfruttare, attraverso ostacoli burocratici, ghettizzazione e personale razzista negli ospedali, nelle questure e in altri uffici pubblici.

I lavoratori e le lavoratrici delle campagne della provincia di Foggia chiamano all’appello gli e le antirazziste in tutta Italia, affinché sostengano la loro battaglia contro tutte le forme di violenza razzista e per il riconoscimento di documenti, case e contratti che rendano loro la vita vivibile. Abbiamo sofferto abbastanza e siamo stanchi di parole al vento!

Ci troviamo sabato mattina, 11 giugno, alle h. 10 al piazzale della stazione di Foggia. Da qui partiremo in corteo per arrivare alla Prefettura, dove chiediamo di incontrare le autorità per avere risposte immediate. Basta razzismo, documenti case e contratti per tutt!

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Milano – 19 giugno presidio al CPR

Fonte: Punto di rottura – Contro i Cpr

PRESIDIO AL CPR DI MILANO – DOMENICA 19 GIUGNO 2022 – ORE 18:00

In solidarietà a chi è processato con l’accusa di devastazione e saccheggio per le rivolte al CAS Serena di Treviso del 2020 e per portare un saluto a chi è recluso dentro il CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio).

link evento

RITROVO: ci troviamo al parcheggio davanti al Centro sportivo F. Scarioni in via Tucidide, 10 a Milano

Porta pentole e fischietti per fare più rumore.

Da settembre 2020 a Milano ha di nuovo aperto il CPR, minaccia costante per chi vive senza documenti regolari e luogo dove ogni aspetto della vita viene calpestato.

Al suo interno le condizioni sono terribili: dal cibo di scarsa qualità – e spesso scaduto – alla prescrizione di farmaci psicotropi, dalla mancanza di cure mediche e supporto legale a standard igienici inaccettabili.

Il CPR rappresenta solo l’ultimo anello della catena mortifera di selezione e sfruttamento costituita dalla gestione delle migrazioni.

Nel 2020 nel CAS Serena di Treviso è scoppiata una protesta legata alla totale assenza di tutela della salute nel momento di diffusione del COVID-19, acuita dalle strutturali condizioni di sovraffollamento, cure mediche assenti e collaborazione tra operatori sanitari e polizia. Il 30 giugno 2022 si terrà a Treviso il processo per la rivolta al CAS Serena, che vede gli imputati accusati di sequestro di persona e devastazione e saccheggio.

L’accusa di devastazione e saccheggio viene sempre più spesso utilizzata a sproposito, non solo in occasione di manifestazioni e proteste di piazza, ma anche per reprimere duramente le rivolte nei luoghi chiusi e controllati, come è accaduto anche per le proteste che hanno infiammato le carceri nel marzo 2020.

Nei CAS, nei CPR, nelle prigioni, così come nelle strade e nelle piazze, la gestione della pandemia è stata l’occasione per accelerare su controllo e repressione, su esclusione e sacrificio.

Perciò vi invitiamo a un presidio davanti al CAS di via Aquila e al CPR di via Corelli a Milano, per portare un saluto a chi è rinchiuso e in solidarietà con chi è processato per le rivolte.

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Egitto – Alaa Abdel Fattah in sciopero della fame dal 2 aprile 2022

In occasione di al-Iid (la festa di fine Ramadan) diversi compagni in questi giorni sono usciti dal carcere con l’amnistia presidenziale, dopo aver passato anni e anni dentro in detenzione amministrativa e aver subito le peggiori vessazioni e torture.
Moka, un compagno egiziano che dal 2013 entra e esce dal carcere senza aver mai visto la libertà e aver subito torture e punizioni, da pochi giorni ha concluso lo sciopero della fame di 75 giorni, sollecitato dai compagni di cella.
Anche Alaa è in carcere dal 2013, ha già scontanto 5 anni per il primo processo, 2 anni di carcere preventivo e ora sta scontando altri 5 anni.

Dal 2 aprile Alaa è in sciopero della fame. Dal 2019, anno in cui è entrato nel carcere di massima sicurezza di Torah al Cairo, Alaa è privato della mezz’ora d’aria e dei libri e i colloqui avvengono tramite un vetro divisorio. Ad alcuni detenuti sono perfino vietati i colloqui con i familiari da anni. Tutti hanno subito torture appena arrivati in questo luogo di vessazioni e morte.
Di seguito la lettera scritta dalla madre di Alaa, Laila Soueif, dopo l’ultimo colloquio avvenuto il 26 aprile 2022:

Oggi 26 aprile ho avuto il colloquio con Alaa e racconterò cosa è successo.
Come da lui richiesto ormai da mesi gli ho portato un lenzuolo, due magliette blu, una radio, un fumetto di Miky, un romanzo e un libro scientifico “Our Mathematical Universe”, sono gli stessi oggetti che sono stati vietati domenica scorsa a cui ho aggiunto un altro romanzo e altre poche cose visto che è in sciopero della fame.
Sul cancello di entrata del carcere i poliziotti mi hanno chiesto di scrivere per ben due volte la stessa lista degli oggetti perchè non riuscivano a leggere la mia scrittura, per poi stenderle sul tavolo nella stanza delle perquisizioni, fotografarle e spedirle alla solita persona ignota che decide se vietare o far entrare gli oggetti.
Come domenica scorsa hanno vietato tutto, dal lenzuolo alla radio, al fumetto, ai libri.
Durante il colloquio ho informato Alaa di essere andata a esporre una denuncia al commissariato di al-Maadi e aver avvertito il consolato inglese (Alaa ha preso da dicembre la cittadinanza inglese in quanto la madre è nata lì) di quanto accaduto domenica scorsa, come da lui richiesto.
Successivamente gli ho chiesto cosa fosse successo quel giorno dopo che me ne ero andata, mi ha raccontato di essere rimasto in presidio nella cabina dove avviene il colloquio fino all’orario di chiusura del carcere, a quel punto fecero entrare un gruppo di forze speciali che lo hanno preso a forza portandolo nella sua cella e anche oggi erano già lì pronte per portarlo forzatamente in cella, visto che Alaa aveva intenzione di rimanere nuovamente in presidio, rifiutandosi di rientrare.
In seguito il direttore del carcere incontrò Alaa dicendogli che fosse normale non aver ricevuto la lista degli oggetti sopracitati in quanto erano proibiti, anche se non capisco cosa ci sia di proibito tra le cose che gli ho portato.
Quando ho visto le forze speciali pronte a riportarlo a forza in cella, ho deciso di rimanere anche io per essere testimone di quello che sarebbe successo.
Hanno cercato di mandarmi via con le buone e con le cattive, ma ero determinata a rimanere affermando che non me ne sarei andata di mia spontanea volontà e che se avessero voluto avrebbero potuto finire questa farsa dandogli un libro dalla biblioteca del carcere, se quelli che avevo portato erano proibiti.
Ogni volta che alzavo la questione dei libri il direttore del carcere mi ignorava dicendomi che il tempo del colloquio era finito.
Siamo rimasti in questa situazione fino alle 5 circa, orario di chiusura del carcere, un pò tornavano a fare la stessa discussione e a volte sparivano, si aggiravano vari pezzi grossi, tra cui credo l’ispettore del carcere, mentre dall’altra parte del vetro divisorio non sentivo cosa dicessero a Alaa, ma vedevo l’aria minacciosa con cui si rivolgevano a lui.
Verso le 5 dopo che erano spariti per almeno mezz’ora è venuto di nuovo il direttore del carcere, comunicandomi che il carcere doveva chiudere e che se non me ne fossi andata mi avrebbero vietato i prossimi colloqui con Alaa.
Al che decisi di andarmene, di sicuro lo hanno riportato in cella a forza, spero non gli abbiano fatto del male.

Alaa è pieno di rabbia.

Alaa è pieno di rabbia contro la direzione carceraria che gli nega i suoi diritti legali scritti nel regolamento carcerario.

Alaa è pieno di rabbia contro la procura asservita alla direzione carceraria che continua a non rispettare il regolamento stesso e la legge.

Alaa è pieno di rabbia contro le autorità inglesi che permettono alle autorità egiziane di privarlo del diritto del consolato di fargli visita fino ad oggi.

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Egitto – Sugli scioperi della fame in carcere e l’assassinio di Ayman Hadhud

Mentre in Palestina continuano gli attacchi sionisti nei confronti di minori e non solo, il regime egiziano ha attivato voli diretti per entrare nel paese e, per incentivare il turismo proveniente “dall’unica democrazia del Medioriente”, è stato organizzato un festival musicale nel Sinai. Posti di blocco e perquisizioni sono invece il perenne ostacolo per migliaia di egiziani che hanno partecipato alla rivoluzione del 2011 e che hanno sempre più difficoltà a spostarsi nel proprio paese e raggiungere il Sinai.

Quello che accade a livello interno continua ad essere terrificante ogni giorno di più.
Ayman Hadhud è l’ennessimo morto ammazzato dal regime egiziano. Ayman, un ricercatore economista, il 5 febbraio è scomparso e il suo telefono risultava spento. Dopo qualche giorno dalla sua sparizione forzata, alcune guardie della sicurezza hanno informato la famiglia che era da loro, omettendo il luogo di detenzione. Il 5 aprile la famiglia è stata informata della sua morte nell’ospedale psichiatrico di al-Abbasiya. Le condizioni del suo corpo sono agghiaccianti. L’assassinio di Ayman è avvenuto il 5 marzo ma il cadavere è rimasto nella cella frigorifera dell’ospedale per un mese. Alla famiglia è stato impedito di divulgare le foto del corpo massacrato, con il ricatto di poter celebrare o meno il funerale.

Diversi compagni detenuti hanno iniziato lo sciopero della fame per le pessime condizioni all’interno delle carcerei, per le continue vessazioni e i pestaggi. Per alucni lo sciopero è terminato dopo una settimana per altri no.

Moka è un compagno che si trova in carcere dal 2013, è stato trasferito più volte e torturato diverse volte, la sua vita è in pericolo e sono più di 60 giorni che prosegue lo sciopero della fame mentre alla famiglia vengono vietati i colloqui.

Alaa Abdel Fattah è entrato in sciopero della fame il 2 aprile. Ricordiamo che Alaa ha già scontato una pena di 5 anni, oltre ai due anni di carcere preventivo e ora sta scontando un’altra pena di 5 anni nel carcere di massima sicurezza di Torah al Cairo dove gli viene negata la mezz’ora d’aria, la possibilità di leggere e i colloqui avvengono dietro vetro divisorio. Sono quotidiane le torture fisiche e psicologiche che avvengono all’interno di questo carcere. Alaa stesso è stato denudato e torturato quando è stato portato dentro, proprio quando aveva appena finito di scontare la pena di 5 anni per il primo processo e stava scontando 5 anni di semilibertà con l’obbligo di rientro in una cella del commissariato per 12 ore al giorno.
Alaa ha ottenuto la cittadinanza inglese in quanto la madre è nata lì, le sue richieste come egiziano sono l’apertura di indagini per le denunce fatte sulle pessime condizioni di prigioni e come cittadino inglese che qualcuno del consolato possa fargli visita.
Nonostante la sua carcerazione è riuscito a pubblicare un libro: “Non siete ancora stati sconfitti” che raccoglie tutti i suoi articoli e le sue lettere dal 2011 al 2020, un’importantissima testimonianza sugli eventi politici dall’inizio della rivoluzione e sulle carceri del regime.

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Torino – 25 aprile presidio al CPR

Fonte: No CPR Torino

A due mesi dall’inizio del mandato di ORS s.r.l. per la gestione del CPR di Torino la situazione dentro il centro rimane aberrante.

Il Centro si sta nuovamente riempiendo: ogni giorno vengono portate dentro nuove persone che dopo un tampone e la superficiale visita del solito dottor Pitanti sono trattenute in isolamento nell’Ospedaletto per 2 settimane. Continuano i sequestri dei telefoni personali al momento dell’ingresso, e le condizioni di sopravvivenza quotidiane continuano ad essere raccapriccianti: il cibo è praticamente marcio e nelle strutture fatiscenti non funzionano i servizi igienici. Le deportazioni proseguono e le persone vengono prelevate dalle aree nel cuore della notte per essere trasferite in aeroporto via pullman della polizia. Gli atti di autolesionismo, continui, e le proteste vengono repressi con violenza.

Torniamo sotto le mura del CPR, contro galere e frontiere, in solidarietà con le persone recluse.

Il 25 aprile, per la libertà di tutti e tutte.

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Roma – Benefit per chi lotta contro i CPR

Riceviamo e pubblichiamo questo appuntamento della Cassa di Solidarietà La Lima.

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