Riceviamo e pubblichiamo. Per scriverci e inviarci contributi hurriya[at]autistici.org
Da qualche giorno è circolata la terribile notizia di alcuni fatti accaduti a Udine negli ultimi otto mesi: da febbraio a oggi, con un picco nel mese di agosto, sarebbero morte in circostanze poco chiare tra le cinque e le sedici persone richiedenti asilo, tutte residenti in alcuni Cas situati a Udine, tra cui l’ex caserma Cavarzerani, una struttura gestita dalla Croce Rossa e quotidianamente controllata da ingenti presidi di forze di polizia che, secondo gli ultimi numeri di cui si ha notizia, avrebbe ospitato nei mesi estivi circa 700 persone, a fronte di una capienza di 300. Le morti sarebbero avvenute tra i Cas stessi, il carcere e l’ospedale di Udine.
I media ufficiali riportano soltanto due di questi episodi, liquidandoli in poche righe: uno riguardante il presunto suicidio da parte di una persona di origine afghana che sarebbe avvenuto proprio nei locali dell’ex caserma Cavarzerani il 12 agosto; l’altro relativo al suicidio, anche in questo caso presunto, di una persona di origine pakistana, avvenuto il 19 agosto in una cella singola della sezione protetta del carcere di Udine, sotto la stretta sorveglianza delle guardie penitenziarie. Le autorità carcerarie hanno dichiarato che la persona deceduta sarebbe stata trasferita lì su decisione del medico dell’infermeria, dove era stata condotta per medicare delle lievi lesioni procurate, secondo la versione ufficiale, in seguito a un diverbio avvenuto con altri detenuti il giorno precedente alla morte, cioè quello del suo ingresso in carcere.
Due notizie gravissime, soltanto accennate da alcuni quotidiani locali, che riportano le versioni ufficiali date dalle autorità. Con buona pace di (quasi) tutti, il caso è chiuso e risolto. Insomma, l’importante è non porsi domande, non farle, non vedere. Tacere.
E invece di interrogativi ce ne sono proprio tanti. Sappiamo che storie così accadono quotidianamente nei luoghi del controllo e della repressione. La versione ufficiale dei suicidi non è nuova e mai crederemo alle versioni ufficiali del braccio armato del potere e dell’autorità.
Certo, sappiamo che forse non potremo mai conoscere la verità, dal momento che chi avrebbe potuto dircela non c’è più, ma non per questo restiamo indifferenti. E non lo resteremmo nemmeno se si trattasse veramente di suicidi, tantomeno se avvenuti all’interno di luoghi di confinamento e detenzione, sotto il controllo repressivo di guardie e sbirri, dopo mesi, spesso anni, di attesa di commissioni e documenti che non arrivano mai, privati della libertà di gestire e organizzare la propria esistenza e di vivere in autonomia, in condizioni materiali e psicologiche spesso devastanti. Proprio quando, insomma, il suicidio resta l’ultimo atto possibile di libertà.
Ma il segnale ancora più allarmante su ciò che sta accadendo dentro questi luoghi è la coltre di silenzio che ha circondato tutte queste morti, che fa sorgere ulteriori dubbi su chi, o che cosa, le abbia provocate.
Tutto questo accade a Nord-Est dell’Italia dove i migranti, per la maggior parte in arrivo dalla rotta balcanica, si scontrano nella ricostituita frontiera tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia. Salvini e Fedriga hanno annunciato con fierezza l’istituzione di un presidio permanente delle forze dell’ordine su quella frontiera per il pattugliamento continuo della fascia confinaria di Trieste e provincia, soprattutto sul Carso. Per l’occasione, sono stati radunati gli agenti della mobile di Padova, gli equipaggi del Reparto prevenzione crimine sempre di Padova, fino al corpo regionale Fvg della forestale. Una vera e propria caccia ai migranti istituzionalizzata tra i boschi di confine, dove non sembrano mancare casi in cui i respingimenti avvengono direttamente tramite la riconsegna di mano in mano alle polizie dei vari paesi, in un percorso a ritroso che li riporta di nuovo in Bosnia e in Serbia. Questi ennesimi respingimenti di polizia non sono altro che la versione alternativa, senz’altro più efficiente ed economica, del ping pong legalizzato dei migranti previsto dal sistema di trasferimenti Dublino e delle espulsioni, previsti dalle leggi europee e nazionali.
Mentre le istituzioni leghiste annunciano gli sgomberi di tutti i migranti che dormono sulle Rive a Trieste, il vicesindaco della città Polidori gira di notte registrando video di se stesso intento a cacciare ai migranti che dormono sulle rive e sui sagrati delle chiese, minacciando di chiamare gli sbirri per ripristinare la sua idea di ordine pubblico. Intanto, Forza Nuova continua a chiamare ronde per presidiare il centro città e la val Rosandra, nella zona di confine.
La regione leghista dichiara, inoltre, la volontà di riaprire il CPR di Gradisca d’Isonzo, fatto chiudere nel 2013 dai migranti reclusi a colpi di rivolte. In più, si dice favorevole ad aprire un CPR per ogni capoluogo di provincia: strutture più piccole, più capillari ed efficienti per effettuare i rimpatri o anche soltanto per il confinamento dei migranti. I campi dovrebbero essere più piccoli di quelli del passato in modo da essere più controllabili e per poter reprimere qualsiasi rivolta con facilità. Inoltre, l’approvazione dei tagli ai fondi per l’integrazione, che fino a poco fa finanziavano vari servizi destinati ai migranti fuori accoglienza e alcuni progetti di accoglienza diffusa nella regione, ha suscitato la reazione non soltanto delle cooperative dell’accoglienza, chiaramente interessate a mantenere il proprio posto di lavoro, ma anche dei quattro prefetti della regione, che ne hanno fatto una questione di pubblica sicurezza, dal momento che i servizi del territorio finanziati con questi fondi garantivano il controllo e la gestione capillare dei migranti.
Di carcere si muore, così come di “accoglienza”. Sulle frontiere geografiche e in quelle dei grandi centri di confinamento dei migranti sparsi sul territorio. La notizia di così tante, troppe morti avvenute in così poco tempo, non può passare sotto silenzio, né essere dimenticata. Il clima di terrore e l’omertà imposta dai protettori di questo sistema non basterà a far calare l’attenzione su ciò che accade quotidianamente sui nostri territori e nei centri di confinamento, qualsiasi sia il nome attribuitogli. Non basterà a sedare le lotte contro ogni frontiera.
Sempre più nemiche e nemici delle frontiere Continua a leggere→