Giovedì 7 ottobre è iniziato il processo per associazione sovversiva contro lo Stato e alcuni capi specifici per diciotto compagni e compagne. A trentadue mesi esatti dallo sgombero, alla sbarra vengono portati, oltre agli imputati, proprio l’esperienza intorno al fu Asilo occupato, il progetto Macerie e Storie di Torino e il sacrosanto odio verso le prigioni per immigrati irregolari (nati Cpt, poi Cie, ora Cpr).
L’oggetto del teorema inquisitorio Scintilla è infatti una lotta ventennale, quella contro la detenzione amministrativa dei senza-documenti, portata avanti da un movimento reale dentro e fuori i Centri di reclusione. Una lotta composta anche da una serie lunghissima di iniziative all’esterno dei Centri: alcune indette, altre a sorpresa, alcune anonime, altre rivendicate, alcune “a volto scoperto” e altre “a volto coperto”. Per la maggior parte di queste ultime gli inquirenti non sono finora riusciti a raccogliere né prove né indizi sufficienti per attribuire precise responsabilità individuali, nonostante anni di esegesi di scritti, intercettazioni telefoniche e ambientali, videoriprese, pedinamenti, rilievi e prelievi di impronte digitali e DNA.
Vi proponiamo un approfondimento che parte sì dall’inchiesta, ma per poi addentrarsi negli anni di lotta, nelle motivazioni, nel cuore della solidarietà e della vita che si sprigiona quando si combatte contro una delle tante ingiustizie di questo mondo, una delle più atroci: l’esistenza di lager per umani.
In conclusione, ancora voci, sono ancora quelle dei reclusi, sono ancora quelle di compagni e compagne, che raccontano oggi cosa accade nei Cpr, perché la lotta non si ferma con un’inchiesta tribunalizia, ma continua finché di queste gabbie non rimarranno che macerie.
00:00 – Intro, le inchieste contro gli anarchici
02:10 – Sgombero Asilo Occupato, audio d’archivio del 2019
09:05 – Cos’era l’Asilo
12:06 – Repressione e lotta
16:14 – Attorno a un perché, la lotta contro i Centri
21:40 – Dal tetto del Cie in rivolta, audio d’archivio del 2015
24:45 – Cie e galera, pezzi del quartiere, audio d’archivio del 2014
34:00 – Cospirazione, solidarietà e rivolta, elementi inafferabili per qualunque inquirente
37:25 – Alcune tecnologie del potere
44:37 – Sui regimi differenziali di carcerazione, intervista all’avv. Caterina Calia
55:43 – Contro i Cpr, oggi. Le valutazioni, le voci da dentro
Milano – Domenica 24 ottobre iniziativa “Il CPR: un posto da chiudere”
Domenica 24 ottobre 2021
via Conchetta, 18 – Milano
C.S.O.A. COX 18, Libreria Calusca, Archivio Primo Moroni
ore 18:00 aperitivo
ore 19:00 PROIEZIONE di un video-documentario autoprodotto sul CPR di Milano
A seguire:
– La questione del CPR: discussione e aggiornamenti
– Un intervento di Daniele Ratti:
ENI e le missioni internazionali militari tra Mediterraneo e Africa
“Gli interessi dei gruppi energetici internazionali sono i protagonisti dei conflitti e dei nuovi equilibri geopolitici in Africa e nel Mediterraneo. Gli scenari di guerra determinano il controllo e la regolazione dei flussi migratori. I migranti costituiscono una delle principali ricchezze dell’Africa, la merce “umana” è pari al valore dell’oro nero e dell’oro blu.
-Dibattito
A cura dell’assemblea Punto di Rottura – contro i CPR
contatti: puntodirottura@riseup.net
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Presidio Solidale davanti al Tribunale di Torino il 7 ottobre, ore 10:30 Presidio davanti al CPR di Torino il 9 ottobre, ore 16
Il 7 febbraio 2019 scattava a Torino l’operazione Scintilla.
Quel giorno veniva sgomberato l’Asilo, occupazione storica nella quale si sono organizzate negli anni diverse lotte che hanno attraversato i quartieri di Aurora e Barriera di Milano. La reazione a quello sgombero è stata forte e determinata e ha coinvolto centinaia di persone che nei giorni e nei mesi successivi hanno dato vita a iniziative e azioni di
solidarietà.
L’indagine della Procura ruotava intorno alla lotta contro i centri di detenzione per immigrati, da sempre viva in città come altrove, dentro e fuori queste strutture. Non si può tenere il conto delle rivolte che il centro di Corso Brunelleschi ha subito dalla sua apertura, danneggiato e devastato dalla rabbia dei reclusi, mentre all’esterno si è sempre
provato a supportare i rivoltosi, rimarcando il ruolo di questi luoghi nei meccanismi di sfruttamento ed esclusione.
Nel corso degli ultimi due anni di indagini per l’operazione Scintilla, otto compagni e compagne vengono arrestati con l’accusa di associazione sovversiva, istigazione a delinquere e alcuni reati specifici, tra cui attacchi incendiari a bancomat delle poste italiane, plichi esplosivi destinati a ditte collegate al funzionamento dei centri per rimpatrio e incendio in concorso con alcuni reclusi del cpr.
Negli ultimi anni il Cpr di Torino rimane un luogo di reclusione e soprusi, dove le persone muoiono inspiegabilmente, come successo lo scorso maggio a Musa Balde, e contro il quale i reclusi continuano a rivoltarsi e incendiare le loro gabbie. Per questo c’è ancora chi in città porta solidarietà fuori da quelle mura e lotta per la loro distruzione.
Il 7 ottobre ci sarà la prima udienza del processo che vede ora imputati 18 compagne e compagni. In quell’occasione ci troveremo fuori dal Tribunale di Torino per un presidio di solidarietà per non lasciare solo chi va a processo e per ribadire che lottare contro i Cpr è più che mai necessario.
L’appuntamento è per le ore 10 e 30 davanti al Tribunale di Torino in via Giovanni Falcone.
Ci preme mandare tutta la nostra solidarietà a Natascia, compagna imputata nell’operazione Scintilla ma detenuta per l’operazione Prometeo, che ha visto richiedere qualche giorno fa dalla Procura di Genova nei suoi confronti e di altri due compagni oltre 17 anni di carcere.
PRESIDIO SOTTO LE MURA DEL CPR DI TORINO SABATO 9 OTTOBRE ore 16 via Monginevro angolo Corso Brunelleschi
All’interno del CPR, così come nelle carceri, a smuovere la situazione è stato il coraggio di chi è costretto a vivere quotidianamente questi luoghi. L’assenza totale di cure mediche, le espulsioni e il clima di violenza che le forze dell’ordine e l’ente gestore GEPSA vorrebbero affermare e rendere normale dentro il Centro non hanno avuto la meglio sulla determinazione e la voglia di libertà delle persone recluse.
Venerdi 10 Settembre tutte e cinque le unità abitative che compongono l’area Rossa sono state rese inagibili dalle persone detenute che hanno protestato con rabbia e dato fuoco ai materassi. Un ragazzo ha voluto raccontarci al telefono le motivazioni della rivolta e le condizioni quotidiane di detenzione cui sono costretti tra assenza di cure mediche e pestaggi delle guardie.
La determinazione con cui le persone rinchiuse hanno da sempre affrontato la loro reclusione dovrebbe essere d’esempio per noi fuori proprio in un periodo come questo in cui all’esterno ad essere colpita è soprattutto la solidarietà nei confronti di chi lotta e si ribella per distruggere la propria gabbia.
In momenti come questi è quanto mai importante far sentire a chi lotta che non è solo, dimostrare che le gabbie e le mura non riescono a rendere invisibile ciò che accade dentro.
In solidarietà alle persone recluse che quotidianamente lottano e si ribellano dentro il CPR.
In solidarietà ai compagni e alle compagne che negli anni hanno lottato contro i Centri di detenzione amministrativa e adesso si trovano imputati/e nell’Operazione Scintilla, che ha portato anche allo sgombero dell’Asilo Occupato.
Oggi è stata occupata la Casa Cantoniera di Claviere.
Questa casa abbandonata da anni è di proprietà dell’ANAS, responsabile dello sgombero di Chez JesOulx.
Da oggi, la facciamo rivivere come un rifugio solidale aperto a tutt* e luogo di lotta contro le frontiere.
L’inverno e la neve stanno arrivando. I bus di ResAlpes non effettuano più fermate a Clavière e questa notte 50 persone di passaggio determinate si sono dirette a piedi da Oulx a Claviere. A Claviere non esiste nessuna struttura solidale per le persone che, tutti i giorni, attraversano la frontiera nonostante i controlli mirati, la violenza e i respingimenti della police aux di frontières e della gendarmerie francese.
Nonostante la repressione crescente, ci prendiamo la libertà di muoverci e vivere dove si vuole e ci rivendichiamo la riappropriazione degli spazi vuoti. È per questo che, al posto di un ennesimo dispositivo turistico, faremo di questo posto un luogo solidale e politico.
A Oulx, il rifugio istituzionale Fraternità Massi funziona solamente come dormitorio e lascia le persone per strada durante il giorno. Di fronte a questo fallimento del modello assistenzialista, ci organizziamo in autogestione con le persone che affrontano questa frontiera tutti i giorni.
La frontiera continua a uccidere e mettere in pericolo la vita delle persone e, fino a quando tutto questo non verrà distrutto, organizzeremo azioni di solidarietà diretta.
Raggiungeteci da ora a Claviere per costruire insieme questo nuovo rifugio.
Alle 10 inizierà la manifestazione e il pranzo solidale, venite numeros*!
CONTRO LE FRONTIERE E GLI STATI CHE LE CREANO, LIBERTÁ!
NO ALL’ESTRADIZIONE DI EMILIO
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Aujourd’hui la Casa Cantoniera de Claviere a eté occupée.
Cette maison abandonée depuis des années est la proprieté de ANAS, responsable de l’expulsion de Chez JesOulx.
Dès aujourd’hui, nous la faisons revivre comme un refuge collectif ouvert à toust.e.s et lieu de lutte contre les frontières.
L’hiver et la neige arrivent. Les bus di ResAlpes ne s’arrète plus à Clavière, et la nuit passée 50 personnes de passage ont marché à pieds de Oulx à Claviere (15km dans la montagne). A Claviere, il n’existe pas de structure solidaire pour les personnes qui, tous les jours, veulent traverser la frontière malgré les contrôles ciblés, la violence et les refus d’entrée de la PAF et de la gendarmerie.
Malgré la rèpression croissante, nous imposons nos liberté de se déplacer et vivre où l’on veut et nous revendiquons la rèappropriation des espaces abandonnès. C’est pour cela qu’au lieu d’un ènième dispositif touristique, nous faisons de cet endroit un lieu solidaire et politique.
Á Oulx, le refuge institutionnel Fraternità Massi fonctionne seulement comme un dortoir et laisse les personnes à la rue la journée. Face à cet èchec du modèle d’assistance, nous nous organisons en autogestion avec les personnes qui affrontent cette frontière tous les jours.
La frontière continue à tuer et mettre en danger la vie des personnes, et jusqu’à que tout cela sera détruit, nous organiserons des actions de solidarité directe.
Rejoignez-nous dès maintenant à Claviere pour construire ensemble ce nouveau refuge.
A 10h commencera la manif et le repas solidaire, venez nombreuses!
CONTRE LES FRONTIERES ET LES ETATS QUI LES CREENT, LIBERTE!
NON A L’EXTRADICTION POUR EMILIO!
2 Ottobre h10 CLAVIERE – Appello per una manifestazione contro tutte le frontiere
Fonte: Passamontagna
fr, eng below Il 2 di Ottobre chiamiamo una manifestazione a Clavière contro tutte le frontiere.
La stagione turistica è terminata, l’inverno è alle porte ma la repressione e il controllo sui sentieri e per le strade dai due lati del confine non vanno in letargo.
La solidarietà non si arresta!
Il 29 di settembre al tribunale di Torino si terrà l’udienza per l’estradizione di Emilio, accusato di oltraggio e violenza aggravata a pubblico ufficiale a seguito di un corteo su questi sentieri.
Il 7 ottobre inizierà anche il processo per l’operazione Scintilla che vede imputati 18 compagnx di Torino -e non solo-, accusati di lottare contro i CPR e il loro dispositivo repressivo.
Incontriamoci a Clavière alle 10, a seguire pranzo benefit per l* inguaiat* della frontiera.
Porta il tuo piatto e la tua forchetta.
NO ALL’ESTRADIZIONE
Libertà per Emilio e per tutt* le reclus* in carceri e CPR
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2 Octobre 10h Clavière – Appel à une manifestation contre toutes les frontières https://www.passamontagna.info/?p=2599&lang=fr
Le 2 octobre nous appelons a une manifestation à Clavière contre toutes les frontières.
La saison touristique est terminée, l’hiver arrive, mais la répression et le contrôle sur les sentiers et dans les rues des deux côtés de la frontière n’hibernent pas.
Mais la solidarité ne s’arrête pas !
Le 29 septembre au tribunal de Turin aura lieu l’audience pour l’extradition d’Emilio, accusé d’outrage et violence aggravée envers agent dépositaire de l’autorité publique, à la suite d’un cortège sur ces chemins.
Le 7 octobre commence également le procès pour l’opération Scintilla qui inculpe 18 copain.e.s de Turin (et autre), accusé.e.s de lutter contre le CRA et leur dispositif répressif.
Retrouvons-nous à Clavière à 10h, pour un repas solidaire aux inculpé.e.s de la frontière.
Amène ton assiette et ta fourchette.
NON A L’EXTRADITION.
Liberté pour Emilio et toustes les personnes détenues en prison ou en CRA.
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2 of October 10am Clavière – Call for a demonstration against all the borders https://www.passamontagna.info/?p=2601&lang=en
On October the 2nd we call for a demonstration in Clavière against all the borders.
The touristic season is over, the winter is coming, but the repression and the controls on the paths and in the streets on both sides of the border don’t hibernate.
But the solidarity doesn’t stop !
On September the 29th, in Turin’s court, there will be the audience for Emilio’s extradition, accused of outrage and aggravated violence against public forces, following a cortege on these paths.
The 7th of October the trial for the Operation Scintilla will start. 18 comrades from Turin and other places are accused of struggling against detention centers and their repressive system.
Let’s meet in Clavière at 10am, for a benefit lunch for the accused of the borders.
Bring your plate and fork.
NO TO THE EXTRADITION.
Freedom for Emilio and all the detained in jail or CPR.
Dichiarazione della famiglia di Alaa Abd El Fattah: la vita di Alaa è in pericolo. Dice di aver raggiunto il punto di rottura!
“La vita di Alaa è in pericolo”
Domenica 12 settembre Laila Soueif, la madre di Alaa Abd ElFatah, era al complesso carcerario di Tora per consegnare provviste e lettere ad Alaa e per ricevere una sua lettera. Questa è una routine settimanale stabilita dal momento dell’arresto e dell’imprigionamento di sua sorella Sanaa il 23 giugno 2020. Questa volta però l’ufficiale responsabile l’ha informata, senza offrire alcuna spiegazione, che non c’era nessuna lettera di Alaa. Dopo aver aspettato per ore senza altre informazioni, abbiamo optato per attendere fino al giorno successivo, quando Alaa sarebbe dovuto comparire in tribunale per una revisione della sua custodia cautelare, sperando di sentire che quanto accaduto ieri fosse un intoppo burocratico. Invece, quando abbiamo saputo quello che è successo in tribunale, e quello che Alaa ha detto al giudice e ai suoi avvocati, siamo stati presi dalla rabbia e dal panico.
Alaa è stato trasferito oggi all’Istituto dei sergenti di polizia di Tora in un convoglio di sicurezza privata separato. Sebbene sia stato tenuto in una cella isolata – separandolo dal resto dei prigionieri – nel seminterrato dell’istituto, non ha partecipato all’udienza di rinnovo della sua detenzione, e appena terminata la sessione, lo hanno riportato in prigione senza farlo comparire davanti al giudice o permettergli di incontrare gli avvocati. Dopo che gli avvocati hanno insistito per vedere Alaa e hanno spiegato le circostanze di ciò che è successo con sua madre e la nostra necessità di assicurarci che stia bene, il giudice ha ordinato la sua presenza, ed è stato fatto.
Alaa è stato sorpreso che il rinnovo della sua detenzione abbia avuto luogo e che la sessione si sia conclusa senza che lui fosse presente. Ha parlato delle continue violazioni contro di lui nella prigione di alta sicurezza 2 di Tora, e della sua presa di mira da parte dell’ufficiale della sicurezza nazionale che qui comanda, e dell’incapacità della procura di proteggerlo e di rispondere alle sue ripetute denunce e segnalazioni. E ha concluso le sue parole agli avvocati con un messaggio a sua madre: “Dite a Laila Soueif di ricevere le condoglianze per me”.
Oggi, Alaa è prigioniero nella prigione di alta sicurezza 2 di Tora, in attesa del processo di emergenza per la sicurezza dello stato numero 1356/2019, da quasi 2 anni, che è il periodo massimo di detenzione preventiva secondo la legge egiziana. Ci si aspetta che il caso venga presto deferito al tribunale, perché tutte le indicazioni confermano l’insistenza dello stato nel continuare la detenzione di Alaa a tempo indeterminato.
Alaa è detenuto in una cella di un carcere di massima sicurezza, in pessime condizioni, dalla notte del suo arrivo in prigione e dall’aggressione subita fino ad oggi. La gravità – e la schiettezza – delle violazioni praticate dall’amministrazione penitenziaria del carcere di alta sicurezza 2 di Tora è aumentata esponenzialmente negli ultimi mesi verso tutti i prigionieri in generale, e verso Alaa in particolare, dopo che abbiamo presentato più di una denuncia contro il direttore del carcere, il capo delle indagini del carcere Wael Hassan, e l’ufficiale della sicurezza nazionale responsabile del carcere, Walid Ahmed Al-Dahshan, conosciuto come “Ahmed Fekry” all’interno del carcere di Tora.
Tutto ciò, e tenendo conto che Alaa si sposta tra le varie prigioni di Tora dal 2013 e le violazioni sempre più gravi che è costretto a subire quotidianamente, sotto un’amministrazione carceraria che non rispetta e non è soggetta alle leggi, una procura che ignora completamente tutte le nostre comunicazioni e chiamate SOS, e agenti che si impegnano a continuare i loro crimini aumentando i danni che infliggono, è ciò che lo ha portato al punto in cui ci troviamo oggi: il punto in cui Alaa medita il suicidio.
Noi, la famiglia di Alaa, abbiamo seguito tutte le vie legali disponibili, ci siamo appellati a tutte le parti e a tutti i funzionari, e abbiamo usato tutti i mezzi di protesta pacifica per presentare la nostra posizione e per chiedere la fine della presa di mira della famiglia e degli abusi sui suoi membri, specialmente Alaa.
E ora ci troviamo qui: Alaa è in pericolo imminente, la sua salute mentale sta cedendo dopo due anni di attenta pianificazione e crudele attuazione da parte del Ministero degli Interni e della Sicurezza Nazionale, e lui manda un messaggio a sua madre per iniziare a ricevere condoglianze per la sua morte! La sua vita è in pericolo, in una prigione che opera completamente al di fuori dello spazio della legge e nel completo disprezzo di tutti i funzionari, in primo luogo il Pubblico Ministero, il Ministro degli Interni, il Ministro della Giustizia, e naturalmente il Presidente.
Salvare la vita di Alaa Salvare la vita degli altri membri della nostra famiglia Fermare i crimini del Ministero degli Interni nella prigione di alta sicurezza di Tora 2
La famiglia di Alaa Abdel Fattah
13 settembre 2021
La situazione detentiva all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio è insostenibile, come le persone recluse ci hanno continuato a raccontare più volte negli anni. Dalla loro istituzione non si sono mai spente le grida di protesta da dentro queste strutture e si sono susseguite le rivolte. La mano dello stato dentro questi lager non è mai stata morbida e le notizie di pestaggi da parte della polizia non sono un’eccezione. La pandemia da Covid-19 non ha fatto che inasprire ed esasperare le condizioni cui sono costrette le persone senza documenti dentro quelle mura.
È di questi giorni la notizia della “chiusura” dell’Ospedaletto, una delle sezioni del Centro suddivisa in piccole stanze singole che fungono da celle d’isolamento punitivo: il garante dei detenuti si è pavoneggiato di quella che ha avuto la faccia tosta di chiamare “positiva collaborazione” con il ministero dell’Interno. Il Garante Mauro Palma aveva fatto visita al Centro il 14 giugno scorso, dopo la morte di Moussa Balde proprio in una cella di isolamento, e successivamente aveva stilato un rapporto in cui parlava del “trattamento inumano e degradante” che ricevono le persone recluse all’interno dell’Ospedaletto.
Chiunque conosca anche solo superficialmente la realtà dei Centri però sa benissimo quanto quelle condizioni siano la norma. Le visite, i proclami e le denunce da parte di rappresentanti istituzionali e di Garanti arrivano sempre ed esclusivamente all’indomani di fatti tragici, nei Cpr così come nelle galere, come ci raccontano i fatti relativi alle rivolte nelle carceri dell’anno scorso. La morte di Moussa ha scatenato una compulsiva speculazione da parte delle autorità, dei giornali e delle istituzioni. Improvvisamente si sono avvicendate visite del Garante, inchieste giudiziarie, visite e dichiarazioni da parte di politici e onorevoli facenti parte di quegli stessi partiti di governo che hanno istituito e rinnovato i centri di detenzione amministrativa. Non è un caso che tra le denunce fatte da questi ultimi ci sia il fatto che non siano presenti le telecamere a controllare cosa succede là dentro. Come a dire che quel luogo non è abbastanza panottico, il problema è infatti la mancata sorveglianza. Succede poi che questi stessi rappresentanti e Garanti gioiscano e si dicano soddisfatti della decisione, presa dal Ministero dell’Interno, di accogliere la raccomandazione e di interdire l’utilizzo dell’Ospedaletto. Così ci si dà la pacca sulla spalla, ci si ripulisce la faccia e la coscienza, ci si compiace della propria sensibilità umanitaria. Quello che ci restituisce questa “vittoria” istituzionale è in prima battuta il fatto che le istituzioni statali festeggino loro stesse mentre denunciano che nei luoghi di detenzione dello Stato le persone recluse vengono torturate; in secondo luogo, che le situazioni drammatiche all’interno di queste strutture diventano vere e reali solo ed esclusivamente quando sono le istituzioni stesse a dare verità e realtà a queste situazioni. Non sarà la chiusura di una singola sezione del Cpr ad arginarne la violenza strutturale e sistemica. Le persone recluse lo sanno bene e da sempre si oppongono e lottano contro questo sistema detentivo.
Tant’è che proprio pochi giorni fa, il 10 settembre, all’interno del Cpr di corso Brunelleschi hanno dato vita ad una rivolta dando fuoco ai materassi e rendendo completamente inagibile l’area Rossa. Nel caso dell’altro giorno, come in mille altri, i ragazzi protestavano per il mancato intervento da parte del medico del centro nei confronti di un ragazzo che aveva tentato il suicidio. Il mattino seguente, la polizia ha picchiato i reclusi, portando via tre persone che sono state poi deportate in Nigeria. Contrariamente a quanto dicono i giornali nessuno di loro è stato visitato o portato in ospedale. L’area rossa è inagibile e i ragazzi rimasti sono stati spostati tutti quanti nell’area viola, dove non c’è acqua corrente nei bagni. Molti di loro hanno problemi fisici e di salute e come sempre accade non ricevono assistenza sanitaria se non la classica tachipirina.
L’ennesima storia di rivolta e di determinazione, perché l’unico modo per combattere contro questo sistema detentivo è quello di distruggerlo, di incendiarlo. Dalla loro istituzione nel 1998, infatti, sono sempre state le rivolte che hanno reso inagibili queste strutture, e che nel migliore dei casi le hanno fatte chiudere interamente. Nel 2009 il CIE di Pian del Lago in Sicilia, nel 2013 il CIE di Modena, lo stesso anno ad agosto il CIE di Sant’Anna di Capo Rizzuto vicino a Crotone, mentre a novembre il CIE di Gradisca d’Isonzo e, infine, il CPR di Trapani Milo a febbraio dell’anno scorso.
Tutti chiusi solo grazie alle proteste, alla rabbia, alla resistenza e alla voglia di libertà delle persone che erano rinchiuse là dentro. C’è anche chi da anni prova a sostenere questa voglia di libertà, a dare voce alle persone recluse e a lottare per fare in modo che di questi posti non rimanga nulla. La solidarietà portata alle rivolte per la libertà non piace a chi questo sistema lo difende e lo foraggia. Il mese prossimo inizierà il processo per l’Operazione Scintilla, scattata il 7 febbraio del 2019, che vede indagate compagne e compagni accusati di aver lottato in questa città contro la detenzione amministrativa e la macchina delle espulsioni. Non possiamo che ribadire di essere sempre al fianco di chi lotta per distruggere gabbie, frontiere e galere.
Dopo la rivolta di venerdì, un gruppo di solidali è andato ad esprimere la propria solidarietà con urla e cori. I reclusi hanno risposto con calore e determinazione. Torneremo in presidio sotto le mura del Cpr di Corso Brunelleschi sabato 9 ottobre per portare solidarietà a tutti i reclusi nei Cpr e in solidarietà a tutte le compagne e i compagni indagati nell’operazione Scintilla.
Oggi abbiamo occupato la Ex Dogana di Claviere.
Il luogo che rappresentava il controllo e la repressione della frontiera, il libero flusso di merci e turisti, diventa un rifugio autogestito, uno spazio di organizzazione politica e solidarietà diretta, libero e aperto a tuttx.
Abbiamo scelto di rioccupare per mantenere una presenza in frontiera e in risposta agli sgomberi precedenti di Chez Jesus a Clavière (novembre 2018) e della Casa Cantoniera a Oulx (marzo 2021).
In seguito all’ultimo sgombero, siamo tornatx a Clavière in presidio permanente, perché è qui che le persone in transito vengono ostacolate nel proprio viaggio dagli organi repressivi dello stato italiano e francese.
Nonostante i continui respingimenti alla PAF (police aux frontières) di Monginevro, il flusso di persone non si arresta.
Da più di un anno, assistiamo ad una maggiore collaborazione tra la PAF e la polizia italiana: spesso quest’ultima identifica le persone fermate direttamente nei locali della PAF.
Anche la Croce Rossa partecipa attivamente a queste dinamiche, riportando le persone respinte al rifugio Fraternità Massi di Oulx, 15km lontano dalla frontiera.
I finanziamenti alle istituzioni umanitarie aumentano, ma il modello assistenzialista continua a dimostrarsi sterile: non solo non lascia spazio all’autodeterminazione delle persone, ma specula sulle loro vite.
Ad Aprile sono stati stanziati più di 600mila euro ai comuni di Claviere e Bardonecchia per far fronte a quella che viene chiamata “emergenza umanitaria”. E’ evidente che non si tratta di un’emergenza: è la conseguenza diretta del dispositivo repressivo di frontiera. A livello europeo, un nuovo disegno di legge (New Pact on Migration and Asylum) è in via di sviluppo allo scopo di accrescere il potere repressivo di Frontex e ampliare gli accordi commerciali finalizzati ad esternalizzare i controlli in paesi extraeuropei (come Niger, Libia, Marocco, Tunisia…).
Un’alternativa a tutto questo è possibile e concreta: invitiamo chiunque abbia voglia di organizzarsi e costruire insieme il nuovo Rifugio Autogestito.
Abbiamo bisogno di materiali vari: materassi, coperte, cibo, vestiti pesanti, scarpe, occorrente per cucinare, stufe …
Oggi alle 12 pranzo condiviso e dalle 14 lavori collettivi che continueranno per tutta la settimana, venite numerosx!
Contro ogni stato e le sue frontiere
Freedom, hurriya, libertà
Nella notte tra mercoledì 28 e giovedì 29 luglio, diversi prigionieri del CRA di Mesnil Amelot hanno tentato la fuga, mentre altri hanno affrontato la polizia e sono saliti sui tetti degli edifici del centro. Almeno 3 persone sono riuscite a scappare!
Sembra che l’azione sia stata ben coordinata tra i detenuti di diversi edifici del CRA 2 e CRA 3, al punto che i poliziotti della PAF sono stati presi dal panico e hanno chiamato rinforzi della BAC (Brigata anti-criminalità) e del CRS (Compagnia repubblicana di sicurezza). Verso l’una di notte, quasi due ore dopo l’inizio dell’azione, le guardie sono riuscite purtroppo a sedare la rivolta usando gas lacrimogeni, granate stordenti e manganelli. Tuttavia non hanno potuto prendere tutti quelli che erano scappati: forza ai fuggitivi e a tutti gli altri!
Dopo i pestaggi della notte, la repressione è continuata ieri (giovedì 29 c.m.) mattina: perquisizioni in tutti gli edifici, impossibilità di prendere un caffè o qualcosa da mangiare, vari tipi di pressione. Molti detenuti sono stati messi in isolamento o trasferiti nell’edificio delle donne.
Ieri sera sono stati trasferiti al CRA di Vincennes (3 persone) e al CRA di Palaiseau. Tra loro, persone che sono state picchiate parecchio durante la rivolta. Alcuni di loro volevano sporgere denuncia contro le guardie…
Ecco la testimonianza di un prigioniero di Mesnil Amelot sulla repressione seguita alla rivolta:
“Conosci il videogioco “Call of duty”? Era lo stesso. Ero in una stanza tranquilla e improvvisamente ho visto delle guardie correre per i corridoi. Hanno iniziato a bombardarci tutti. Proiettili di gomma, granate stordenti, lacrimogeni..hanno lanciato almeno cinquanta proiettili. Abbiamo raccolto tutto. Ne abbiamo una borsa piena! Sparavano da lontano, da dietro le barriere. Un uomo anziano di più di 50 anni, si è preso una pallottola in faccia. E quando hanno finito di gasarci, sono intervenuti i CRS e altre guardie. Ci hanno obbligato a uscire con le mani in alto, mentre ci insultavano. Hanno perquisito gli edifici, poi i CRS sono rimasti tutta la notte davanti ai cancelli. Le guardie hanno ce l’hanno a morte contro di noi. Tutto questo li ha fatti arrabbiare. Eppure hanno preso solo qualche bottiglia d’acqua in faccia, non è tanto considerando tutta la roba che ci hanno gettato. E non è niente considerando come siamo trattati qui. È sporco, è umido, è mal ventilato, è così disgustoso che ci si ammala. Quindi è normale che la situazione sia tesa“. Continua a leggere→
Dopo due giorni di incontri e discussioni a Claviere (It), sabato c’è stata una lunga marcia che ha visto più di 400 persone camminare su quegli stessi sentieri frontalieri che ogni giorno e ogni notte vengono percorsi da molte persone ritenute illegali dagli stati europei per attraversare il confine.
Dieci km di sentieri, attraversando quel confine che dalla nascita stessa degli stati continua a separare e a limitare la libertà delle persone. Sotto lo sguardo stranito dei molti turisti in vacanza, che osservavano le camionette al lato dei sentieri e le decine di Crs fissare per ore i boschi in attesa del passaggio della carovana, abbiamo preso il GR 5. Nonostante l’inutile dispiegamento di guardie e mezzi, e un elicottero che continuava a girare sopra le nostre teste, tuttə siamo arrivatə tranquillamente in Francia, a LES ALBERT, dov’è continuato il campeggio sabato notte. Lo stato ostenta spesso un controllo socio-politico che di fatto, fortunatamente, non ha. Soprattutto in montagna dove le linee di confine tracciate arbitrariamente dal Potere sono ancora più porose e inconsistenti.
Quando si è unitə, si è più forti. Quando si è unitə, si riesce a fare quello che singolarmente implica frequenti cacce all’uomo, respingimenti, botte e insulti da parte della PAF (polizia di frontiera).
Quando si è unitə, qualche volta si riesce anche a vincere.
Sabato la frontiera non è esistita.
Domenica ci siamo mossə in corteo fino a Briancon, camminando per altri 7 km, prima sui sentieri e poi occupando la strada principale che dal Monginevro arriva alla città: ad attenderci c’erano numerose squadre di gendarmerie e Police National, che hanno in ogni modo cercato di bloccare il corteo per non farlo arrivare in centro alla città. Continua a leggere→
Ancora una volta solo le rivolte, le proteste e fughe riescono a spezzare la cortina di isolamento e il muro di silenzio che circondano il brutale funzionamento quotidiano del sistema istituzionale di selezione e trattenimento delle persone migranti. Un sistema che è costituito non solo dai CPR ma anche dai sempre più numerosi luoghi di internamento – hotspot, navi quarantena, CARA, centri per minorenni, centri di quarantena – dove vengono segregate le persone che sono riuscite ad approdare in Italia. Senza il clamore suscitato dalle proteste e dalle evasioni, le uniche notizie presenti sui media e nell’ipocrita dibattito politicista sarebbero esclusivamente quelle relative agli sbarchi, soprattutto a Lampedusa. Su ciò che avviene dopo gli approdi, il nulla più assoluto, dei lager in Italia non si deve parlare.
Questo apparato che stritola le vite di migliaia di persone viene purtroppo messo realmente in discussione, contrastato e sabotato solo da chi ha la sfortuna di esserne prigionierx: il resto della società assiste indifferente all’apartheid fatto legge, e non si riesce ad attribuire all’esistenza di questo dispositivo di esclusione la responsabilità di etichettare come irregolari centinaia di migliaia di persone, per sottoporle a un continuo ricatto, alla paura della reclusione e deportazione, allo sfruttamento più crudele. Durante quest’anno e mezzo di pandemia i luoghi di reclusione sono addirittura aumentati e continuano a imprigionare migliaia di persone in condizioni igieniche e sanitarie disastrose, mettendo ancora di più a rischio la loro salute, mentre nel resto del paese si dibatte di vaccinazioni, green pass e ritorno “alla normalità”. Come è avvenuto in precedenza durante le analoghe rivolte nelle carceri, l’unica sicurezza, per chi è reclusx, è la libertà, che si conquista con la rivolta e la fuga.
Riportiamo di seguito alcuni degli avvenimenti che hanno riguardato questi luoghi nel corso dell’ultimo mese.
8 luglio. Nel Cara di Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, un gruppo tra le 60 e le 100 persone, segregate nel centro in attesa della deportazione insieme ad altre 1.100, riesce a scappare utilizzando le brande dei letti per scavalcare le recinzioni. Nei giorni successivi alcune verrano catturate e riportate nel centro. In un comunicato, un sindacato di polizia scrive “Nella struttura, attualmente, ci sono circa 1200 migranti a fronte di 35 appartenenti alle Forze di Polizia: la struttura sta letteralmente scoppiando, le fughe sono ormai all’ordine del giorno e gli agenti non riescono più a gestire la situazione che ormai è totalmente fuori controllo.”
9 e 10 luglio. Nella prima settimana di luglio vengono trasferite da Lampedusa all’hotspot di Taranto circa 300 persone, tra le quali molte minorenni, per procedere a un’ulteriore quarantena e all’identificazione. Alcune delle persone risultano positive al covid19 ma vengono segregate insieme alle altre, ammassate nell’hangar dove ha sede l’hotspot. Questa deliberata decisione delle autorità provoca ovviamente l’estensione del focolaio a 43 persone, e anche un paio di poliziotti addetti alla sorveglianza risulteranno positivi al virus. Cominciano le proteste, che sfociano, durante la notte tra il 9 e il 10 luglio, in un’evasione di massa. Circa 100 minorenni riescono a sfondare la rete di recinzione interna che separa il lager dalla zona amministrativa, scavalcare il cancello, travolgere le guardie che cercano di fermarli e, almeno in 67, a fuggire, tra i quali diversi minori. Il giorno successivo la scena si ripete, questa volta con meno fortuna.
Nel solito comunicato, i sindacati delle guardie riportano una pericolosissimo precedente, l’uso di armi da fuoco contro dei minorenni in fuga: “L’ultimo episodio, poi, è particolarmente grave: nel corso dell’ennesima rivolta scoppiata all’interno del centro di temporanea accoglienza – una struttura “leggera” che avrebbe dovuto registrare il solo passaggio di un numero limitato di migranti e per i soli fini identificati da espletare nel massimo di 72 ore, almeno questa era la originaria classificazione che aveva dato l’allora esecutivo di governo e Bruxelles – un nostro operatore della Polizia di Stato è stato costretto a esplodere due colpi d’arma da fuoco a scopo intimidatorio per sottrarre una collega da un’aggressione fisica per la quale è stato necessario ricorrere alle cure mediche. Una sorta di accerchiamento posto da decine di migranti che tentavano di fuggire in massa dalla struttura, scavalcando e distruggendo la inqualificabile recinzione metallica posta sul perimetro che rende ancor più inadeguata quella struttura ad una permanenza prolungata dei migranti clandestini.
La situazione rimane gravissima e richiede interventi drastici e risolutivi anche perché attualmente, la struttura è più simile ad un “lager” che ad un centro di prima accoglienza e identificazione, in cui, in larga parte sono tutt’ora presenti minori stranieri non accompagnati, vulnerabili sotto l’aspetto psicofisico e diverse decine di essi, positivi al covid-19, convivono all’interno del centro con i soggetti non affetti dal virus, in condizioni che riteniamo per nulla normali. Le fughe di massa, sono ormai ricorrenti.”
15 e 16 luglio. Il centro “Villa Sikania” a Siculiana, in provincia di Agrigento, viene da tempo utilizzato per recludere, anche per mesi, i minorenni migranti non accompagnati. Dopo varie e quotidiane proteste inascoltate per reclamare un trasferimento e/o la libertà, e dopo aver concluso il lungo periodo di quarantena, per due giorni consecutivi tentano la fuga. Il primo giorno riescono a evadere in settanta e il giorno successivo in 10. Dopo una caccia all’uomo e il rastrellamento nelle campagne e nei paesi circostanti, 40 persone vengono catturate.
18 luglio. Nell’hotspot di Pozzallo, in provincia di Ragusa, il 18 luglio erano presenti 134 persone. Alcune di queste si sono organizzate per porre fine alla reclusione ed evitare la deportazione, accatastando i materassi di gommapiuma dei letti a castello, ai quali hanno poi dato fuoco. Nel caos che si è creato 36 persone sono riuscite a fuggire, e solo sette sono state in seguito riprese. Il capannone centrale del campo di concentramento è stato gravemente danneggiato ed è inagibile, costringendo i gestori a trasferire 20 persone in una tendopoli a Cifalì, e a riutilizzare in fretta e furia un altro capannone abbandonato, in precedenza utilizzato per segregarvi le donne migranti.
E arriviamo a questi ultimi giorni, con più di 1.300 persone costrette nell’hotspot di Lampedusa. 300 persone sono in via di trasferimento a Crotone (nel già sovraffollafo CARA?) e altre 150 sulla nave quarantena GNV Adriatico. Il 27 luglio scade il bando governativo per il noleggio di altre 5 unità navali: su questi lager galleggianti continuano le proteste, l’ultima di cui si ha notizia, grazie solo ai video che arrivano dalle persone imprigionate, riguarda uno sciopero della fame a bordo di una delle navi GNV.
Solidarietà a chi lotta!