Spagna – Comunicato dei detenuti del CIE di Aluche dopo la rivolta del 17 marzo

Riceviamo e pubblichiamo la traduzione. Per scriverci e inviarci contributi hurriya[at]autistici.org

Questo è il comunicato che hanno fatto arrivare i detenuti del CIE di
Aluche, Madrid, dopo la rivolta di questo 17 marzo,
Non lasciamoli soli, facciamo arrivare loro tutta la nostra solidarietà!
Fuoco ai CIE!
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Giudici, stampa, giornalisti, cittadini di Madrid, con la presente comunichiamo lo stato in cui ci troviamo oggi, 17 marzo 2020, con una pandemia mondiale.
Il nostro stato di salute è in grave pericolo, poiché ci sono molti detenuti con sintomi di questa pandemia nota come Coronavirus. Siamo a rischio 145 interni e vogliamo far presente i seguenti punti:

1. Il cibo che stiamo ricevendo è preparato da persone che stanno tornando a casa come niente fosse e entrando di nuovo dentro la struttura e quindi ci espongono al Coronavirus. Se i bar, le sale da pranzo e i ristoranti sono chiusi, perché noi, che siamo imprigionati per una questione amministrativa, dobbiamo esporci a questo rischio? Chiediamo il diritto all’uguaglianza.
2. C’è una pandemia e i poliziotti che sorvegliano i detenuti svolgono le loro funzioni e cambi di turno in completa normalità, tornando quotidianamente nelle loro case e in
questo modo possono infettarci.
3. C’è un medico che ci ha trattato con antidolorifici ma molti di noi presentano i sintomi di questa malattia e non abbiamo avuto test clinici medici per sapere se siamo infetti.
4. Inoltre, il dottore va anche a casa sua in totale normalità, anche le infermiere. Non sappiamo se lavorano in altre istituzioni e il rischio aumenta ancora di più.
5. Chiediamo aiuto immediato poiché siamo esseri umani e non siamo trattati come tali.
6. Alleghiamo su altri 2 fogli la firma di tutti i detenuti.
7. Da questo momento ci dichiariamo in sciopero della fame.

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Roma – Aggiornamenti dal CPR di Ponte Galeria

Riceviamo e pubblichiamo. Per scriverci e inviarci contributi hurriya[at]autistici.org


Dall’interno ci dicono che ora non ci sono rivolte, ma alcune ragazze sono rinchiuse volontariamente nelle loro stanze perché hanno paura di contagiarsi a causa del virus.
Ci raccontano però che 2 giorni fa una ragazza tunisina ha bevuto della candeggina ed è stata portata in ospedale da dove non ha ancora fatto ritorno e di cui, per ora, non si hanno notizie.
Dopo questo fatto il Direttore è andato a parlare con le recluse, le quali hanno chiesto condizioni migliori (cibo, cure ) e hanno espresso la loro paura per il contagio, ma sembra che il Direttore abbia fatto orecchie da mercante e se ne sia andato rivolgendo loro un solo “mi dispiace”.
Sembra che negli ultimi giorni non siano entrate nuove ragazze, ci dicono però che ieri sono stati portati dentro due uomini, ma non si hanno notizie dalla sezione maschile.

Da altre fonti, siamo venute a conoscenza del fatto che le donne all’interno del CPR sono 30 di varie nazionalità, tra cui 10 da Marocco e Tunisia. Gli ingressi nel Cpr sono fermi, ma comunque continuano a convalidare.
Né associazioni, né avvocati possono entrare a Ponte Galeria. Gli unici che hanno l’autorizzazione a farlo sono la “comunità di Sant Egidio”; le ragazze però ci dicono che fino ad ora non hanno visto nessuno, neanche loro.

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Francia – Contro le violenze patriarcali dello Stato, libertà per tutte le donne detenute!

fonte: abaslescra.noblogs.org

CONTRO LE VIOLENZE PATRIARCALI DELLO STATO, LIBERTÀ PER TUTTE LE DONNE DETENUTE!

Venerdì 13 febbraio scorso una aggressione sessuale ha avuto luogo nella prigione per migranti di Mesnil Amelot. Un detenuto e passato nella sezione femminile e ha aggredito tre compagne, nella totale indifferenza degli sbirri che ci hanno messo un buon quarto d-ora prima di intervenire. Da allora, l’aggressore e stato deportato e il caso e stato archiviato, come se la deportazione avesse cancellato il fatto. Una delle donne e stata deportata, mentre le altre due restano isolate nel centro, sotto la minaccia costante di essere a loro volta deportate e senza aver visto ne’ un medico ne’ uno psicologo. Le compagne ci raccontato delle prese in giro costanti degli sbirri, degli insulti e delle battute razziste, e della colpevolizzazione che subiscono da parte dei giudici e delle infermiere del centro.

L’eteropatriarcato e il razzismo sono legati e si rinforzano reciprocamente. Nelle politiche migratorie degli stati occidentali, la loro violenza prende la forma di controllo sui corpi delle donne migranti, attraverso leggi razziste e sessiste. Queste leggi da un lato le criminalizzano (le donne migranti e non bianche sono più spesso accusate di furto, di menzogna, etc…) e dall’altra parte le riducono al silenzio e le obbligano a provare la propria situazione di violenza estrema che hanno subito (alla prefettura, quando fanno domanda d’asilo, davanti ai giudici…). Questa violenza e in ogni occasione giudicata dallo sguardo di un potere occidentale e patriarcale, che non tiene conto delle forme particolari che questa violenza può assumere.

L’aggressione sessuale che si e consumata il 13 febbraio nella prigione per migranti di Mesnil Amelot non e un caso isolato. Essa e frutto di un sistema di incarcerazione e controllo, che va dalle prigioni alle frontiere passando per i centri di detenzione amministrativa. Lo scopo dei CRA e di cancellare la vita delle persone che vi sono rinchiuse per la semplice ragione di non possedere i documenti giusti. Come le prigioni, sono luoghi dove il razzismo ed il sessismo di Stato si mostrano in tutta la loro violenza. In queste gabbie, le donne subiscono quotidianamente tutte le forme dell’oppressione patriarcale gli insulti ed il sessismo da parte degli sbirri, la colpevolizzazione da parte dei giudici e dei procuratori che mettono in dubbio la verità dei loro racconti, la minaccia permanente di essere deportate verso un paese dove rischiano la vita…

Il sarcasmo ed il disprezzo dei tribunali di fronte alle aggressioni sessuali subite dalle compagne non ci stupiscono,, ancora una volta si tratta di un sistema giudiziario complice. Lo stato, la polizia ed i giudici sono altrettanto responsabili di ciò che e accaduto a Mesnil quanto l’aggressore. Non e che l’ennesima prova della natura razzista e sessista di questo dispositivo. Non abbiamo nessuna fiducia in loro, sappiamo che ne la giustizia ne la polizia ne lo stato ci salveranno dal patriarcato. Noi sappiamo che sarà grazie alla resistenza ed alle lotte di coloro che sono detenute che queste prigioni saranno abbattute.

Siamo vicine e solidali alle compagne aggredite, che si trovano ancora nelle mani odiose dello stato e dei sui sgherri.
Inviamo loro tutta la nostra forza e la nostra complicità.
Di fronte alla violenza patriarcale dello stato facciamo appello ad ogni individualità e collettivo che si riconosca nelle lotte antisessiste, antirazziste ed anticarcerali, a mostrare la propria solidarietà attiva alle compagne detenute, in ogni forma possibile. La loro lotta e la nostra lotta.
Contro lo stato, le prigioni e le frontiere fino a quando ce ne sarà bisogno.
Nelle strade, le piazze e le celle di prigione, le donne migranti non sono sole!

COMUNICATO DELL’ASSEMBLEA NON MISTA CONTRO I CRA – Ile-de-France Continua a leggere

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Naufragio senza spettatori: della crisi o della possibilità

Fonte: Macerie

“La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza» in cui viviamo è la regola. Dobbiamo
giungere a un concetto di storia
che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro
compito, la creazione del vero
stato di emergenza; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta
contro il fascismo”

Iniziare mettendo le mani avanti non è certo mossa di gran stile, ma non si può tenere il timone del ragionamento tra gli imperiosi flutti di queste settimane in altro modo. Ecco perché mettere nero su bianco alcune considerazioni su ciò che sta accadendo negli ultimi giorni dopo la proclamazione della zona rossa in tutt’Italia e della pandemia da parte dell’Oms richiede una certa cautela e la possibilità di tornare sui propri passi e ragionarvi ancora. Le rifessioni da aggiustare non mancheranno man mano che la situazione muterà, e la mutazione in un tempo dell’ultravelocità e dell’iperstoria non è una componente secondaria – basterebbe anche solo vedere i cambiamenti degli atteggiamenti di milioni di “italiani” a seconda degli input informazionali dati loro di minuto in minuto, da quelli dei politici ai più banali articolini dei media che passano da suggerire aperitivi spensierati a far affollare con disperazione i supermercati notturni. Tuttavia si oscillerebbe tra l’insensato e l’improvvisato se ci si lasciasse andare a questo flusso e se non si ripescassero per la giusta occasione degli strumenti meno contestuali, magari proprio le vecchie lezioni impolverate sulla rivoluzione per darle finalmente una possibilità consistente.

La situazione del momento non necessita di grosse descrizioni già pienamente note e vissute sulla pelle: un’epidemia virulenta (generata dal nuovo virus Covid-19) si sta estendendo a livello globale e crea in una fetta consistente di popolazione che la contrae una malattia respiratoria acuta. La linea di contagio esponenziale sin dall’inizio indica con assoluta certezza l’insufficienza delle strutture ospedaliere per i tanti individui che sviluperanno complicazioni. Le specifiche della gestione sanitaria pubblica le lasceremo però ai feticisti dei conti delle ultime spending review, mentre pare necessario perlomeno partire da una considerazione semplice: la diffusione non si sarebbe potuta bloccare con nessuna risorsa statuale, né con la faccia malevola dell’estrema territorializzazione militare, né con quella più bonaria di un sistema sanitario pubblico in forma smagliante. O per meglio dire, il sistema capitalistico nella sua forma di sfruttamento uomo/natura e uomo/uomo, con le sue caratteristiche predatorie nei confronti di ambiente e classi sfruttate al fine di produrre profitto e riprodurre sé stesso, non può garantire nessuna reale lotta al contagio.

Ed è proprio questa ovvietà svelata nella sua terribile concretezza a smontare il più forte mito del progresso di questo secolo. Le magnifiche sorti e progressive presentate ormai come illimitate nulla possono al banco di prova della realtà contro gli effetti della devastazione del capitalismo nella sua interconnessione globale; a ogni effetto di questo sfacelo, che sia un virus o l’innalzamento dei mari, non c’è soluzione immediata o che possa rispondere alla forma del discorso pubblico dello stato nazionale, ancora ancorato alla retorica dell’universalità novecentesca. In questo senso ci troviamo di fronte a un inedito, non perché virus e catastrofi naturali siano solo effetto della devastazione capitalistica di cui sopra, come insegnano le vicende della Terra, ma perché in questo caso è stato imposto un limite secco alla fiducia del discorso imperante sulla tecnologia. Ebbene sì, perché una soluzione medica non c’è e non si trova in pochi mesi nonostante i più avanzati studi internazionali e la corsa delle case farmaceutiche ad arrivare per prime al vaccino, perché non basta un atto di limitazione dei flussi da parte di uno o più stati a fronte della complessità dell’organizzazione umana oggi, perché il mondo lasciato a specchiarsi in una superfice virtuale, in cui è talvolta difficile distinguere il possibile dall’impossibile, è in realtà così fragile.

Ed è proprio lo svelamento scenico di questa fragilità a solleticare i sogni un po’ sopiti di noi sovversivi. Fino a qualche settimana fa sembrava non muoversi foglia senza previsione statistica, la normalità dello sfruttamento capitalista sembrava irremovibile a fronte di una diminuzione costante e senza opposizione delle tutele sociali, la repressione carceraria schiacciante. Di certo non si vuole sostenere che tutto ciò sia finito e che la pandemia del coronavirus sia una ventata d’aria fresca, tuttavia non si può ignorare l’energia che potrebbe scaturire da questo momento di crisi gestionaria, basterebbe anche solo quell’assaggio scaturito dalle rivolte in quasi tutte le carceri italiane di qualche giorno fa a farne sentire il gusto dolce.

In cinese crisi si dice “weiji” e il suo ideogramma è formato da “rischio” e “opportunità”. In realtà anche in italiano il termine “crisi” ha lo stesso significato ed è una cosa nota e banale che in medicina, ad esempio, la fase critica è quella in cui il paziente o guarisce, o muore. La storia rivoluzionaria insegna che i momenti critici non sono mai rosei, se non lo è certamente questo virus, tantomeno lo sono state le epidemie della Parigi ottocentesca o l’enorme tragedia umana lasciata dalla Grande Guerra. Proprio quest’ultimo esempio dovrebbe suggerire quanto l’afflato rivoluzionario non potesse rimpiangere la normalità dello stato liberale pre-bellico. Fu catastrofe immane, preceduta da altri conflitti locali mai dilagati su larga scala, ma anche l’opportunità, finita presto e come ahinoi sappiamo, di far scoppiare una rivoluzione.

Del resto non sono queste le occasioni in cui “quelli di sotto” non possono più sopravvivere come prima e “quelli di sopra” non riescono più a governare come prima? Invece di lamentarsi del governo che chiude le scuole, della perturbazione dello status quo, un movimento rivoluzionario (la cui esistenza è un’ipotesi di fantapolitica, quindi se ne può parlare liberamente e senza timore) dovrebbe proclamare immediatamente lo sciopero generale a tempo indeterminato e promuovere l’auto-organizzazione per garantire beni e servizi indispensabili. Il tutto non per tornare nei ranghi della normalità del diritto di assembramento o di sciopero, ma per trasformare la crisi in spaccatura definitiva. Piuttosto ingenuo, se non conservatore, il giudizio sofisticato di chi pensa che non si debba trasformare quest’emergenza sanitaria in crisi sociale: o non vede che la crisi è già in atto, o è spaventato di perdere le condizioni di vita a cui era affezionato, seppur aspramente criticate. L’idea che tornare alla normalità del diritto sia cosa buona e che il terreno della normalità sia il meno scivoloso in cui muoversi per intaccare il reale è smontato dalla mestizia degli ultimi decenni di deserto. I dati della miseria sociale li lasceremo ai sociologi se riusciranno a tornare al loro agognato luogo di lavoro, ci permettiamo di continuare a diffidare degli amanti della gradualità con cui si accompagnano fino alla pensione.

Per ora non c’è nessun movimento rivoluzionario ma la crisi sì, con un governo che nonostante la quarantena nazionale non può impedire la circolazione dei lavoratotri per non intaccare ulteriormente produzione, PIL e titoli di borsa, con un isolamento domiciliare di cui non si vede la fine, con un reddito incerto o persino già perso dall’inizio.

D’altra parte dopo lunghissimi anni ci sono, oltre che le patrie galere a ferro e fuoco, più scioperi che si stanno diffondendo velocemente, dalla Fiat di Pomigliano, alla Bartolini di Caorso, agli stabilimenti Ikea, ai portuali di Genova, alla Wirhlpool di Cassinetta, gli operai incrociano le braccia organizzandosi spontaneamente in tutto il paese. Le forme del lavoro e la faglia di conflitto tra chi dovrà per forza uscire a lavorare, tra chi non avrà un soldo stando a casa, chi una casa neanche ce l’ha da una parte, e i ceti tutelati dall’altra, di certo scompaginerà, ancor più dei modelli organizzativi delle aziende, le divisioni sociali.

E quindi, come la facciamo diventare un’opportunità?

macerie @ Marzo 12, 2020

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Belgio – 8 marzo: sciopero della fame nel centro di detenzione femminile di Holsbeek

Traduzione da: Getting the voice out

L’8 marzo 2020, in occasione della mobilitazione per i diritti delle donne, alcune militanti hanno fatto visita alle donne rinchiuse nel centre fermé femminile di Holsbeek. Attraverso i cancelli, hanno avuto degli scambi con chi è detenuta e resa invisibile dalla politica delle frontiere.

Ci sono circa 20 donne nel centro di detenzione di Holsbeek. Alcune sono incinte. Molte di loro sono lì a seguito di una richiesta di matrimonio, un matrimonio che l’amministrazione considera “bianco”. Altre sono state separate dai loro figli che vivono in Belgio. Tutte soffrono qui, il cibo è disgustoso. “Alcune di noi non mangiano, siamo tutte molto stressate e non riusciamo a dormire. Alcune di noi sono qui da diversi mesi, una da 7 mesi. Dove sono i nostri diritti? Non siamo criminali, ma siamo trattate peggio dei criminali”.

In seguito a questa visita, il giorno dopo un gruppo di donne detenute ha cominciato a resistere e ha iniziato uno sciopero della fame. Protestano contro la loro reclusione e le condizioni di detenzione.

“Oggi nessuna ha mangiato. Vogliono “buon cibo”, vogliono la loro libertà. A loro non importa se qualcuna muore o se qualcuna si ammala. Dicono che smetteranno di mangiare per tutta la settimana. “Non vogliono che abbiamo contatti” “Abbiamo bisogno di aiuto, nessuno parla con noi”.

Dopo qualche ora non abbiamo avuto più notizie. Alcune di loro hanno il telefono fuori uso. Probabilmente sotto pressione, non rispondono più al telefono.

Donne in lotta, donne in resistenza, lo sciopero prende la forma di uno sciopero della fame quando si raggiunge il fondo dell’umanità.

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Aggiornamenti dal CPR di Ponte Galeria a Roma

Riceviamo e pubblichiamo. Per scriverci: hurriya [at] autistici.org

Dalla sezione femminile ci fanno sapere che per ora le visite esterne dei familiari, avvocati e associazioni sono sospese, sembra per una settimana. Le ragazze sono molto preoccupate e impaurite da quello che vedono alla televisione e hanno paura di potersi contagiare attraverso le/gli operatrici/ori, guardie e nuove recluse.

Non escono volontariamente dalla propria stanza e come accadeva già prima (venivano comunque obbligate a mangiare in stanza per evitare le relazioni interne) prendono il cibo a mensa e mangiano in stanza.

Sanno delle rivolte nelle altre carceri e anche loro si sentono nella loro stessa situazione.

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Protesta e incendio nel CPR di Brindisi – Restinco

Lunedì 9 marzo, verso le 20.30, le persone recluse nel CPR di Brindisi Restinco hanno portato avanti una protesta, che fa seguito a quella del 7 febbraio.

Sembra che ci siano stati degli incendi nel padiglione C della struttura, spenti dall’intervento dei vigili del fuoco. Queste sono le uniche notizie trapelate.

Nello stesso giorno, poco prima della protesta Radio Radicale aveva intervistato una persona reclusa nel lager di Brindisi, che ha raccontato la situazione che vivono i reclusi all’interno e le preoccupazioni per i rischi di contagio da coronavirus.
Di seguito la trascrizione di alcuni estratti:

“Noi siamo qui e viviamo ogni giorno con l’ansia. Anche perché con le ultimi leggi ci trattengono sei mesi, sembra una condanna, una condanna senza reato, ci trattengono qua per 6 mesi, per 180 giorni. E in più con questo coronavirus ultimamente stiamo vivendo un’ansia incredibile, perché entrano, facendo i turni, agenti della polizia, carabinieri, militari, finanzieri, questi hanno contatti con la gente fuori, e non si sa mai, hai visto, fino a oggi sono arrivati a 8.000 contagi, 500 morti.
Noi stiamo vivendo un momento di agitazione, di paura, anche perché noi siamo nel centro, davvero come animali dentro le stalle, nessuno viene a farci controlli [sanitari], praticamente siamo a scontare una pena di 6 mesi. E noi qua dentro, a nessuno arriva la nostra voce. Non ti saprei dire quanti siamo qui dentro perché ci sono dei blocchi e nessuno può vedere l’altro, ma è peggio del carcere. Continua a leggere

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Roma – 4 marzo, presidio davanti l’Ambasciata greca

Qui evento facebook.

In queste ore si sta consumando l’ennesima tragedia sotto i nostri occhi.

Migliaia di persone sono ammassate al confine tra Grecia e Turchia, l’Europa risponde con armi da fuoco, carcere e pestaggi. Contiamo i primi morti.

I governi europei hanno finanziato con miliardi di euro il regime autoritario turco affinchè svolgesse il compito di guardiano esterno delle frontiere UE, per bloccare i movimenti migratori. Ora il Governo turco, come strumento di pressione politica verso l’Ue, al fine di avere mano libera nella sua guerra in Siria, ha temporaneamente aperto la sua frontiera verso la Grecia (tenendo chiusa quella con la Siria), e sollecitato migliaia di persone ad attraversarla. Migliaia di vite umane usate come vera e propria arma di guerra.

Iraq, Siria, Afghanistan, Kurdistan, Palestina, Yemen (solo per citarne alcuni) sono paesi dove la guerra delle potenze mondiali, Italia compresa, marchia i corpi di popolazioni intere. Questa guerra continua al confine e nei campi di internamento.
Dall’accordo del 2015 con la Turchia, in Italia e in Grecia, così come fuori dalle frontiere europee, sono aumentati i Campi di reclusione per migliaia di persone migranti costrette a rimanere intrappolate a tempo illimitato e senza alcuna prospettiva.
Le proteste sono all’ordine del giorno così come le dure rappresaglie.

Da questa estate il Governo greco ha rinforzato l’attacco alle lotte autorganizzate, alle occupazioni e nei confronti delle persone migranti.
Nelle isole come Lesbo e Chios, ormai prigioni a cielo aperto, lo Stato ha scelto di far esplodere la rabbia della popolazione piuttosto che smantellare un maxi campo di concentramento e permettere alle persone di spostarsi liberamente e contemporaneamente ne costruisce di nuovi. Lasciando così sfogare tensioni sociali sui migranti anzichè contro le stesse istituzioni che per anni hanno costretto decine di migliaia di persone ad una convinvenza difficile. E, come se non bastasse, viene lasciata carta bianca a nazisti e fascisti che approfittano di questa situazione per colpire le persone.

Arrivano immagini di vera e propria guerra a due passi da casa nostra.
Viviamo in un paese esperto in stragi in mare, campi di internamento e deportazioni.
Non possiamo restare a guardare.
Appuntamento mercoledì 4 marzo, ore 17:00, davanti l’Ambasciata greca a Roma (lato via S. Mercadante) in solidarietà alle persone migranti in lotta e per la libertà.

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1° Marzo: Presidio sotto il Cpr di via Corelli a Milano

Fonte: Punto di rottura – Contro i CPR

MILANO SI SVEGLIA CON UNA NUOVA PRIGIONE

Come ogni luce ha la sua ombra, così lo scintillio delle metropoli ha il suo volto oscuro.
Il capitalismo è guerra dove si estraggono petrolio, oro, nichel e diamanti ed è siccità nei luoghi più torridi del mondo.
Per non vivere nel terrore e nella carestia molte persone si mettono in viaggio verso l’Europa. Spesso attraversano un deserto e il mare. Durante il viaggio non si contano i pestaggi, gli stupri, i rapimenti, le torture e le morti.
Le persone sopravvissute al viaggio, giunte in Europa vengono forzate all’identificazione e bloccate alle frontiere verso il nord. Alcune trovano la morte sui sentieri per il confine.
In Italia le persone migranti, ricattabili e senza documenti lavorano in nero, ai margini della legalità e senza tutele. Alcuni, si ribellano. Lo stato teme le rivolte e premia la sottomissione. Promette i documenti a chi lavora a testa bassa e costringe al terrore tutti. Chi vive senza documenti teme e odia la retata, il fermo, il controllo sul treno e ogni divisa.
Il CPR, centro di permanenza per il rimpatrio è il cuore di questo dispositivo. I CPR servono a ricordare che in qualunque momento si può essere prelevati dal territorio, rinchiusi e deportati.
A Milano il 1 Marzo apre il CPR di via Corelli, dove un tempo c’era il Centro di Identificazione ed Espulsione. Il CIE di via Corelli è stato reso inutilizzabile dai detenuti che, organizzati, hanno dato fuoco alla struttura.
A partire da quando sono stati aperti, nel 1998 con il nome di CPT, le rivolte esplose all’interno non si sono mai fermate fino a rendere inagibili e a chiudere i CIE di Modena, Bologna, Brindisi, Gradisca, Crotone, Catanzaro e Trapani, altrove ne hanno ridotto i posti disponibili.
Dentro al CPR di via Corelli non mancheranno certo le rivolte e noi saremo con loro. Continueremo a lottare come in passato per la chiusura di questi campi d’internamento.

Domenica 1 Marzo, h 15, presidio sotto il CPR di via Corelli
Solidarietà ai reclusi perché i CPR brucino ancora.

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Contro i luoghi di detenzione in Francia e altrove, attacchiamo Eiffage!

Fonte: Passamontagna

Traduzione dell’articolo di A bas les CRA del 24/02/2020

90 giorni di detenzione massima, 481 nuovi posti nei CRA (CPR) nei prossimi anni in Francia: lo Stato sta lavorando per rinchiudere, torturare ed espellere sempre più stranieri/e. E non lesina nella sua guerra contro chi non ha i documenti “giusti”.

Così, tra la riapertura dei CPR (CRA) di Hendaye e Geispolsheim, l’estensione dei CPR di Nîmes e Coquelles, il lancio della costruzione dei CPR di l’Olivet, Bordeaux e il secondo CPR di Lione, i bandi di gara sono fiorenti sulle piattaforme degli appalti pubblici e i promotori immobiliari che costruiscono gabbie partono per specularci . Le aziende che collaborano con lo Stato nell’industria delle espulsioni si accapigliano logicamente sulle decine di milioni di euro di denaro pubblico che possono intascarsi!

Una manciata di società si suddivide il mercato (Thémis – FM [filiale di Bouygues], Gepsa [filiale di Engie], Sodexo, Spie Batignolles, Eiffage) ¹. Prendiamo di mira in particolare Eiffage, un gruppo di esperti nella costruzione di immobili repressivi e assassini!

Eiffage gestisce 100.000 cantieri in Francia e all’estero; uno di questi comprende la gestione della “realizzazione” del nuovo CPR di Lione a Colombier-Saugnieu (69), i cui lavori si svolgeranno da maggio 2020 a settembre 2021. Eiffage sarà assistita dalla società ICAMO, che nel suo sito web inserisce la costruzione del Centro di detenzione nella sezione “Sicurezza” ². Continua a leggere

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