Rivolta nel CPR di Trapani e resistenze nel CPR di Gradisca, contro le deportazioni

Nel Centro di permanenza per il rimpatrio di contrada Milo a Trapani ieri sera giovedì 2 gennaio verso le 23.30 è avvenuta una rivolta che ha portato all’incendio di materassi e coperte in tre padiglioni, rendendo necessario l’intervento dei vigili del fuoco. Non risultano feriti e almeno una sezione del lager sembra sia ora inagibile. Probabilmente si è trattato di una protesta in vista di una imminente deportazione. Nel centro di detenzione, dalla capienza di 150 posti, sono attualmente recluse 45 persone, 24 delle quali erano state trasferite a fine novembre dal CPR di Torino dopo una rivolta.

Anche dal CPR di Gradisca d’Isonzo, riaperto il 16 dicembre, giungono notizie di resistenze alle deportazioni attraverso atti di autolesionismo: alcuni reclusi avrebbero ingoiato lamette, palline da ping pong, sapone, e sarebbero stati ricoverati nell’ospedale di Gradisca, sorvegliati a vista per evitare tentativi di fuga. A Gradisca sono rinchiuse 65 persone provenienti in gran parte dai lager di Torino e Bari danneggiati dalle recenti rivolte. Davanti al nuovo lager è previsto un presidio di solidarietà per sabato 11 gennaio.

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Rignano – Ci date le tende? Torneremo nelle strade!

Fonte: Campagne in lotta

Dopo l’incendio del 3 dicembre scorso al Gran Ghetto di Rignano, non si è perso tempo nel mettere in moto la già rodata macchina speculatrice sulla pelle dei lavoratori. Pochi giorni dopo la tragedia, che ha distrutto buona parte delle abitazioni lasciando centinaia di persone prive di casa, la Prefettura ha messo in piedi la solita risposta, che non ha nulla di provvisorio ma anzi si appresta a diventare la nuova normalità che tutti conoscono bene: tende. Ad oggi sono circa 25, le tende blu della protezione civile che sono state posizionate nel terreno adiacente a ciò che rimane del ghetto, per mezzo di protezione civile e Regione. A tendopoli conclusa i posti totali saranno 500, in base a quanto raccontato dalle forze dell’ordine ad alcuni abitanti, con 10 persone per tenda, il che non lascia dubbi sulle condizioni di sovraffollamento a cui saranno sottoposte le persone che vi andranno a vivere, date le ridotte dimensioni delle tende. Già è emersa la volontà, per quanto concerne l’organizzazione della nuova Tendopoli, di sottoporre i futuri abitanti a un rigido regolamento: divieto di cucinare per conto proprio, pasti portati da fuori e con ogni probabilità (visto che si stanno già raccogliendo i nomi) accesso strettamente regolamentato e consentito solo a chi è registrato.

Difficile non rivedere in queste imposizioni un altro esempio, già rivelatosi ampiamente fallimentare, di Tendopoli militarizzata: quella di San Ferdinando (in Calabria), in cui le vite delle persone sono costantemente sottoposte al controllo e messe a profitto – così come è successo a Casa Sankara, anche se in dimensioni ridotte -. Continua a leggere

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Come Amazon: il modello logistico su chi immigra in Europa

Fonte: Macerie

Di seguito riportiamo un’interessante descrizione e analisi di un compagno che nei tempi di repressione ha studiato gli apparati che si occupano di gestire i flussi migratori, dove tratta della gestione “logistica” che si sta cercando di imprimire agli uomini e alle donne che intraprendono il viaggio della fortuna verso l’Europa. Sarà uno dei due contributi di sua penna che pubblicheremo nei prossimi giorni, scritti nati dall’esigenza di comprendere quali livelli burocratici e operativi si concretizzino in strutture come il Cpr e di come vengano da una governance internazionale che si avvale delle nuove tecnologie così come delle retoriche politiche, che siano queste palesemente repressive o con sfumature più umanitarie.

Come Amazon: il modello logistico su chi immigra in Europa

Ogni giorno le frontiere esterne dell’Unione Europea sono interessate da flussi e movimenti: i porti, gli aeroporti e i valichi terrestri sono i luoghi fisici del passaggio di merci e ogni anno di milioni e milioni di persone. Lo spazio Schengen, infatti, è un forte polo d’attrattiva per gli scambi e per il transito di numerose categorie di soggetti portatori ognuno di valori, investimenti e consumi differenti.

I turisti, i manager, gli studenti, i trasportatori, i lavoratori a termine rappresentano un’immagine dominante, quella del cuore di questo movimento e, nello stesso momento, una parte del carburante necessario al sostentamento del sistema economico nostrano. Per questo genere di persone le frontiere sono tutt’altro che chiuse e l’immagine della Fortezza Europa un problema assai remoto. Accompagnata a questa vi è poi un’altra immagine mendace, prodotta soprattutto dal discorso mediatico e politico, che vedrebbe nell’Europa un territorio assaltato da orde di barconi. In realtà la quasi totalità del flusso migratorio in entrata, composto da chi diventerà presto irregolare, è rappresentato da un attraversamento di persone provviste di un visto d’ingresso. Un panorama, quindi, assai più sereno, meno caotico e minaccioso per l’attrattività bulimica di televisioni e social. In modo speculare ai profili sopracitati, emerge, principalmente come target di una sovraesposizione mediatica in termini allarmistici, la massa degli escludibili, di chi preme alle frontiere e attraversa il mediterraneo rischiando la propria vita, di chi per status, spendibilità sul mercato o presunta pericolosità sociale, vede costruirsi attorno a sé l’abito dell’indesiderabile.
Di fronte a questo gruppo umano, prende consistenza il muro, la divisa, l’ostacolo insomma.
Approcciarsi alla questione migratoria, attraverso il netto e rigido schema interpretativo dell’aperto\chiuso, dal quale deriva la seducente, ma errata immagine della Fortezza, non aiuta a comprendere in pieno i meccanismi, le modalità e gli scopi attuali della frontiera europea. La Forteresse, insomma, non esiste in modo continuativo, più precisamente si palesa e opera a seconda del profilo economico e sociale della persona che sta tentando di eludere o varcare il confine.

Un tentativo descrittivo adeguato dovrebbe piuttosto esprimersi in termini di selettività, filtraggio e, in fin dei conti, di governance dei flussi. Attraverso questo frame emergono alcune nuove rappresentazioni come quella dello smart border e all’orizzonte, con un minimo di azzardo, la metafora della logistica. Questi concetti offrono un panorama molto diverso da ciò che si è spinti ad osservare, permettendo di cogliere dinamiche e meccanismi di selezione e management, messa a valore e sfruttamento della massa migrante, categorizzazione e concentramento fisico che non sono di immediata percezione. Si può delineare così una logica che lega tra loro i differenti luoghi del mondo migrante sparsi sul territorio europeo, siano essi gli snodi di transito del traffico, i centri d’accoglienza, i campi di lavoro, i centri per la detenzione amministrativa dei migranti o semplicemente le strade delle grandi città. Continua a leggere

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Clavière – 12 gennaio: Giornata in frontiera

da passamontagna

La frontiera separa e uccide.
Sciatori e turisti la attraversano come se fosse inesistente. Chi non ha il “documento adatto” é braccato e respinto. Invisibilizzare, tacere e reprimere sono le parole chiave attorno alle quali si ritrovano le guardie e gli esponenti del turismo.


Rompiamo l’indifferenza di quelle piste!
Per un mondo senza frontiere ne autoritarismi.

Venite numerosi !!!
Appuntamento alle 11 sul piazzale davanti alla chiesa di Clavière

 

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Grecia – Ieri rivolta nell’hotspot di Samos, oggi corteo nelle strade dell’isola

Nell’hotspot di Samos sono presenti al momento  7.497 persone, in un centro predisposto per 648. Moltissimi sono i minorenni non accompagnati. Contro le drammatiche condizioni di vita le proteste sono frequenti: ieri giovedì una rivolta è stata repressa dalla polizia antisommossa, il 14 ottobre un incendio aveva distrutto centinaia di tende e baracche, lasciando migliaia di persone senza un riparo, costrette a dormire all’aperto. Il 18 ottobre si era tenuta una protesta per rivendicare la libertà di movimento e la possibilità finalmente di lasciare il lager dell’isola, e per due giorni tra il 24 e 25 ottobre un gruppo di persone aveva tenuto un sit-in permanente in piazza Pitagora, nel centro della città di Vathy. In precedenza, una rivolta era stata duramente repressa nel mese di maggio.
Anche questa mattina, venerdì 20 dicembre, le persone costrette nel lager di Samos hanno continuato la loro lotta senza farsi intimidire dalla repressione, e sono scese di nuovo in strada raggiungendo la città di Vathy in un corteo determinato e rumoroso.

Traduzione da: Athens Indymedia

Circa 300 immigrati hanno iniziato a protestare giovedì 19 dicembre contro la segregazione e detenzione sull’isola, davanti alla porta principale del centro di detenzione, gridando slogan. Si sono poi diretti verso l’ingresso inferiore (che collega l’hotspot con la città di Vathy) e hanno bloccato la strada. Le forze di polizia hanno impedito loro di continuare la protesta verso la città, che si trova a soli 500 metri di distanza.

Gli immigrati hanno risposto ribaltando i bagni chimici, allestendo barricate e lanciando pietre contro la polizia, che ha reagito con una pioggia di lacrimogeni.
Il comune di Samos orientale ha deciso di sospendere le lezioni nelle scuole elementari e nelle scuole materne vicine, a causa del forte odore di gas lacrimogeni presente nell’aria.

Solidarietà con gli immigrati ribelli!

Non ammetteranno mai nei loro notiziari che l’atto di ribellarci è stato il nostro estremo tentativo di rimanere umani“- da “Lotta contro l’oblio”, ultimo testo di Apatris

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Bari – Rivolta nel CPR di Palese: tre aree distrutte, trasferimenti a Gradisca

Solo oggi si è venuto a sapere della rivolta avvenuta nella notte tra martedì e mercoledì scorso nel CPR di Bari Palese.

Le persone recluse hanno incendiato tre delle 4 sezioni rimaste integre dopo le ultime rivolte del 27 aprile 2019 e del 15 e 16 dicembre 2018, che avevano reso inagibili i restanti quattro moduli.

Sembra che a causa della mancanza di posti,vista la disponibilità di un solo modulo da 18 letti, trenta delle persone recluse siano state trasferite nel CPR di Gradisca d’Isonzo, aperto lunedì scorso.

Solidarietà a chi distrugge i lager di Stato!

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Roma – Pigneto: non è l’acqua a seppellire nel Mediterraneo, sono gli Stati

In questi ultimi giorni la cronaca romana ha dato grande spazio all’iniziativa di tale Fabio Saccomani. La sua opera, dal nome (S)ink, consiste nella scrittura, sull’isola pedonale del Pigneto, di 36570 nomi di persone uccise nelle stragi in mare, nel tentativo di arrivare in Europa. La grande idea sarebbe l’utilizzo di una vernice che appare visibile solo se bagnata.
Dunque, nelle giornate piovose, si potranno calpestare 36570 nomi di persone “seppellite dall’acqua” (perché questo viene detto) scritti con l’inchiostro simpatico.

Ovviamente questa lista, che si ipotizza completa come se le stragi non avvenissero a ritmo incessante, ha una pesante presenza di “No Named”. Ovvero di persone non identificate.

Sulle mancate identificazioni è in corso una grande sperimentazione tra università e apparato militare, ospitata nelle basi NATO come quella presente ad Augusta. Con il pretesto di “dare finalmente un nome” alle persone che gli stessi Stati europei non hanno voluto far arrivare, si sta lavorando sulla raccolta e l’incrocio di dati, utilizzando ogni elemento ritrovato in possesso delle centinaia di corpi che hanno a disposizione e sulle imbarcazioni che vengono recuperate.
Agende, numeri di telefono, fotografie e appunti avrebbero il compito di far risalire, non solo ai parenti e alle relazioni, ma anche alla rete che permette di effettuare i viaggi a pagamento.
La maxi mappatura del DNA che viene prelevato dai cadaveri avrebbe il compito non solo di aiutare l’identificazione ma anche di affinare la ricerca in questo campo, con il fine di conoscere meglio le rotte migratorie per contrastarle.

Sulle stragi in mare si è sempre rafforzata la militarizzazione del Mediterraneo. Dalle operazioni Frontex a quelle “umanitarie”, come Mare Nostrum, gli Stati europei hanno cavalcato l’onda emotiva di alcuni massacri per continuare a scatenare la guerra contro le persone migranti, parlando di salvataggi. Solo più di recente assistiamo alle battaglie navali con le ONG, a cui partecipiamo tra social network e tv.

Oltre al grande senso di impotenza, concentrarsi unicamente su quello che avviene nel Mediterraneo genera un grande rimosso. Si finisce per dare per normali e scontate le politiche europee di rifiuto dei visti e di chiusura delle frontiere, che obbligano le persone a rischiare la vita in mare. E poi, quanti sanno o si domandano che fine fanno le persone che arrivano vive sulle coste di questo paese? In quanti conoscono le politiche di segregazione e i percorsi forzati che le persone devono affrontare, vedendosi negata ogni possibilità di scelta e autodeterminazione? In quanti sanno come e se è possibile avere un documento in regola per il soggiorno e cosa comporta non averlo? Continua a leggere

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Centri di espulsione: rivolta a Torino, apertura a Gradisca d’Isonzo e rinvio a Macomer

Nel pomeriggio di oggi una nuova rivolta è divampata nel CPR di Torino. Le persone ammassate nell’area rossa (dopo la distruzione delle aree viola e gialla a causa della protesta avvenuta domenica 24 novembre) hanno dato fuoco a materassi e altri oggetti. Dalle prime notizie che giungono dall’interno anche quest’ultima area è ora pesantemente danneggiata e i reclusi si trovano tutti fuori, circondati dalla celere.

Intanto, come annunciato dalla ministra degli interni, le autorità accelerano per l’apertura di nuovi lager entro la fine dell’anno.

I media riportano dell’apertura del CPR di Gradisca d’Isonzo per domani, lunedì 16 dicembre. Al momento la struttura, in gestione alla cooperativa EDECO di Padova, dovrebbe avere una capienza di circa 60 posti. Dopo febbraio la capienza dovrebbe aumentare fino a raggiungere i 160 posti. Per martedì mattina alle 8:30 è previsto un presidio davanti le mura del CPR.

L’apertura del CPR di Macomer in Sardegna, con 50 posti, prevista per mercoledì 18 dicembre, è stata invece rimandata dalla Corte dei Conti. La motivazione sarebbe una modifica al contratto d’appalto chiesta dalla ORS Italia, la società che ha vinto la gara europea.

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Belgio – Tentativi di evasione e resistenze nei centres fermés

fonte: Getting the Voice Out

Ci sono arrivate innumerevoli richieste di aiuto e notizie di atti di disperazione e resistenza nei centres fermés (CPR).

Resistenza alle espulsioni e deportazioni:

Molte persone migranti vengono espulse nel primo paese europeo di arrivo (in base al regolamento di Dublino), poi ritornano o riprendono la loro rotta migratoria.
Altre persone che devono essere rimpatriate nel loro “paese d’origine” rifiutano con forza e sono soggette a gravi violenze da parte della scorta della polizia durante i loro tentativi di deportazione.
Non passa settimana senza testimonianze di tentativi di deportazione estremamente violenti, sempre accompagnati da commenti razzisti e umilianti da parte delle guardie.

L’ultima, il 9 dicembre 2019: “È stata portata con la forza nel primo pomeriggio, è stata messa in cella da 4 poliziotti e 2 poliziotte. Entrambe le donne sono rimaste in cella. E’ stata spogliata e poi legata. Prima di salire sull’aereo, è stata colpita. Una volta sull’aereo, ha urlato e pianto, e i passeggeri hanno reagito. Alla fine è scesa dall’aereo e ha subito ulteriori violenze, anche su una mano che già le faceva male.
La polizia le ha detto che in Belgio non c’era abbastanza spazio, che si trattava di un piccolo paese e che doveva andarsene.»

Piccoli gruppi di persone che ospitano immigratx senza documenti e attivisti si organizzano per andare all’aeroporto ad avvertire i passeggeri della presenza di una persona deportata sul loro aereo, quando ne vengono a conoscenza. I/le passeggerx di solito si oppongono con forte determinazione alle espulsioni.

Tentativi di evasione: Continua a leggere

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La paura non ci appartiene: che la lotta delle campagne trovi eco in tutta Italia. Blocchiamo il paese!

Fonte: Campagne in lotta

Bloccare in contemporanea, per ore, i varchi di uno dei porti commerciali più importanti d’Italia e una zona industriale strategica, in un Paese come quello in cui viviamo, è una scelta ben precisa e ponderata. In un contesto in cui le leggi razziste e fasciste reprimono con sempre maggior forza le forme di conflittualità tipiche di quelle lotte che negli ultimi anni hanno fatto tremare il paese; in un tempo in cui ci si indigna, ci si dichiara antirazzisti e si parla, dai palchi e sugli schermi, di opposizione al DL Salvini, per chi è costretto a vivere segregato in ghetti e campi l’unica arma efficace per farsi ascoltare è bloccare i flussi di merci che alimentano il sistema che ci strozza.

Lo sanno bene le centinaia di lavoratori e lavoratrici dell’agroindustria che nella grande giornata di lotta del 6 dicembre, a Foggia ed in Calabria, hanno scelto di mettere in gioco i propri corpi, il proprio cuore, il proprio coraggio perché consapevoli che il tempo delle chiacchiere è finito: non si può attendere oltre. Lo hanno fatto nonostante la giornata sia stata segnata da molti momenti estremamente gravi. Sono riusciti a trasformare la rabbia, per i compagni investiti a Gioia Tauro – un gesto razzista di estrema arroganza, intrapreso per forzare il blocco – e per un altro picchiato e portato via dalla polizia a Foggia, in forza per continuare. Hanno tramutato in determinazione le aggressioni subite nelle cariche, con le annesse manganellate e lacrimogeni.

Lo hanno fatto nel periodo prenatalizio, in cui la macchina capitalista che gestisce la circolazione di merci, denaro e persone secondo i suoi interessi e per il profitto si mostra in tutta la sua imponenza e ferocia. Hanno scelto di bloccare dei colossi dal valore non solo materiale, ma altamente simbolico. Un importante porto di transhipment nel Mediterraneo, un luogo che è anche una frontiera e che come tale è un emblema di ciò che ci opprime e ci divide, e che il giorno prima aveva ricevuto la visita del patron di MSC (multinazionale con sede in Svizzera…alla faccia del prima gli italiani) Aponte a sottolineare quanto cruciale sia il progetto della ZES e l’investimento sull’aumento dei volumi di scalo – mentre molti lavoratori portuali, a cui va la nostra solidarietà, sono ancora in attesa di essere riassunti. Dall’altro uno snodo stradale che dal casello della A14 porta alla zona industriale di Foggia, in cui sono presenti, oltre alle fabbriche di trasformazione del pomodoro, anche la divisione aerostrutture di Leonardo SPA, gigante della produzione ed esportazione di quelle armi che giocano un importante ruolo nel determinare flussi migratori, povertà e distruzione, e uno dei centri commerciali più grandi del sud Italia, il GrandApulia, tempio dello shopping consumistico soprattutto in questo periodo dell’anno.

Come sempre, alla determinazione, al coraggio, alla fermezza delle rivendicazioni dei lavoratori le istituzioni hanno risposto da un lato con indifferenza e vaghezza, continuando a ignorare la necessità urgente di regolarizzazione per tutti e la cancellazione degli ultimi due decreti, dall’altro mostrando la forza e utilizzando tutta la violenza dell’apparato repressivo. Di sicuro le istituzioni non hanno gradito l’ingente perdita economica che il blocco di questi due punti cruciali ha provocato: 4 km di camion in fila davanti al Porto, fino allo svincolo autostradale, e la mancata distribuzione di merci per lo shopping natalizio al GrandApulia.

Il bilancio finale è di quattro denunce, tra cui quella al lavoratore che è stato investito davanti al Porto di Gioia Tauro, il quale ha ricevuto cure sommarie e un trattamento decisamente ostile, a differenza dell’investitore che si è tranquillamente allontanato dal blocco, e quella al lavoratore picchiato dalla polizia, trattenuto per ore in Questura a Foggia e poi rilasciato grazie alla determinazione del presidio creatosi in solidarietà davanti ai cancelli della stessa questura. Nonostante una costola rotta, è stato costretto dal personale del Pronto Soccorso di Foggia ad attendere ore per farsi visitare. In entrambi i casi, il personale ospedaliero si è dimostrato complice della repressione, cercando in tutti i modi di ostacolare non solo le cure ma l’attestazione della verità di quanto accaduto. Continua a leggere

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