Atene – Comunicato della Casa delle donne sulle lotte e la repressione nel lager di Petrou Ralli

Pubblichiamo gli stralci di due comunicati della Casa delle donne per l’autoaffermazione e l’emancipazione.
Si tratta di una realtà autorganizzata che non conosciamo per relazioni dirette ma crediamo importante che il dibattito sulle pratiche di lotta si alimenti di continuo.
Oltre a condividere il posizionamento femminista di questa esperienza di lotta, ci soffermiamo su qualche aspetto che troppe volte abbiamo visto liquidare facilmente nelle discussioni tra compagne e compagni.
La critica rivoluzionaria al sistema di dominio che infantilizza, disciplina e criminalizza le persone immigrate e la nostra classe tutta, al di là del paese di nascita, ha sempre attaccato l’assistenzialismo, come ovvia relazione di potere e dipendenza. Uno strumento sistemico, nemico dell’autorganizzazione e della solidarietà, un tentacolo soffocante del controllo.

Quanto appena scritto, in termini di un vero e proprio spartiacque che pratichiamo ogni giorno nelle relazioni di lotta che alimentiamo, è stato forse troppo spesso sintetizzato brutalmente, o comunque non concordiamo con alcune conclusioni.
Ripartiamo dunque da alcune domande molto semplici che potremmo porci lottando o iniziando a farlo: perché lottiamo? che relazioni vogliamo? cosa è questo spettro che si aggira in ogni discorso sloganistico, questo Privilegio? cosa sarebbe la solidarietà?
Rispondendo alla domanda sui motivi per cui lottiamo contro i centri di espulsione e le frontiere, dovremmo essere consapevoli che ripetere “io non rischio di finirci” non possa bastarci per descrivere il privilegio e definire il nostro posizionamento. Chiediamoci inoltre quale nostro privilegio mettiamo a rischio lottando seriamente.
Come abbiamo costruito le nostre relazioni se abbiamo assemblee intere di militanti bianchi che parlano un linguaggio incomprensibile e si misurano tra loro?

Come distinguiamo la solidarietà dall’assistenzialismo? Se portiamo un pacco a una persona con cui abbiamo relazioni di lotta, magari destinandolo a tutte le compagne di prigionia, è assistenzialismo? Conosciamo davvero come funziona un centro di espulsione? Pensiamo sia meglio che chi resiste ogni giorno in un lager, con cibo di merda condito da psicofarmaci, senza saponi per lavarsi e con un paio di vestiti addosso, continui a non avere alcun supporto da fuori? Lotterebbe di più, corrisponderebbe di più al nostro ideale di immigrato ribelle?

Consigliare un avvocato in gamba, che non lucra sulla condizione di reclusione, significa riconoscere la Giustizia e le leggi dello Stato e lottare sul terreno riformista?
Se una nostra vicina di casa ci chiede il contatto di un avvocato o un compagno ne ha bisogno (compresi noi stessi) solitamente non rispondiamo che non ci occupiamo di queste cose.

Cosa significa nascere e vivere nella stessa città, avere un’immensa rete di relazioni che ci aiuta nei guai o nei bisogni in maniera tempestiva, con il cuore? Questo Privilegio dunque ce lo teniamo per noi?


La “Casa delle donne per l’autoaffermazione e l’emancipazione” è un’iniziativa femminista, antifascista, antirazzista autorganizzata che tiene le sue assemblee nello squat autogestito del teatro Embros, ad Atene, dal 2016.

Una delle attività è il supporto alle donne recluse nei due centri di detenzione per persone migranti esistenti ad Atene,(Amygdaleza e Petrou Ralli, fino al 2017 esisteva un centro di detenzione esclusivamente femminile a Elliniko, chiuso dalle autorità dopo varie proteste)
attraverso dei regolari presidii di solidarietà e delle visite all’interno per consegnare beni di prima necessità, raccolti nelle varie occupazioni presenti in città. Durante le visite con le detenute, prendono nota della loro situazione e organizzano supporto e risorse sia per chi è reclusa che al momento del rilascio. Dell’assemblea fanno parte anche ex recluse. Per questo motivo le aderenti ci tengono a sottolineare che “Non non aiutiamo, esistiamo insieme. Noi potremmo facilmente trovarci nella posizione delle persone attualmente detenute. Siamo contro la filantropia e non riceviamo alcun tipo di assistenza dall’Unione europea, dallo stato greco o da organizzazioni non governative (ONG).”

Un’altra denuncia dal centro di detenzione di Petrou Ralli

Traduzione da: Athens Indymedia 

Questa volta abbiamo incontrato donne di 15 paesi! Donne invisibili ai meccanismi dello stato e alla maggioranza dei suoi cittadini. In violazione delle disposizioni più basilari, che vietano la detenzione di minori, abbiamo trovato 3 minori, provenienti da paesi in guerra e aree difficili.Due ragazze minorenni, come altre prima di loro, avevano richiesto l’assistenza della polizia per essere portate in un rifugio, ma sono state portate invece nelle celle di Petrou Ralli. La terza era con sua madre. 15, 16 e 17 anni, rispettivamente.
Le condizioni sono esplosive e la testimonianza che dovrebbe essere sottolineata, perché, come ogni estate, arriveranno giorni ancora più difficili, è la seguente. Le donne ci hanno detto che per tre notti non hanno potuto dormire, perché sulla terrazza, vicino alle loro celle, i poliziotti avevano trascinato e torturato gli uomini reclusi per lunghe ore. Le loro urla di dolore erano terrificanti. Un’altra testimonianza, che completa questo tragico evento, è che tre giorni fa i prigionieri avevano incendiato le loro celle e sono stati costretti a evacuarle violentemente dalle autorità. (delle violenze delle guardie contro chi si ribella, avevamo scritto qui).
Anche le donne sono state portate fuori dalle loro celle, perché era difficile respirare. Ciò che è accaduto, deve essere tenuto in considerazione dai collettivi del movimento antagonista che hanno contatti con i prigionieri, perché con le ondate di caldo, che rendono la vita ancora più insopportabile, in questo inferno gli uomini si ribellano e la tortura delle guardie si intensifica.

Le donne si lamentano che non ci sono traduttori per il farsi e altre lingue. Le persone impazziscono… Non ci sono attività. Biblioteca per leggere, lezioni, ecc. Un’altra lamentela che sentiamo spesso quando andiamo andiamo lì è: “Molte organizzazioni sono passate, hanno raccolto le nostre storie e non hanno fatto nulla. Abbiamo bisogno di un avvocato e di uno psicologo”. “L’avvocato dell’organizzazione che mi ha ascoltato, è venuto una volta, mi ha parlato, mi ha detto di non preoccuparmi ed è passato 1 mese e non l’ho mai più vista. Il numero di telefono dell’ufficio dell’organizzazione non risponde mai”. Le note organizzazioni che gestiscono il dramma dei rifugiati e milioni di euro abbandonano le persone e le dimenticano lì.
Abbiamo anche incontrato donne con forti dolori psicologici e fisici. Un paio di giorni fa, i loro mariti hanno riferito alla polizia che non avevano documenti, per farle arrestare. Poco tempo prima queste donne erano state vittime dei loro abusi ed erano state soccorse da passanti e vicini che hanno chiamato la polizia. I persecutori furono liberati perché avevano documenti. Il patriarcato uccide. Abbiamo bisogno l’una dell’altra e, passo dopo passo, costruire la fiducia. Alla fine dei nostri incontri questo diventa ovvio. Vi sono strade di reciproca interazione e solidarietà. Ci rendiamo conto che è solo quando trasformiamo le nostre paure nascoste e la nostra rabbia in resistenza collettiva che sentiamo il potere curativo dell’autoliberazione, e questa è un’esperienza preziosa. Ci rendiamo conto che insieme possiamo cambiare il mondo e distruggere il Patriarcato.

Fino a quando tutti i centri di detenzione saranno banditi e le frontiere aperte

Nelle strade, nelle piazze e nelle celle delle prigioni, le donne migranti non sono sole!

La solidarietà e l’autorganizzazione sono le nostre armi!

The Assembly of the Initiative: The House of Women for the Empowerment & Emancipation

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Aggiornamenti sulla situazione di Divine

Riceviamo e pubblichiamo. Per scriverci e inviarci contributi hurriya[at]autistici.org

Il 19 luglio, al termine dell’udienza presso il CPR di Bari, il giudice non ha convalidato l’istanza di trattenimento presso il lager barese, le motivazioni per la detenzione non sono state giudicate sufficienti. Una volta lasciato il carcere per migranti peggiore d’Italia, l’iter successivo alla sospensione dell’espulsione emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è andato avanti, il Ministero dell’Interno ha consegnato le memorie per giustificare l’espulsione e la difesa di Divine entro il 19 agosto consegnerà le proprie motivazioni a Strasburgo.

La linea che continua a perseguire il ministero è quella di descrivere il compagno come una persona socialmente pericolosa, un terrorista che deve essere espulso, malgrado lui non sia mai stato condannato per questi reati. Ancora una volta ci si palesa il funzionamento del diritto: l’accusa creata dai rancori dell’esecutivo conta più delle sentenze dei giudici, essa di per sé descrive alcuni soggetti come pericolosi criminali andando a comprometterne la vita intera. Dal 19 agosto in poi, quando Strasburgo avrà ricevuto tutte le carte necessarie, la Corte si esprimerà verosimilmente nei giorni successivi e se l’esito fosse negativo, esiste la possibilità che Divo venga rimpatriato all’istante, poiché l’eventuale ricorso non è sicuro che abbia l’istanza di sospensione dell’espulsione.

Chi lotta viene attaccato dallo Stato e dai tribunali, ma quando si tratta di persone che non sono nate in questo paese ovviamente i margini sono molto più ampi, ed è così che un diritto penale già eccezionale e dedicato al nemico interno, diventa ancor più eccezionale quando diventa diritto dell’immigrazione. Anche chi ha vissuto vent’anni in Italia deve fare i conti con le politiche di uno Stato che vuole essere inospitale e aggressivo contro la figura dell’immigrato, a patto che non sia ricco, ovviamente.

SOLIDARIETA’ A DIVO CHE, DETERMINATO, CONTINUA A LOTTARE A TESTA ALTA! SAREMO SEMPRE AL SUO FIANCO!

SENZA PAURA DELLA REPRESSIONE, AL FIANCO DI CHI LOTTA !

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Torino – Aggiornamenti dal CPR di corso Brunelleschi

da macerie

La routine dentro le mura del Cpr è costantemente un evento eccezionale. L’eccezionalità è la quotidianità.

Tra le tante, un ragazzo perde continuamente i sensi, da ormai dodici giorni è in sciopero della fame, la sua semplice richiesta è di uscire da quel posto e soprattutto dal limbo in cui si ritrova: il Marocco non lo riconosce quindi non può essere deportato, non ha i documenti quindi non può essere rilasciato su territorio italiano. Un altro ragazzo ha iniziato uno sciopero del cibo da cinque giorni perché il vitto offerto dal centro non è quello adeguato alla sua salute.

È costante la carenza di cure. Un uomo che prima di venire arrestato ha subito un’operazione al piede, in cui hanno inserito viti e una placca di metallo, lamenta il fatto che è passato il limite di tempo in cui questi inserti dovrebbero stare nel suo corpo e vorrebbe fossero rimossi. Nessuno pare ascoltarlo, la placca si scalda all’interno della carne, le viti spuntano quasi a fior di pelle.

Non per sensazionalismo si riportano storie e immagini, ma per dare una sponda a un fiume errabondo. Affinché storie e immagini si diffondano, tanto quelle più entusiasmanti quanto le più crude, e possano muovere all’azione.

L’altro ieri un uomo si è tagliato le braccia, lo squarcio ha causato un violento fiotto di sangue. I compagni della medesima area hanno chiesto che venisse portato via per essere curato, si sono arrabbiati di fronte alla strafottenza e lentezza dei poliziotti nel predisporre il trasferimento verso l’area medica. Al che la celere è entrata nell’area per sedare gli animi. Continua a leggere

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Egitto – Sciopero della fame e testimonianza dalla prigione di al-Aqrab

Dal 17 giugno scorso un centinaio di detenuti della sezione al-Aqrab2 del carcere di Tora sono in sciopero della fame. Protestano contro le condizioni inumane con cui vengono trattati e per il diritto a ricevere delle visite in maniera regolare.
Le autorità carcerarie hanno provato a costringere i detenuti a interrompere la protesta facendo ricorso a torture, elettroshock con il taser, sanzioni disciplinari, isolamento.

Qui di seguito la testimonianza di una persona che è stata reclusa in isolamento nella prigione di al-Aqrab:

“Lo sciopero della fame delle persone recluse nel carcere di al-Aqrab è molto importante.
Non riesco a definire cosa significhi uno sciopero della fame.
È il corpo che si distrugge lentamente, una tortura non definibile,
soprattutto se è una scelta autoderminata. Cioè, il cibo è davanti a te e lo rifiuti perché vorrebbe fermare un dolore più forte di quello dello sciopero, ossia la tortura psicologica permanente che subisci ogni giorno dentro.
La tortura di non ricevere colloqui, di mangiare il cibo del carcere che fa talmente schifo che nessuna persona può vivere di questi alimenti.
La tortura di stare in una cella in cui tutto è proibito, la radio, qualsiasi libro (anche il Corano), la carta e la penna.
L’obiettivo nel carcere di al-Aqrab è che la noia ti annienti.
Non puoi sapere cosa significa che la noia uccide.
Davvero, la noia uccide.
Durante la mia detenzione sono stato in isolamento per tre mesi oltre ai periodi punitivi da una settimana a dieci giorni.
Nei tre mesi di isolamento pensavo di impazzire.
Contavo le formiche che camminavo per terra e seguivo i loro spostamenti.
Ridevo e piangevo senza alcun motivo.
Mi ritrovavo a parlare da solo.
Parlavo con me stesso, poi mi chiedevo cosa stessi facendo e se avessi perso la testa.
Urlavo e cantavo per combattere la noia che altrimenti mi avrebbe ucciso.
Nella mia testa passavano i ricordi e una volta finiti non trovavo null’altro da fare.
In realtà non ero nel carcere di al-Aqrab 1, ma ero detenuto nel Aqrab 2 e ero riuscito a
nascondere una radio mentre entravo in carcere ????.

Sai cosa vuol dire avere una radio dentro? I miei compagni di prigionia mi chiedevano in prestito la radio anche per un solo giorno.
Sapete cosa facevo per alleviare un po’ la situazione per tutti?
Quando entravo nella mia cella, ascoltavo Monte Carlo e la BBC e annotavo le notizie di tutto il mondo.
Il foglio con le notizie lo scrivevo varie volte per poterlo condividere il giorno seguente con più detenuti possibili.
Ovviamente il passaggio avveniva in modo indiretto così da non essere intercettato.
La radio era un tesoro.

Compravo una batteria della radio con due pacchetti di sigarette Cleopatra dai secondini e tutta la cricca dei corrotti.
Andavo a fare gli esami nel carcere Liman Torah e incontravo i detenuti di al-Aqrab1.
Cercavamo di fargli entrare alimenti e cioccolata per alleviare la loro detenzione, erano molto felici nel mangiare questo cibo. Anche se erano pasti semplici come riso e patate per loro erano piatti prelibati.

Sosteniamo i detenuti del carcere al-Aqrab

Sosteniamoli e parliamo delle loro condizioni detentive.
Ogni giorno è buono per smerdare gli abusi del regime e quello che fanno con loro.

Anche se ora non riusciamo a fare molto arriverà un giorno in cui la situazione cambierà e tutti questi al potere saranno giustiziati per crimini contro l’umanità”.

Libertà per tuttx,
fuoco alle galere!!!
#اضراب_العقرب2

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Spagna – Rivolta e fuga dal CIE di Tenerife

Nel Cie di Hoya Fria, a Santa Cruz, nell’isola di Tenerife, la mattina di sabato 2 agosto le persone recluse hanno dato vita a una rivolta, mentre si trovavano nel cortile del lager.
Una ventina di detenuti sono riusciti a scavalcare la recinzione ed evadere dal lager.
L’intero corpo di polizia presente nell’isola, in queste ore, ha iniziato una caccia all’uomo: sette persone sono state catturate ma le altre continuano la loro fuga.

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Roma – Sul presidio del 28 luglio davanti al CPR di Ponte Galeria

Riceviamo e pubblichiamo. Per scriverci e inviarci contributi: hurriya[at]autistici.org

Domenica 28 luglio un centinaio di solidali si sono incontrat* per il consueto presidio sotto le mura del CPR di Ponte Galeria. Questa volta l’intenzione era di estendere il saluto anche ai reclusi della sezione maschile, riaperta a inizio giugno. Tre blindati e un gruppo di celere erano già schierati a bloccare la strada; la polizia si è mostrata subito molto tesa all’avvicinarsi de* solidali, ed ha impedito di raggiungere il maschile. Le persone presenti si sono quindi raggruppat* in prossimità dell’entrata del CPR, e da lì i numerosi cori rivolti ai reclusi e alle recluse hanno cercato di rompere il silenzio del CPR.

La sezione maschile ha subito una ristrutturazione volta a riparare i danni della rivolta del 2015 che ne aveva comportato la chiusura, e con l’occasione è stata introdotta una nuova organizzazione interna. I reclusi sono ora divisi in sei grandi celle, non comunicanti tra loro, e non ci sono zone comuni. I pasti sono consumati all’interno delle celle e i cellulari sono sequestrati all’arrivo. La comunicazione all’esterno è consentita solo attraverso telefoni pubblici tramite schede prepagate.

Evidente è la sempre maggiore attenzione che le prefetture delle città dove si trovano i CPR pongono per tentare di ostacolare il più possibile la comunicazione tra chi è rinchius* – con l’intenzione di prevenire forme di organizzazione collettiva – e tra chi è dentro e chi è fuori: qualsiasi forma di contatto e solidarietà dall’esterno viene ostacolata, l’isolamento rimarcato. Se ogni tanto leggiamo articoli di giornalist* e associazioni che hanno il permesso di entrare, che si focalizzano sulle storie individuali e fanno leva sul pietismo e la vittimizzazione, di certo le resistenze e le lotte quotidiane – individuali e collettive – che le donne e gli uomini di tutti i centri di detenzione per migranti dell’Occidente portano avanti contro le violenze, le umiliazioni e i soprusi devono rimanere nascoste, la voce delle persone direttamente interessate deve essere zittita.
All’esterno sono visibili le nuove mura e le reti sul tetto, più alte e resistenti. Tutto questo non ha comunque impedito la rivolta e l’evasione, avvenuta solo pochi giorni dopo l’inaugurazione, che ha permesso a dodici uomini di tornare in libertà.
Numerosi interventi in diverse lingue al microfono e il ritmo della murga hanno cercato di raggiungere i/le reclus* di entrambe le sezioni, purtroppo si sono udite risposte flebili e sporadiche. Probabilmente, come successo in passato, le persone sono state rinchiuse prima dell’inizio del presidio in zone lontane dalle mura.
Oltre ai cori di solidarietà sono state comunicate le numerose notizie provenienti dai CPR di tutta Italia, le rivolte a Torino, lo sciopero della fame nel CRA di Lione e nel CPR di Pian del Lago, la morte di Sahid nel CPR di Torino.

I CPR sono l’ultimo anello del sistema delle frontiere, che opera in tutto il mondo per gestire e controllare la capacità delle persone di muoversi liberamente, alla ricerca di nuove opportunità o per fuggire dai conflitti del colonialismo capitalista.

Solidarietà a chi resiste e lotta nei centri di detenzione!
Contro ogni gabbia

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Barcellona – I/le manteros ancora in lotta contro l’ipocrisia e la repressione del “Comune accogliente”

Per il 2 agosto è stata organizzata una manifestazione contro la costante repressione nei confronti di chi lavora nelle strade di Barcellona.

Di seguito un comunicato riguardo l’ultima retata di massa avvenuta il 29 luglio.

fonte: Tras la manta

Comunicato: rifugiatx, benvenutx nella “città sicura”

Di fronte all’operazione di polizia contro la vendita ambulante che ha avuto luogo ieri (29 luglio), nella quale sono stati impiegati, secondo i dati ufficiali, 100 agenti della Guardia Urbana di Barcellona (GUB), 150 Mossos de escuadra e altrettanti agenti dell’autorità portuale, noi di Tras la Manta non possiamo rimanere zitte.

Abbiamo assistito già con allarme alle dichiarazioni della sindaca Ada Colau nelle quali esplicitamente alludeva a “misure securitarie per porre fine al Top Manta” (e cioè al lavoro ambulante non riconosciuto). Non ci facciamo prendere in giro, nella scorsa legislatura sono state adottate molte misure securitarie che si accompagnavano al ritornello “soluzione sociale per un problema sociale”. In molte occasioni questa soluzione sociale ha significato schierare la polizia di fronte alle nostre compagne più vulnerabilizzate. Il comune alla fine ha ceduto alle pressioni mediatiche e al suo accordo con il partito socialista catalano al quale ha ceduto l’assessorato alla sicurezza e già parla sfrontatamente di problemi di sicurezza, alimentando così la campagna di criminalizzazione portata avanti dai media e dalla destra. Il nuovo assessore e vicesindaco, Batlle, tra le sue tante perle, parla di “rimpatri assistiti” per intendere le deportazioni involontarie di minori e adolescenti migranti, completamente al di fuori di qualsiasi trattato internazionale di protezione dell’infanzia e ovviamente in violazione dei diritti umani.

Percepire come un problema per la sicurezza quelle persone che cercano di sopravvivere vendendo cose in strada, oltre a essere crudele, significa avere un’idea contorta di ciò che significa sicurezza. Che sicurezza viene offerta all’incolumità degli/delle ambulanti se viene lanciata una campagna di criminalizzazione contro di loro? Abbiamo tuttx visto cosa ha comportato in alcuni luoghi la campagna contro i minori e i/le giovani migranti. Smettetela di segnalare le persone.
Il dispiego eccessivo di operazioni di polizia sembra mirato principalmente a richiamare l’attenzione della popolazione e a dare un’immagine attiva del comune, più che essere una misura effettiva. Se la situazione di violazione dei diritti prosegue, la sopravvivenza continuerà a rimanere necessaria. Dall’altro lato, sgomberare i venditori ambulanti, come è successo in varie occasioni, giustificando tale decisione come un problema di “mobilità” per poi autorizzare i dehors dei bar o la creazione di spazi pubblici privatizzati per l’esposizione di macchine di lusso, ci sembra un’ipocrisia esagerata.

Di fronte a questa situazione, ci vediamo obbligatx a ricordare al comune “di sinistra” che non rispettare i diritti umani delle persone non è una cosa di sinistra, criminalizzare i vulnerabili non è una cosa di sinistra e non lo è neppure usare la polizia e l’apparato statale contro persone che cercano di sopravvivere, senza alternative plausibili alla propria situazione. Ci chiediamo anche dove hanno riposto quello striscione che pendeva dal balcone del comune con sopra scritto “Welcome Refugees”.
E vogliamo anche chiarire che, come sempre, non permetteremo che criminalizzino quelle compagne che, a cause della legge sull’immigrazione, non hanno alcun altro modo di guadagnarsi da vivere, non permetteremo che la vostra sporca guerra venga giocata sui corpi di coloro che non possono nemmeno votare.
Continueremo a stare nelle strade “indicando il cammino”.

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Torino – CPR di Corso Brunelleschi: Un fuoco al giorno …

fonte: Macerie

L’aria rimane densa ed elettrica nel Cpr di corso Brunelleschi: venerdì durante il temporale un ragazzo ha approfittato della scarsa attenzione di charlie e delle forze dell’ordine per saltare sbarre e muri e conquistare la libertà.  

Per quanto i media ufficiali avvolgano in un’aurea di eccezionalità le proteste e gli incendi nel centro, bruciare materassi e i pochi suppellettili rimasti è ormai una pratica consueta, per richiamare l’attenzione e pretendere una risoluzione ai tanti problemi che ci sono dentro, solo in ultimo la mancanza del barbiere. Nei giorni scorsi invece i reclusi ci hanno raccontato di come mancassero dosi di shampoo sufficienti per lavarsi e acqua fresca per dissetarsi.

Gli incendi servono anche per comunicare direttamente con fuori, durante gli ultimi presidi infatti è successo più volte di vedere innalzarsi una colonna di fumo che ha fatto scaldare gli animi dei solidali accorsi e rilanciare le grida di sostegno. Il rogo si è ripetuto anche questo sabato quando le voci, la musica e il clangore delle battiture di uno sparuto presidio fuori dal centro, allestito nonostante la pioggia, hanno raggiunto le orecchie dei reclusi.

Ieri ci è arrivata la notizia che numerosi reclusi hanno gettato il cibo addosso agli operatori, forti del fatto di aver anche ricevuto il giorno prima una grossa mole di pacchi alimentari, raccolti a seguito di un appello lanciato per l’occasione da alcuni dei tanti solidali che si sono mobilitati dopo la morte di Faisal. Lontano da ogni forma di pietismo e assistenza umanitaria questo episodio sottolinea come una lotta possa acquisire maggiore forza nella congiuntura di sforzi tra dentro e fuori: rigettare il cibo della Sodexo senza perdere le energie e mantenendosi lucidi, ossia senza il ricatto della fame, e con la possibilità in prospettiva di organizzarlo per più giorni e in modo duraturo.

Continuando in questa carrellata attraverso il fine settimana, da sabato sera fino a tutto domenica un ragazzo è rimasto arrampicato sopra il tetto della sezione per resistere a una deportazione. In isolamento è trattenuto un ragazzo con forti problemi mentali, preoccupando molto altri reclusi che lo hanno visto senza vestiti.

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Francia – Lotte nei centri di detenzione per persone straniere (CRA) di Mesnil, Palaiseau e Vincennes.

tradotto da Paris Lutte

Da più di una settimana si susseguono le lotte nei differenti centri di detenzione amministrativa (CRA) nei pressi di Parigi: Mesnil – Amelot, Palaiseau e Vincennes. Solidarietà con tutti e tutte i/le detenutx, sostegno e forza a coloro che lottano! Delle nuove notizie dal centro di Mesnil in lotta: blocco delle passeggiate e prigionieri sui tetti.

 Con un po’ di ritardo, diffondiamo le notizie su differenti lotte intraprese dai detenuti delle tre prigioni per persone senza documenti : Mesnil, Vincennes e Palaiseau.

Il 15 luglio 2019

“È da diverse settimane che la situazione è molto tesa nella prigione per persone straniere di Mesnil Amelot. Questa settimana dopo vari tentativi di suicidio violentemente repressi, i prigionieri dei due centri di Mesnil (CRA2 e CRA3) hanno lottato collettivamente contro il razzismo e la violenza delle guardie della PAF (Polizia di Frontiera). 

Di conseguenza, la CIMADE ( l’associazione che fa sostegno giuridico dentro il centro) ha deciso di esercitare il suo diritto di lasciare la struttura per 3 giorni. 

Attraverso la testimonianza di 2 compagni, S. e O., detenuti nel CRA2 di Mesnil, ritorniamo su quanto è avvenuto questa settimana. Continueremo a dare delle informazioni nei prossimi giorni. 

La sera del 13 una notizia comincia a girare:

“Siamo tutti nella corte con tutte le nostre cose, noi dei padiglioni 10, 11 e 12”

Il giorno dopo apprendiamo delle notizie:

“Ieri sera dopo aver cercato di bloccare la corte siamo rientrati nei padiglioni. Alle 22:40 hanno radunato tutti. Allora hanno preso un ragazzo della sezione 10 e gli hanno dato una petizione da riempire. Ma io ho pensato che una petizione non è una buona idea. C’è il “rappresentante” della sezione 10 e gli hanno passato la petizione. Bisogna scriverci tutto, chi siamo, cosa vogliamo … 

Obbligati provano ad avere o a trovare dei capi e di accollargli tutto questo. Alcuni ragazzi prenderanno l’aereo (saranno deportati), questo è sicuro. Questa petizione..sono loro che hanno scritto le regole… 

Potremmo dire che sia un gioco e sono loro che lo controllano. È un delirio. C’è una guardia che dice che è a causa della Cimade se i mesi di detenzione sono stati aumentati a 3. Beh … la polizia dice quello che vuole.. S.”

“Ieri siamo rientrati nel padiglione. L’ultimo uomo con la sua donna l’hanno spinto. L’hanno fatto entrare con la forza, visto che lui non voleva. Era a terra, erano in 5 a spingerlo. 

Noi eravamo chiusi nei padiglioni, gridavamo. C’era la sua donna di fronte a lui incinta. Li hanno dovuti aggredire per farli rientrare. 

Ci puoi dire cosa è successo prima?

Sì, prima di tutto c’è stato il 9 luglio. Martedì era il 9, vero? In breve, martedì pomeriggio in due persone sono salite sui tetti dei padiglioni 12 e un altro sulle recinzioni. Non ce la fanno più per quello che succede qui. Lui (quello delle recinzioni) voleva essere estradato in Belgio dove aveva fatto la sua domanda d’asilo ma loro volevano spedirlo in Marocco. Ma lui non voleva tornare. Ha parlato con loro, ma nessuno ci ascolta qui … Poi si è avvolto il filo spinato attorno al collo. Non ce la faceva più. 

Sono gli altri prigionieri che parlano arabo che sono riusciti a parlargli. 

 I ragazzi sul tetto volevano soltanto non restare 3 mesi qui. 3 mesi sono troppi. Due sono stati trasferiti in altri CRA. 

C’è un uomo con l’AIDS qui, ora è in isolamento. Ha fatto a botte con un altro uomo ed era tutto pieno di sangue. Nessuno ha fatto il test …. Non possiamo fare nulla qui. Quando abbiamo parlato dei test con il capo, sai cosa ci ha risposto? Ci ha detto: “Gliel’avete succhiato? Ve lo siete scopato? Se no…allora va bene. Altrimenti l’avete presa”. Ha parlato male perché è nervoso. Ieri l’hanno portato in infermeria velocemente, poi l’hanno rimesso in isolamento. 

Ieri (13 luglio) hanno voluto aprire il terzo padiglione, ma non abbiamo voluto. È tutto teso qui. C’è un ragazzo che è stato messo su due voli differenti, in due giorni consecutivi, con la scorta. 

Io questa settimana sto male. Ho fatto la radioterapia. Mi hanno detto che è normale e che avrò male tutta la vita all’anca. Loro mi hanno detto che è normale avere così male, ma io non soffrivo così prima di essere detenuto. Vogliono darmi delle medicine, tipo dei calmanti. Tutto ciò è troppo, anche se parli non ti danno nulla”. O.

Nel CRA3 c’è tanto movimento in questi ultimi 10 giorni: sciopero della fame di 2 giorni, striscione durante la passeggiata e tentativo di bloccare la passeggiata. A Vincennes un nuovo sciopero della fame è cominciato oggi al CRA2B. 

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Giulianova – 9-10-11 agosto: Tre giorni contro le frontiere

da fb: campetto occupato

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