Sandrine Bakayoko, una venticinquenne della Costa d’Avorio, è morta lunedì 2 gennaio in un centro per richiedenti asilo di Conetta, frazione di Cona, in provincia di Venezia.
La donna, come riferisce il marito, “stava male da giorni, tossiva, aveva la febbre”: al mattino di ieri si è accasciata in bagno e solo dopo molte ore è arrivata un’ambulanza per portarla, quando ormai era troppo tardi, nell’Ospedale di Piove di Sacco, a 15 km di distanza. È iniziata a quel punto la protesta delle persone segregate nel centro: “Tutti hanno deciso di fare uno sciopero per le condizioni in cui ci troviamo, abbiamo problemi di elettricità, di acqua e problemi di ogni genere. In generale in questo momento tutta la situazione del campo è molto precaria, c’è freddo e siamo molto a disagio, lasciati qui abbandonati a noi stessi sempre. Vogliamo che queste cose si conoscano, che si sappiano anche fuori. Ora che è anche morta una ragazza non possiamo più aspettare” ha affermato uno dei migranti alla testata giornalistica che per prima ha riportato quanto avvenuto. Gli accessi alla struttura sono stati bloccati, la corrente elettrica staccata, alcune masserizie sono state incendiate e gli operatori presenti si sono chiusi nei loro uffici, pare su suggerimento della polizia. La protesta è andata avanti per tutta la serata di ieri, con il centro circondato da un ampio schieramento di forze dell’ordine e con tanto di collegamento in diretta di una delle tv che quotidianamente diffonde xenofobia. Solo verso le 2 di notte gli operatori sono usciti dalla struttura.
Come in passato, non la morte inammissibile di una persona ma solo la rivolta dei e delle migranti ha permesso che la notizia circolasse nei maggiori media, con i soliti articoli e servizi criminalizzanti. Nessuno di questi racconta come nei luoghi cosiddetti “di accoglienza”, dove decine di migliaia di persone migranti in realtà vengono segregate e tenute in attesa di una risposta alle domande d’asilo (che per la maggioranza sarà negativa), si muore per mancanza di assistenza medica così come per disperazione.
Sono frequenti le morti nei centri e, la maggior parte delle volte, senza nome. Solo per citare le ultime: il 30 dicembre Simon, un trentenne del Ghana, era morto in un centro accoglienza a San Vittore (Fr), e il 20 dicembre a Roccasecca (Fr) era morto un quindicenne egiziano. Il 7 dicembre Antonio, un giovane angolano di 28 anni si era impiccato nel bagno del centro accoglienza di Via Fratelli Zoia a Milano.
Eppure migliaia di persone hanno lottato e continuano a farlo, perché tutto questo non accada: sono le stesse persone imprigionate nel sistema di gestione, controllo e selezione che purtroppo tanti continuano a definire “di accoglienza”.
Raccontiamo queste lotte, perché non rimangano più isolate dalla mancanza di solidarietà attiva, anche in vista della prevedibile repressione che si scaglierà contro chi ha protestato.
Nel luglio 2015 i circa 270 richiedenti asilo che vivono presso il residence “Magnolie” a Eraclea, in provincia di Venezia, scendono in strada e bloccano gli accessi al mare per protestare contro le disumane condizioni di accoglienza: dormono per terra su materassini, non hanno saponi, detergenti, dentifricio, lenzuola . La protesta si ripete il 27 luglio. Preoccupati dalle conseguenze delle proteste sulla stagione turistica nella località balneare, le autorità decidono di deportare i migranti in un luogo più isolato: l’ex base missilistica nei pressi di Cona, di proprietà del Ministero degli Interni. In pochi giorni un luogo abbandonato da circa tre anni diventa magicamente adatto ad “ospitare” persone, in piena campagna, senza collegamenti, a svariati chilometri da un centro abitato. Entro la fine di luglio cominciano i primi trasferimenti. Nello stesso periodo a pochi chilometri di distanza apre un nuovo centro a Bagnoli di Sopra, in provincia di Padova, nell’ex base aeronautica di San Siro. “Visto che lo Stato non chiede soldi in cambio della struttura, e quindi la cooperativa risparmia, una parte di quello che dovrebbe essere l’affitto finirà nelle casse del Comune” afferma il Prefetto di Venezia. Entrambi i centri vengono affidati alla gestione della cooperativa Ecofficina, un colosso locale della gestione rifiuti che dal 2011 è entrata nel business dell’accoglienza, già nota dal 2014 per tenere gli immigrati “al freddo e malnutriti”. Ecofficina si trova così a gestire le ex basi militari di Bagnoli di Sopra (Padova), Cona (Venezia) e Oderzo (Treviso) oltre a diverse altre strutture.
Ad agosto 2015 nel centro di Conetta sono presenti già dalle 200 alle 300 persone, comprese una quindicina di donne nigeriane. A un mese dall’arrivo, cominciano le prime proteste dei richiedenti asilo: una trentina escono dalla struttura militare il 29 agosto e attuano un sit in, circondati dai carabinieri, nella frazione di Conetta, per evidenziare le pessime condizioni igieniche e di vita nella struttura.
A settembre altre persone vengono portate a Conetta dove, data la mancanza di edifici sufficienti, sono allestiti dei tendoni.
Il 30 dicembre i/le richiedenti asilo aprono una pagina facebook, per descrivere con foto e testi le condizioni in cui sono costretti a vivere.
Il 27 gennaio 2016 i migranti escono in massa dalla ex base militare per un corteo di protesta, per bloccare la strada provinciale, ma sono fermati da polizia e carabinieri. Ancora una volta denunciano le condizioni di igiene e sanitarie del centro, la mancanza di assistenza medica e medicinali, il sovraffollamento, il freddo dovuto all’assenza di riscaldamento e di abiti invernali.
Ad aprile, dopo una visita nel centro condotta da alcuni parlamentari e avvocatesse, si viene a sapere che nei confronti delle persone presenti sono state effettuati molti ricoveri psichiatrici e due trattamenti sanitari obbligatori (TSO). Nello stesso mese sono di nuovo indagati il presidente e il vicepresidente della cooperativa Ecofficina e il gestore di una delle strutture adibite all’accoglienza dei profughi per i reati di truffa aggravata ai danni dello Stato e maltrattamenti: “Cibo di scarsa qualità, nessun corso di alfabetizzazione, angherie e soprusi.”
A maggio ennesima inchiesta, per il bando di gestione di uno SPRAR.
L’11 maggio, nuova protesta dei migranti: chiudono e barricano l’accesso alla struttura, contro il sovraffollamento della struttura e per le condizioni impossibili in cui in più di settecento vivono da mesi. In due giorni 24 persone verranno allontanate e circa 40 indagati per manifestazione non autorizzata e resistenza a pubblico ufficiale.
Malgrado la repressione la lotta riprende il 30 agosto: dalla mattina si blocca di nuovo la struttura impedendo l’accesso agli operatori fino alle 17, quando polizia e carabinieri in assetto antisommossa sfondano il cancello e disperdono i manifestanti.
Il 19 novembre una trentina di persone riesce a lasciare la struttura e bloccare la strada provinciale che porta da Cona ad Agna, con cartelli e striscioni, stanchi di aspettare una risposta che non arriva alla richiesta d’asilo o di ricollocamento.
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