Le voci dal CPR prima del silenzio che lo Stato vorrebbe imporre

Pubblichiamo la trascrizione di una corrispondenza trasmessa su Radio Onda Rossa con un compagno, uscito da tre reclusioni consecutive nei CPR di Torino e Roma. Questa intervista ci sembra importante sia per la chiara descrizione della realtà dei lager di stato, vissuta in prima persona, sia perché rappresenta una delle ultime testimonianze dirette di chi subisce la detenzione amministrativa. A partire dal mese di gennaio, in seguito a una circolare, è stato infatti disposto il sequestro di tutti i telefoni cellulari dei reclusi nei centri di Torino e Gradisca (come in precedenza avveniva già nella sezione maschile del CPR di Ponte Galeria a Roma) e probabilmente anche negli altri.
L’intervista in forma scritta è stata pubblicata sull’ultima edizione dell’agenda Scarceranda. Cogliamo l’occasione per invitare alla sottoscrizione della campagna di radio abbonamento a Radio Onda Rossa, una delle poche emittenti libere e autogestite, da sempre impegnata nella fondamentale attività di diffusione delle voci di chi è costretto e lotta nei CPR.

Ti abbiamo conosciuto per telefono perché quest’estate eri nel centro di espulsione di Torino. Durante i mesi estivi abbiamo seguito le proteste che hanno riguardato le persone recluse e abbiamo ascoltato la tua testimonianza quando c’è stata la morte di una persona dentro il CPR di Corso Brunelleschi. Puoi raccontarci la realtà di quel centro di espulsione?

Buona sera a tutti. Sono stato nel CPR di Torino, dove ho passato dei momenti davvero difficili. Ci sono state varie cose che, sicuramente, se succedessero in altri posti, altre persone che non indossano la divisa avrebbero sicuramente dei problemi.
C’è stata la morte di un ragazzo mentre era in isolamento. È morto da solo. Nella notte prima di morire ha chiesto aiuto perché stava male e nessuno l’ha soccorso. Il giorno dopo il ragazzo è morto. Hanno fatto di tutto per dare la colpa a qualcuno, alla persona con cui condivideva la cella. Dopo questo fatto c’è stata una rivolta all’interno del CPR.
[Le autorità] hanno dato delle false informazioni durante le visite dei consiglieri comunali che sono entrati in delegazione e il personale ha dato una versione falsa di tutto quanto quello che stava succedendo lì dentro.
Io ho parlato con tante persone che lavorano nel Centro e che erano pronte a smentire la versione data dalle forze dell’ordine.
Ho anche scritto varie e-mail alla procura di Torino per informare di tutto quanto quello che stavamo vivendo ma senza alcun esito.

Questa persona è morta da sola, abbandonata come un cane, e le false dichiarazioni erano sulla sua morte. Abbiamo provato tramite i nostri avvocati e gli attivisti che erano molto interessati al tema a mettere su un qualcosa per captare l’attenzione di chi deve intervenire in questi casi però senza esito.

Senza esito perché il CPR di Corso Brunelleschi continua a recludere decine di persone, la situazione è pesantissima. Raccontavamo in apertura delle mancate cure date a una persona con un attacco epilettico e dell’intervento dei sui compagni di prigionia per salvarlo. È il quotidiano. Abbiamo visto però come a questo quotidiano le persone hanno continuato a rispondere salendo sui tetti, parlando con l’esterno, cercando in qualche modo di rompere il velo di menzogna e di invisibilità che riguarda lì dentro. Non si parla mai di quello che sono questi centri, accade solo quando muore qualcuno o se c’è una forte protesta che riesce a rompere il silenzio. C’è stato tantissimo coraggio da parte vostra nel raccontare ogni giorno la verità e noi siamo di quella parte di mondo che crede alle vostre parole e non a quelle delle autorità. Sappiamo che ti sei preso la responsabilità di prendere parola e sappiamo che ti è costato.

Personalmente ho provato a recarmi negli uffici di polizia all’interno del centro per presentare una denuncia, per mettere al corrente la procura. Mi è sempre stato risposto “Tu sei un clandestino, tu non hai il diritto di denunciare”.
Visto che avevo il telefonino con internet ho provato a entrare nei social e informare le persone per vedere se ci poteva essere un ausilio.
Le persone fuori hanno fatto tante cose, hanno parlato anche con dei parlamentari. Sono venuti due parlamentari che non sono neanche entrati nella struttura perché si sono limitati a parlare con la direzione e chi era lì mi ha raccontato che hanno parlato solo di stanziamento di fondi, non dei problemi delle persone che vivono nella struttura.
Tante cose sono successe davanti le forze dell’ordine. Ad esempio, quando arriva del cibo con i vermi dentro… se queste cose succedessero in un asilo nido, in una scuola, in una casa di riposo o in qualsiasi altro posto, sarebbero le stesse forze dell’ordine a denunciare.
Ma visto che il centro è nelle loro mani, a loro non interesserà mai di esporsi a una denuncia.

Noi abbiamo fatto delle fotografie, dei video, su quello che succedeva nel centro e abbiamo provato a diffonderle, a mettere al corrente l’opinione pubblica.
Non penso che la violenza piaccia alle persone. Questa violenza lì, all’interno del centro, è quotidiana. Tutti i giorni picchiano le persone.
Ho anche messo su facebook [un video] di un ragazzo che avevano picchiato e aveva perso 4 denti dopo le botte ricevute.
Tanti di questi episodi di abuso, mancato rispetto dei diritti delle persone.
Una volta entrato lì, e ti tengono anche sei mesi, dal primo giorno in cui entri fino a quello in cui esci non ti dicono più niente. Normalmente ogni mese deve esserci un’udienza di proroga che deve essere notificata alla persona interessata e se questa persona vuole presenziare all’udienza ha il diritto di poterlo fare. Ma lì fanno come vogliono. Sono stato anche denunciato perché hanno chiesto a un ragazzo di andare con loro negli uffici, ma visto che non l’avevano mai fatto con nessuno per la proroga ho detto al ragazzo “siamo qua quasi in 200 persone, non hanno mai chiamato nessuno, se ti chiamano chiediti il perché, è meglio chiamare il tuo avvocato prima di andarci”. Per questo fatto qua io sono stato denunciato per resistenza a pubblico ufficiale. Ho dato un parere, non ho insultato nessuno.

Succedono queste cose qui nella discrezionalità più completa, perché pensano che le persone non hanno contatti con l’esterno e che nessuno saprà cosa accade lì dentro. Questo è l’atteggiamento che utilizzano con chi sta nei centri di espulsione.

Certo, questo è dimostrato anche dal fatto che quando entri in questi posti ti prendono il telefonino e ti rompono la telecamera. Uno che non ha niente da nascondere non fa questi gesti qua. A loro non interessa che esca fuori quello che succede all’interno del centro perché loro possono parlare con i media, loro hanno voce in capitolo, e le persone che vengono recluse non hanno nessuna possibilità, non sanno neanche quello che gli aspetta.
Approfittano di tutti questi fattori per trattare le persone in modo veramente disumano.

Hai fatto riferimento alla questione che riguarda i telefoni cellulari. Non si possono fare foto e video. Per fortuna c’è qualcuno che si ingegna e riesce a far uscire qualche immagine.
A Roma c’è questa novità: hanno tolto proprio i telefoni alle persone recluse nella sezione maschile. A Torino ancora è possibile. C’è una discrezionalità enorme. Chi gestisce questi posti, ovvero la prefettura, ha dato il mandato sul sequestro dei telefoni cellulari con tutto quello che comporta: per sentire persone care, avvocati, avvisare all’esterno di emergenze bisogna passare per il telefono del centro di espulsione.

A Roma, a Ponte Galeria, ci sono due reparti. Nel reparto femminile possono avere il telefonino ma nel reparto maschile non possono. Appena entri ti prendono il telefonino e lo lasciano in magazzino fino al giorno in cui esci. Lì vendono delle schede, a 5 € l’una, che puoi usare con la cabina telefonica passando per un centralino.
Queste schede vengono acquistate regolarmente. Significa che se non hai soldi non puoi parlare con nessuno.

Quindi se hai delle persone care che vivono lontano e non puoi ricevere dei soldi significa che non puoi parlare con nessuno.

Questo è un grosso problema. Normalmente dovrebbero fare delle concessioni uguali per tutte le persone recluse. Non capisco la ragione per cui a Torino puoi avere il telefono e a Ponte Galeria non puoi avere il telefono. I maschi non possono avere il telefono quando le femmine possono avere il telefono.
C’è anche un altro fatto. All’interno del centro c’è una piccola struttura che usano come isolamento. Come un posto di punizione all’interno del maschile. Io ne sono uscito poco tempo fa e vorrei parlare di un episodio molto crudo al quale ho partecipato personalmente.
Ero vicino l’infermeria e c’era una ragazza piccola, avrà sui 22 anni, che è stata massacrata e umiliata come non ho mai visto prima. Una delle ispettrici con due agenti maschi si sono scagliati su questa piccolina come dei matti. Dopo questo fatto, io dovevo parlare con il medico, e ho visto che le hanno fatto una puntura, un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) quando non ne hanno il diritto.
Il TSO normalmente deve essere approvato dal sindaco. Fanno quello che vogliono, è il far west, fanno quello che vogliono. C’è una certa omertà, c’è una certa complicità di tutti quanti gli operatori che sono all’interno del centro.

Se si parla di legalità, giustizia, se ne può parlare così, quando le persone vedono. Però nei luoghi che le persone non vedono succedono queste cose qua.
Se le persone vedessero cosa succede, questi fatti crudi, sicuramente le persone non appoggerebbero mai. Si tratta di un bullismo di stato.

Ciò che racconti sul controllo psichiatrico a Ponte Galeria purtroppo è un fatto noto. Sono tante le testimonianze che raccontano di gente che cade in catalessi dopo le punture. È un fatto che non si può raccontare… quando uscì fuori (al tempo la cooperativa che gestiva Ponte Galeria era Auxilium, adesso è Albatros 1973) scattarono denunce e ci sono ancora indagini in corso che hanno già costretto a oscurare le pagine web che le avevano pubblicate.
Parliamo di Ponte Galeria, una struttura che ha riaperto a maggio con delle grandi novità. Prima era possibile mangiare insieme a mensa, c’erano luoghi di socialità, adesso ci sono sezioni separate, mura molto più alte, anche all’esterno sembra che 4 metri li hanno aggiunti.
Questo è il frutto delle commissioni di inchiesta, erano del PD, che hanno dato delle linee guida per ristrutturare in maniera adeguata questi luoghi. Al centro mettevano la questione della “vivibilità”, come se il divieto d’incontro, la separazione e le restrizioni non fossero strumenti di controllo. Questo non ha fermato le lotte. Ci sono state tre rivolte e una fuga di massa da maggio a oggi. Ti va di dirci, tu che sei stato lì dentro, com’è fatto questo centro di espulsione?

Più che aree io li chiamerei recinti. Le persone sono abbandonate a loro stesse, senza la possibilità di dire e fare niente senza il permesso degli operatori del centro.
Vivere nel centro è come se tu non hai più nessun diritto, lì il diritto non esiste.
Loro fanno come vogliono, quando vogliono, senza dover dare spiegazioni a nessuno. Non c’è nessun organo di garanzia al quale la persona che viene trattenuta lì dentro può rivolgersi per qualsiasi tipo di reclamo.
Tutto quanto è gestito lì e sono loro che hanno la possibilità di parlare con le istituzioni, con tutta la piramide dello stato. Non si può normalmente parlare con un giudice, loro sì. A loro basta fare una denuncia e fanno come vogliono.

Tante volte è arrivato del cibo malandato, con un odore nauseabondo, con dei vermi dentro o del cibo che non basta per tutti. Quando si tratta di psicofarmaci quelli non mancano mai. I ragazzi che entrano lì non hanno bisogno di fare neanche una visita psichiatrica per farsi prescrivere i farmaci. Per tenerli tutti quanti come degli zombi, incoscienti di quello che fanno, perché sicuramente non capiscono il danno che si stanno provocando, provano a cercare uno svago nell’assumere e abusare di psicofarmaci. Quando vuoi, vai da un operatore,  chiedi valium e rivotril, ti portano in infermeria e te li danno per tenerti sotto controllo.

Le botte tante volte vengono utilizzate perché c’è un distaccamento fisso della celere, 24 ore su 24, per qualsiasi tipo di intervento. Poi prendono le persone e le mettono in isolamento. L’isolamento nelle carceri è regolamentato. Un direttore del carcere può dare anche 15 giorni di isolamento a una persona, può prorogare, ci sono i magistrati di sorveglianza che devono motivare. Lì [nel CPR] invece fanno quello che vogliono e quando vogliono. Si svegliano la mattina, prendono una persona che non gli sta bene e lo torturano.
Anche lo zucchero è vietato, anche l’olio, non puoi ricevere del cibo cucinato dall’esterno, dai parenti. Non puoi avere un taglia unghie, una lametta per la barba, un telefonino, non puoi avere neanche una penna perché è considerata un’arma.

Cosa puoi fare durante il giorno lì dentro?

Non fai assolutamente niente. Non fai assolutamente niente. Fai passare il tempo, sapendo che è solo questione di tempo essere espulso o rilasciato. Stai lì aspettando.
Nel CPR di Torino c’è un fatto molto contraddittorio: normalmente vengono dati 2,50 € ogni giorno, per ogni detenuto. Con questi 2,50 € ci puoi comprare soltanto le sigarette e le schede telefoniche. Le persone che non fumano o non hanno un telefono, accumulano una certa somma di denaro che non gli viene data quando escono dal centro.

Soldi stanziati dal bando con la prefettura.

Tra questi soldi ci sono anche 15 € di cui poter usufruire per mandare raccomandate. Questo non lo permettono a nessuno. Quei soldi lì che si tengo, che fine fanno? A cominciare dalla polizia, un pubblico ufficiale ha l’obbligo di denunciare queste cose qua alla procura.
Ma non accade niente perché si tratta di loro tra loro: un prefetto, un questore e dei soldi da gestire. Sono soldi che gestiscono come vogliono, senza rendere conto a nessuno. Nessuno chiederà conto di dove sono i soldi.

Che cosa significa ricevere solidarietà dall’esterno quando si è imprigionati?

Io vorrei ringraziare le tantissime persone che mi sono state vicine. Senza di loro non avrei avuto la forza di andare avanti con questo ideale. Io penso che la libertà e la giustizia sono argomenti molto importanti ai quali le persone dovrebbero interessarsi. Senza le persone che hanno fatto dei presidi fuori, che mi hanno anche aiutato materialmente, non avendo nessuno che mi appoggiava all’interno, non ce l’avrei fatta. Penso che ci deve essere un coinvolgimento massiccio delle persone nel far rispettare i loro simili. Non abbiamo tutti quanti gli stessi mezzi, serve un documento per poter fare tante cose, questo documento se tu non ce l’hai sei nessuno. Grazie a tutte queste persone, mi auguro che proseguano su questa via.

Ti va di aggiungere altro?

Solo una cosa. Se per caso mi sta ascoltando qualcuno dei compagni che ho lasciato lì, forza a tutti, non mollare mai, avanti con la lotta.

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