Storie di accoglienza

Sulle migrazioni e sulla gestione del sistema di accoglienza da anni si producono inchieste, saggi, articoli, tesi universitarie, libri, dibattiti televisivi, reportage.
Il fulcro di tutti questi scritti è sempre e solo uno: come gestire le persone che arrivano in Italia? Le risposte divergono ovviamente tra razzisti e antirazzisti, tra chi vuole centri grandi o piccoli e “diffusi”, controlli più o meno severi sulle persone che vivono nei centri, una gestione locale o centralizzata, pubblica o privata, un controllo del funzionamento di questi centri dall’alto o dal basso, etc. etc.

In tutti i casi, non si chiede mai il parere delle persone che dovrebbero essere “accolte”, e questo né prima, né al termine del percorso di accoglienza, che per i/le più si conclude dopo anni con un respingimento della domanda d’asilo che li/le obbliga a sopravvivere da “irregolari”. I loro bisogni e desideri sono cancellati, il loro punto di vista censurato, le proteste silenziate, perché l’autodeterminazione deve cedere il passo alla benevolenza umanitaria e interessata di chi deciderà sulle loro vite: legislatori, poliziotti, gestori dell’accoglienza, sindaci, operatori, membri delle commissioni d’asilo, giudici, magistrati, assistenti sociali.

È per questo motivo che troviamo interessante condividere questo articolo, dove, caso più unico che raro, due persone possono raccontare le loro esperienze nel limbo dell’accoglienza e trarne un bilancio.

“Blessed e Wisdom hanno in comune una buona parte del loro viaggio verso l’Europa: partiti entrambi dalla Nigeria, hanno attraversato il Niger, conosciuto l’arsura del Sahara e poi le sofferenze della discriminazione e della carcerazione in Libia. A Tripoli si sono incontrati sul gommone che li avrebbe trasportati fino alle coste italiane; un viaggio che avrebbe dato vita a un’amicizia, corroborata dal freddo dei monti delle valli orobiche prima e delle strade cittadine bergamasche poi.

Nel maggio 2017 sono attraccati a Vibo Valentia e in pochi giorni sono stati trasferiti dall’hotspot calabro al comune di Urgnano, nella pianura bergamasca; trascorse tre settimane hanno di nuovo raccolto i loro pochi averi per essere ricollocati nel Centro di Accoglienza Straordinaria istituito a San Simone (Valleve), località sciistica bergamasca nell’alta Valle Brembana, caduta in disgrazia a seguito del fallimento della società Brembo Super Ski, ente gestore degli impianti sciistici. Convertito a Centro d’accoglienza, l’albergo affacciato sulle piste avrebbe dovuto sopperire alla mancanza di posti nelle strutture ordinarie di accoglienza; di fatto, i suoi ospiti hanno trascorso qui più di tre stagioni, prima della chiusura definitiva della struttura.

Abbiamo chiesto a Blessed e Wisdom, rispettivamente di 25 e 28 anni, che in comune hanno anche la revoca dell’accoglienza e quindi l’espulsione dal sistema dei centri per richiedenti asilo, di condividere con noi idee e opinioni sull’ospitalità italiana e di raccontarci le loro esperienze dal Centro di San Simone a oggi.

Quanto è durata la tua permanenza nel Centro di Accoglienza di Valleve e perché ne sei stato allontanato? Dove vivi ora?

Blessed: «Ho trascorso a Valleve 5 mesi. A novembre sono stato allontanato dal Centro per un litigio con un altro ragazzo: era un periodo di forte nervosismo, perché arrivava l’inverno e noi ci vedevamo sepolti nella neve di San Simone. Una discussione futile è bastata a scatenare la rabbia di entrambi e il ragazzo è finito in ospedale con il setto nasale leggermente deviato. Ho trascorso due mesi alternando la vita in strada a brevi soggiorni in casa di alcuni ragazzi italiani che hanno deciso di aiutarmi, finché una di loro, trasferendosi in una casa spaziosa, mi ha accolto e ha compilato per me la Dichiarazione di ospitalità».

Wisdom: «Ci era stato garantito che non avremmo trascorso in quel centro più di 5 mesi, poi i tempi sono andati aumentando e la risposta della Cooperativa era sempre che “presto ci avrebbero trasferiti”. All’ennesima promessa disattesa, a febbraio 2018 abbiamo organizzato una manifestazione pacifica per chiedere di essere trasferiti: abbiamo bloccato la strada ai turisti, permettendo l’accesso solo ai bambini delle scuole e ai mezzi spalaneve; in pochi giorni sono arrivati i trasferimenti per la maggior parte di noi ospiti e io mi sono ritrovato a Urgnano e poi a Botta di Serina. Dopo due mesi, però, è arrivato per tutti i manifestanti l’avviso di revoca delle misure di accoglienza e abbiamo dovuto lasciare i vari Centri. Ora vivo per lo più con un connazionale, con documenti regolari, con cui divido le spese di affitto e bollette, ma sempre come ospite in una casa non mia: non ho le chiavi dell’appartamento e non posso aver intestato alcun contratto».

Cosa pensi del Sistema di Accoglienza italiano?

Blessed: «La sensazione, vivendo nei Centri di Accoglienza, è di essere un morto vivente. Non puoi prendere per te stesso neanche le decisioni più semplici: qualcuno stabilisce cosa mangi, come ti vesti, con cosa ti lavi. Non puoi muoverti liberamente, soprattutto se il Centro è isolato come a Valleve; non puoi cercarti un lavoro, ma al contempo sei obbligato a fare lavori gratuiti senza che nessuno ti ringrazi, anzi dovendo esser tu a ringraziare».

Wisdom: «Gli europei usano gli africani per business. Non ci viene data la possibilità di capire il sistema italiano, né le leggi che lo regolano; veniamo trasportati in questi Centri dove certo veniamo aiutati sulle necessità basilari, ma non abbiamo la possibilità di capire la nostra situazione e veniamo ricoperti di promesse, soprattutto sui tempi e sulle dinamiche per avere i documenti, che sono false. Sarebbe più giusto che ci venisse lasciata dell’autonomia».

Che impressioni hai ricevuto dalle persone incontrate in strada?

Sia Wisdom sia Blessed sottolineano quanti connazionali irregolari siano presenti sul nostro territorio: «Incontro persone nelle città italiane che vivono in Europa da 4/5 anni senza aver mai avuto un Permesso di Soggiorno, alcuni non sono mai stati convocati dalla Commissione Territoriale, altri hanno ricevuto esito negativo. Senza documenti non possono lavorare, né andare a scuola, né stipulare un contratto d’affitto, però rimangono qui perché tornare indietro è impossibile: la libertà che c’è qui non la ritrovi nella situazione che hai lasciato e il viaggio per l’Europa si è già mangiato tutti i tuoi risparmi e ha riempito la tua famiglia di aspettative». Continua a leggere

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Torino – Proteste nel CPR di Corso Brunelleschi

fonte: Macerie
La lotta non ha inverno

A pochissimi giorni dal corteo contro il decreto Immigrazione e Sicurezza, torna a farsi sentire la voce di chi subisce in maniera più massiccia le politiche di questo infame governo. Lunedì scorso nel Cpr di corso Brunelleschi i reclusi hanno dato inizio ad uno sciopero della fame contro le condizioni di detenzione e in particolare contro la mancanza di acqua calda nella struttura. In alcune aree il cibo, oltre a essere rifiutato, è stato lanciato contro la polizia accorsa per controllare la situazione. In serata è anche arrivata la notizia che un recluso ha tentato di suicidarsi con una corda, al momento si trova ricoverato nell’ospedaletto interno alla struttura e siamo in attesa di avere aggiornamenti. Infine nella mattinata di martedì le forze dell’ordine hanno fatto incursione in tutte le aree per effettuare una perquisizione, pare a caccia di accendini.

I giornali parlano di rivolta sventata e accostano la notizia, in modo del tutto arbitrario, allo sgombero delle cantine dell’Ex Moi avvenuto lo stesso giorno, come a voler mostrare l’efficienza di un intero apparato repressivo, in ogni suo passaggio… un’efficienza che però può essere sempre incrinata.

Ma le grida di rabbia miste a disperazione di chi da mesi è chiuso in quelle gabbie non tarda a riemerge e appena un giorno dopo, mercoledì 19, quattro reclusi dell’isolamento ancora in sciopero della fame decidono di fermarsi al campetto rifiutandosi di rientare, mentre un loro compagno è arrampicato sul tetto della sezione isolata. Protestano contro le condizioni di detenzione della loro specifica sezione, più gravi seppur molto simili a quelle delle altre aree.

Nella serata un gruppo di solidali decide di dare manforte sotto le mura, con trombe e megafono per esprimere la propria vicinanza e cercare di infondere un po’ di forza. Nel frattempo ci ha pensato la neve a far demordere i cinque reclusi che stavano protestando, una coltre bianca per ora ha coperto una rabbia tutt’altro che sopita.

Qui potete trovare le parole di un ragazzo che ha partecipato alla protesta dal campetto, in diretta su RadioBlackout.

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Roma – Aggiornamenti sullo sciopero della fame nel CPR di Ponte Galeria

Riceviamo e pubblichiamo. Per scriverci e inviarci contributi hurriya[at]autistici.org

Sono giorni di fuoco nei centri di detenzione per persone senza documenti. Dopo le proteste dei giorni scorsi scoppiate nei Cpr di Bari Palese e Palazzo San Gervasio contro la deportazione di alcune persone verso la Nigeria, apprendiamo che oggi 18 Dicembre tutte le donne recluse a Ponte Galeria hanno deciso collettivamente di rifiutare i pasti, spinte dal cibo scadente e sempre uguale che propinano loro e, più in generale, dalla violenza della detenzione che vivono quotidianamente.
Come spesso accade in questi casi, operatori della struttura e forze dell’ordine hanno intimidito le recluse con la minaccia del rimpatrio e dell’allungamento dei tempi di detenzione. Raccontano anche che il medico di turno nel lager si sarebbe rifiutato di visitare alcune di loro che hanno accusato lievi malori.
Queste modalità ci riportano alla mente l’episodio di un altro sciopero della fame dello scorso anno, quando i medici si rifiutarono di somministrare i farmaci richiesti al fine di costringere le recluse a porre termine alla protesta.

A cena lo sciopero collettivo è stato interrotto ma alcune donne hanno continuato a rifiutare il cibo.
Sosteniamo le lotte delle persone migranti rinchiuse nei centri di permanenza per il rimpatrio e nei centri di accoglienza. Contro la reclusione, la gestione e il controllo delle persone, e tutto il business che c’è dietro.

Ribadiamo l’appuntamento di domenica 30 Dicembre contro il CPR di Ponte Galeria
Appuntamento ore 15:30 davanti alle mura di quell’infame lager (fermata Fiera di Roma)

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Gap – Aggiornamento sul processo per i/le 3+4 di Briançon

Fonte: Chez Jesus – Rifugio Autogestito

AGGIORNAMENTO PROCESSO  per i/le 3+4 di Briançon

Il 13 dicembre a Gap il giudice ha confermato le richieste del pm condannando i/le 7 di Briançon per la marcia solidale del 22 Aprile.

6 mesi con condizionale per Eleonora, Lisa, Théo, Benoit e Bastien.

12 mesi di cui 4 di prigione e 8 di “sospensione di pena” per Mathieu e Juan, più due anni di “messa in prova”.

SU QUEI SENTIERI C’ERAVAMO TUTTE

CONTRO TUTTE LE FRONTIERE

TUTTI/E  LIBERI/E!

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Francia – Comunicato dei prigionieri del centro di detenzione per persone migranti di Vincennes

Traduzione da: Paris Luttes

Lo scorso 14 dicembre alcuni prigionieri del centro di detenzione per persone migranti di Vincennes hanno deciso di fare pervenire al di fuori dal carcere le loro parole e le loro rivendicazioni.

Nelle prigioni per gli/le stranierx ci sono sempre state rivolte individuali o collettive, scioperi della fame, resistenze contro le deportazioni, atti e pensieri di solidarietà.

Nel quotidiano queste lotte restano invisibili, e quando i/le prigionierx cercano di rivoltarsi si trovano di fronte la polizia e lo stato … sosteniamo chi si ribella! Mostriamogli la nostra solidarietà.

Qui di seguito il comunicato dei compagni di Vincennes:

“Siamo dei prigionieri del centro di detenzione amministrativa di Vincennes, nella banlieue parigina.

Chiediamo che venga applicato il diritto per quelli e quelle che vogliono lasciare il paese, un vero accesso alle cure quando necessario e la continuazione dei trattamenti medici per quelli e quelle che ne hanno bisogno. Noi domandiamo prima di tutto la liberazione di tutte le persone detenute.

Noi non siamo state arrestate per quello che abbiamo fatto ma per quello che lo stato ha deciso che noi saremo: persone senza documenti (sans papiers).

Nella prigione di Vincennes ma anche prima, durante gli arresti o nei commissariati, la violenza, sia essa fisica o morale, è una prassi quotidiana.

Noi rifiutiamo la maniera in cui le persone sono deportate con la forza, spesso in maniera molto violenta. Recentemente ancora un prigioniero è stato riempito di botte prima che la polizia tentasse di espellerlo.

Quando qualcuno non ha più alcuna soluzione, tranne quella di farsi del male per essere liberato, non ha accesso ad alcuna cura, non è portato in ospedale. Qui tutti i giorni, ci viene ricordato che non siamo niente per lo stato francese.

Contro la detenzione perché siamo dei/delle sans papiers, una detenzione che distrugge le nostre vite e detiene anche le nostre famiglie e i/le nostrx carx con noi.

Dei prigionieri del CRA di Vincennes 14/12/2018”.

Domenica 16, centinaia di persone migranti e solidali hanno manifestato di fronte la Comedie Française. Nel loro comunicato si legge: “Noi siamo gli/le abitanti di posti insalubri o che vivono in strada. Tra noi ci sono immigrati e loro bambinx, senza documenti, stranierx rastrellatx, umiliatx, deportatx, sfruttatx, mutilatx dalle frontiere o alla prefettura. […] Continua a leggere

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UK – I/le Stansted 15 rispondono al verdetto di colpevolezza. Oggi iniziative solidali in 17 città

Traduzione da: End Deportations

L’11 dicembre si è svolta a Londra davanti al Ministero degli Interni una manifestazione di solidarietà con i/le 15 persone che a  Stansted nel marzo 2017 bloccarono un volo di deportazione di massa verso la Nigeria, il Ghana e la Sierra Leone. I/le 15 sono statx ritenutx colpevoli dalla giuria, in applicazione della legge antiterrorismo.

Qui di seguito la risposta del gruppo:

Il Ministero degli Interni avrebbe dovuto essere sul banco degli accusati, non noi: Stansted 15 risponde al verdetto di colpevolezza.

I/le manifestanti Stansted 15, che hanno impedito il decollo di un volo di deportazione lo scorso marzo, sono statx dichiaratx colpevoli oggi [10 dicembre 2019 N.d.T.] di aver violato le leggi sul terrorismo. Dopo 9 settimane, la giuria ha giudicato tuttx i/le 15 imputatx colpevoli di interruzione intenzionale dei servizi e messa in pericolo di un aeroporto, secondo quanto prescritto dall’ Aviation and Maritime Security Act del 1990 – un uso controverso della legge relativa al terrorismo.

I/le Stansted 15 sono accusatx dal governo di aver messo a rischio la sicurezza dell’aeroporto e dei passeggeri, un’accusa respinta da tutti gli/le imputatx. Il processo ha fatto seguito a un’azione pacifica che ha impedito a un volo di deportazione di massa di decollare nel marzo 2017. La sentenza avrà luogo il 4 febbraio.

Rispondendo al verdetto in un comunicato i/le 15 Stansted hanno dichiarato:

“Siamo colpevoli solo per essere intervenutx per prevenire i danni. Il vero crimine è la viltà del governo, gli inumani e poco legali voli di deportazione, l’uso senza precedenti della legge anti terrorismo per reprimere una protesta pacifica.

Dobbiamo sfidare questo scioccante uso di una legislazione draconiana e continuare a chiedere la fine immediata di questi voli charter di deportazione segreti e un’inchiesta indipendente pubblica sull’ “ambiente ostile” attuato dal governo [con l’espressione “hostile environment policy” si intendono le misure amministrative e legislative volte a rendere difficile la permanenza nel paese delle persone senza permessi di soggiorno N.d.T.].

Giustizia non sarà fatta fino a quando non saremo assoltx e il Ministro degli Interni sarà tenuto a rendere conto del pericolo in cui mette le persone ogni giorno. Mette in pericolo le persone quando fa irruzione all’alba nelle loro case, nei centri di detenzione e in questi voli brutali. Il sistema è fuori controllo. È scorretto, ingiusto e illegale e deve essere fermato”. Continua a leggere

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Torino – Racconto e impressioni dal corteo di sabato 15 contro il DL Immigrazione e Sicurezza e in solidarietà ad Antonio

fonte: Macerie

Via Botero, via Bertola, piazza Arbarello e via Garibaldi. Dai litigi convulsi degli agenti della polizia politica arrivati fino all’orecchio di qualche compagno, il corteo partito sabato da piazza Solferino non avrebbe mai dovuto raggiungere la via dello shopping nel bel mezzo di un sabato pre-natalizio, anzi nessuno sarebbe proprio dovuto arrivare fino al concentramento.

Forse credevano di fermare tutti alla spicciolata, come hanno fatto con alcuni compagni che arrivavano da Bolzano e che hanno tenuto in questura qualche ora, o di impedire l’ingresso alla piazza con un immenso cordone di caschi blu che ostruiva tutte le strade. Peccato per loro che circa cento persone fossero partite da Porta Palazzo e al concentramento ci siano arrivate con cori, grida e uno strisione già aperto.. Non se lo aspettavano e, nonostante il tavolo di pubblica sicurezza organizzato per l’occasione e gli infiniti mezzi a disposizione, questa sorta di pre-corteo è riuscito ad arrivare all’incrocio tra via Pietro Micca e via Cernaia, dove davanti a una piazza Solferino insolitamente blindata ha dovuto fermarsi e ripensare il concentramento proprio in mezzo alla strada, unico angolo lasciato libero dai cordoni di celerini.

Dopo un’oretta si è deciso di deciso di partire prendendo la via del Quadrilatero. La conformazione della città vecchia  rallenta i mezzi dell’antisommossa e aiuta gli audaci: vie strette, alcune prese in contromano e con cambi di direzione e les jeux sont faits, ecco il cuore del centro. L’obiettivo di questa manifestazione contro il Decreto Sicurezza di Salvini e contro la Sorveglianza Speciale di Antonio, era del resto proprio sfilare arrabbiati nelle vie della vetrina natalizia, fare un po’ di casino in questo grande meccanismo di distrazione generale mentre a qualche km di distanza c’è chi viene sfrattato, poco più in là qualcuno deve camminare guardandosi le spalle perché non ha i documenti in regola, dentro a qualche ristorantino una ragazza lavora dieci ore al giorno per 350 euro di borsa-lavoro e e si deve sentire grata di questa nuova schiavitù.

L’ingresso in via Garibaldi è veloce, tra i passanti incuriositi e a tratti sgomenti nel vedere questo blocco molesto che vergava scritte sui muri dei negozietti e imbrattava le vetrate di una filiale di Intesa San Paolo. Poi solito teatrino, celere schierata e minacciosa a interrompere il flusso di passanti e via che si riparte presi bene verso Porta Palazzo.

Giunti oramai alla fine del percorso, l’ingresso al mercato di Porta Pila ha aggiunto un sapore nostrano alla manifestazione. Molti interventi si sono susseguiti sugli imminenti progetti di riqualificazione della piazza: da quello che sta schiacciando i venditori di scarpe per fare posto al nuovo Mercato Centrale per turisti e amanti del gourmet a quello di piazza della Repubblica 12, dove gli inquilini sono finiti sotto sfratto per far posto a un ostello di lusso. Nel mentre i vetri del Palafuksas sono stati imbrattati e i cartelloni pubblicitari del futuro ostello sono stati strappati dalle impalcature. Un’altra voce ancora ha ricordato i morti al confine italo-francese e la lotta che si sta portando avanti nelle montagne vicino a Torino contro questo meccanismo di gestione e repressione della popolazione migrante. Una lotta a oggi rilanciata dalla neonata occupazione di Oulx, in barba proprio al famigerato decreto che ha aumentato i minimi e i massimi penali per chi decide di prendersi una casa e uno spazio di lotta.

La manifestazione ha infine attraversato corso Giulio Cesare, nel tratto più martoriato dalle retate contro i clandestini, mentre il blocco compatto aveva oramai superato le quattrocento persone, con alcuni passanti aggregati proprio transitando dal mercato.

“Il DL Salvini colpisce tutti, RIBELLIAMOCI!” – è l’ultima scritta lasciata per terra all’incrocio con corso Brescia, alla fine del percorso.

E questo è forse uno dei messaggi più importanti che occorre mandare in questo momento, perché questo governo sta dimostrando di voler fare la guerra a tutti e tutte le persone sfruttate che potrebbero alzare la testa, italiane e straniere. Mandare un messaggio che una lotta dura è possibile e non possiamo cedere alla paura, alla guerra tra poveri solo perché lo Stato e i padroni sembrano troppo difficili da combattere.

Durante tutto il tragitto il nome di Antonio è stato urlato di continuo, compagno da sempre impegnato nelle lotte in questa e altre città, costretto a due anni di Sorveglianza Speciale per tentare di fiaccare la sua voglia di combattere. Una misura preventiva che si sta sempre più affinando per sedare i barlumi di opposizione radicale a questo mondo, ma davanti alla quale abbiamo ribadito che non siamo disposti a subire in silenzio.

Un corteo che sicuramente non è stato in grado di fare quello che questi tempi difficili richiedono, ma d’altronde si tratta solo di un piccolo evento all’interno di un spinta alla lotta e al conflitto che si cerca di sostanziare giorno dopo giorno, tra compagni e sfruttati. Un corteo lontano dalle sigle e dalle bandiere di qualsivoglia natura e che voleva semplicemente unire tutte quelle persone che in questo momento sentono la spinta a mostrare una opposizione pratica alle politiche di questo governo e al presente di lacrime e sangue che ci hanno impacchettato.

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Palazzo San Gervasio (Pz) – Rivolta nel CPR contro le deportazioni

Un volo di deportazione verso la Nigeria, programmato in questi giorni, ha provocato, oltre che a Bari, la reazione e la rivolta anche nel centro di permanenza per i rimpatri di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza.

All’una della scorsa notte l’irruzione delle forze dell’ordine nelle celle per prelevare 6 persone (da trasferire al CPR di Ponte Galeria a Roma al fine della deportazione) si è trovata di fronte alla resistenza solidale di almeno 15 loro compagni di prigionia. Come in episodi precedenti, i reclusi hanno divelto le finestre, distrutto i fari d’illuminazione e si sono arrampicati sui tetti della struttura, lanciando oggetti per difendersi dai tentativi di cattura. Purtroppo la rivolta si è conclusa con l’arresto di due persone, accusate di violenza e resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato.

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Fuoco e scontri nel CPR di Bari Palese

Aggiornamento del 18 dicembre. Da un singolo articolo di giornale apprendiamo di una nuova protesta nel CPR. Domenica 16 dicembre alcuni reclusi avrebbero dato fuoco a due materassi, danneggiando uno dei sei moduli/aree presenti nel lager di Bari Palese e rendendo necessario l’intervento dei vigili del fuoco. Non risulterebbero feriti.

Nella notte tra il 14 e 15 dicembre nel Centro di Permanenza e Rimpatrio di Bari Palese è scoppiata una rivolta, a pochi giorni da un tentativo di evasione di massa.

Secondo le dichiarazioni delle forze dell’ordine alla stampa, alcuni reclusi hanno incendiato le celle, devastato alcune stanze contenenti documenti e allagato i corridoi.
I media ovviamente parlano di “ospiti” che hanno distrutto “moduli abitativi”, come se non si trattasse di un campo di concentramento.

La rivolta sarebbe scoppiata per evitare una deportazione di massa in Nigeria, prevista in serata. Le informazioni che circolano al momento parlano di detenuti cosparsi di sapone per evitare di farsi bloccare, così come di acqua insaponata per impedire alle fdo di compiere cariche sui pavimenti scivolosi.

Sul posto sono giunte diverse pattuglie delle Forze dell’Ordine che hanno attaccato i rivoltosi, i quali hanno provato a resistere lanciando alcuni oggetti.

Per ora si parla di un poliziotto, due carabinieri e diversi reclusi feriti. L’incendio è stato domato dai vigili del fuoco che hanno operato con alcune squadre. I danni alla struttura non sono ancora stati quantificati ma sembrerebbe che l’incendio abbia coinvolto molte parti del Lager.

Finché dei CPR non restino che macerie, sosteniamo la lotta delle persone recluse.

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Oulx – Domenica 16 dicembre apertura del nuovo rifugio autogestito

Fonte: Passamontagna

DOMENICA 16 DICEMBRE
APERTURA DEL NUOVO RIFUGIO AUTOGESTITO – ex Casa Cantoniera di Oulx, Via Monginevro 97
ORE 13 – Pranzo condiviso e vin brulé a sostegno dei lavori
A SEGUIRE – Aggiornamenti dalla frontiera e presentazione dello spazio
ORE 16 – Musica
PS – Tutti e tutte benvenute a passare a dare una mano nei lavori!
Qui la locandina in lingua francese.

Fonte: Passamontagna

SUL NUOVO RIFUGIO AUTOGESTITO E LE VOCI CORRELATE

La casa cantoniera rivive da nemmeno una settimana. Una settimana di grandi pulizie e ricostruzioni, dato che l’edificio era abbandonato da quasi trentanni (come spesso accade agli edifici pagati con i soldi della comunità), e in stato di semi-distruzione. Le pubbliche autorità donano così un altro esempio- davvero comune- di “efficiente” gestione delle risorse territoriali.

Questa casa vuole essere un rifugio autogestito per tutte quelle persone che vogliono oltrepassare la frontiera, e per coloro che non credono che questo dispositivo di controllo e selezione debba esistere: tutti e tutte, vecchie e giovani, dovrebbero avere la possibilità di decidere liberamente su che pezzo di terra poter vivere, di autodeterminare la propria vita, indipendentemente da quale sia il loro status giuridico scritto su un pezzo di carta o dalla quantità di soldi nel conto in banca.

Per questo vorremmo rispondere brevemente a tutte le cose dette e scritte dai giornali su questa nuova occupazione, per smentire le falsità e le calunnie riportate e spiegare la situazione attuale. Continua a leggere

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