San Ferdinando – Prosegue la lotta di chi vive in tendopoli: l’autorganizzazione risponde a abusi e repressione

fonte: Campagne in lotta

Oggi noi, gli e le abitanti della tendopoli di San Ferdinando abbiamo organizzato una manifestazione perché siamo stanchi e stanche di abusi, di repressione e di false promesse mai mantenute da parte delle istituzioni.

Abbiamo bloccato la strada e abbiamo così ottenuto un incontro con il sindaco. Al comune abbiamo presentato un documento in cui abbiamo scritto le nostre richieste: casa e documenti per tutti, basta con le tendopoli e che tutti i nostri diritti in materia di salute e lavoro vengano rispettati. Abbiamo anche ribadito che non vogliamo più repressione da parte delle forze dell’ordine contro di noi e contro chi ci sta vicino.
Il sindaco, come ogni volta, ha evitato di dare risposte chiare e ha affermato di non essere il responsabile della baraccopoli, ma alla domanda “e di chi è quindi la responsabilità?” ha risposto “Non lo so”.

È chiaro che anche se noi siamo gli abitanti e i lavoratori di questo posto sono altri che decidono sulle nostre vite. Le parole del sindaco hanno riconfermato la certezza di uno sgombero imminente senza peró volerci dare i tempi né tantomeno le alternative abitative che stanno preparando. Ha anche negato la possibilità per chi vive in baraccopoli di avere la carta d’identità, un diritto che dovrebbe essere di tutti.

Di fronte alla nostra insistenza ha concesso un incontro in tendopoli domani alle 4, a cui parteciperà anche il commissario di Gioia Tauro per parlare della questione dei documenti. Siamo usciti dall’incontro convinti più che mai che dalle istituzioni non avremo altro che parole vuote e che dobbiamo continuare a lottare, prendendoci ció che ci spetta.
Andremo avanti fino alla fine!

Ascolta qui una delle corrispondenze radiofoniche di questa giornata di lotta.

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Roma – Sul rastrellamento al campo rom di Castel Romano

riceviamo e diffondiamo:

Questa mattina ingenti forze di Polizia e Polizia Roma Capitale, con volanti, fuoristrada , unità cinofile e camionette, si sono presentate al campo Rom di Castel Romano per dar via al tanto sbandierato censimento voluto dal ministro degli interni Salvini. Le modalità di esecuzione degli ordini sono state semplici: prelevare da tutti i container i residenti, radunare adulti e minori al centro del piazzale del campo e, documenti alla mano, fotografare stile foto segnaletica persona per persona. Il tutto è durato diverse ore, con i bambini piccoli rimasti nei container separati dalle mamme, con la polizia che bloccava chi doveva dirigersi al lavoro facendogli subire umiliazioni e mortificazioni ,ironizzando sul fatto che”uno zingaro lavorasse” . Infatti dal racconto di chi ha subito questa schedatura emergono provocazioni da parte delle forze dell’ordine, forti del fatto che ora ”c’è Salvini” come i gendarmi hanno spesso ripetuto nella mattinata.

Il campo Rom di Catel Romano è un’isola in mezzo al nulla, confinante con campi di terra bruciata e la strada regionale Pontina, voluto dall’ex sindaco di Roma Alemanno e praticamente condanna i suoi residenti a una realtà di emarginazione e ghettizzazione: non vi sono servizi adiacenti facilmente raggiungibili senza macchina e non vi è garantita nessun tipo di socialità.

L’isolamento geografico e sociale ha permesso che l’operazione di schedatura avvenisse lontano dagli occhi degli altri cittadini , anche se di questo se ne parlerà come un’operazione indolore e necessaria, come editto salviniano pretende.

Questo cosiddetto ”censimento” si inserisce nel puzzle della politica anti migrante del Ministro Salvini, con i cinquestelle al seguito che assecondano il carrozzone razzista. Una propaganda anti povero, più che anti straniero, che passa dai controlli e dai sequestri sulle spiagge dei venditori ambulanti, ai blocchi delle navi cariche di migranti naufraghi. Politica atta più a distogliere dalle vere cause della crisi che colpisce in base al ceto e non al colore della pelle, e dal fatto che il partito leghista della legge e dell’ordine debba restituire 50 milioni di euro di fondi pubblici trafugati dai suoi precedenti amministratori.

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Colle del Monginevro – [dal 19 al 23 settembre] Cinque giorni di lotta contro le frontiere

fonte: Passamontagna

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Bruxelles – 21 / 22 / 23 settembre, tre giornate in ricordo di Semira Adamu

Il 21, 22, 23 settembre a Bruxelles e in tutto il Belgio si ricorderà l’assassinio di Semira Adumu, una migrante uccisa dalla polizia nel 1998 durante un tentativo di espulsione. 

Qui di seguito pubblichiamo la traduzione in italiano dell’appello a partecipare attivamente all’organizzazione della tre giorni di lotte.

                                                  Semira Adamu 1998 

                                   Hanno ucciso una donna, non la sua lotta!

 Il 22 settembre 1998, durante il sesto tentativo di espulsione, Semira Adamu è stata assassinata, soffocata con l’aiuto di un cuscino da alcuni poliziotti che agivano in conformità alle tecniche di espulsione definite dallo Stato.

Richiedente asilo respinta, Semira aveva solo 20 anni. Dal centro di detenzione 127bis in cui era reclusa, Semira comunicava con il Collettivo contro le espulsioni: raccontava del funzionamento delle prigioni e informava delle espulsioni delle/degli altri/e compagni/e detenuti/e. 

Semira incarnava, alla sua maniera, la lotta delle donne per la loro dignità e la resistenza alle disumane politiche d’asilo e di migrazione (inumane). Lo Stato si è impegnato a farla tacere.  Continua a leggere

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Egitto – La compagna Mahienour al-Masry è stata bloccata all’aeroporto del Cairo

Mahienour al-Masry è stata fermata dalle forze dell’ordine all’aeroporto del Cairo. Alla fine dell’interrogatorio – in maniera del tutto arbitraria – le è stato sequestrato il passaporto. L’ennesimo sopruso nei confronti di una compagna che nonostante tutto (è stata detenuta per due volte) continua a lottare e resistere.
Qui di seguito la traduzione del comunicato che lei stessa ha pubblicato su internet.

Buongiorno,
due giorni fa mentre ero di ritorno dal Sud Africa ho trovato il mio nome scritto nella blacklist dell’Aeroporto.
Non è la prima volta che vengo fermata all’entrata o all’uscita dall’aeroporto perché faccio parte di quella lista. Di solito vengo duramente perquisita e interrogata se porto con me libri o “manifesti”. Tutti noi sappiamo quanto è astuto il nostro stato. Io non mi sono mai sottratta alle perquisizioni.
Questa volta, il 15 luglio, hanno perquisito me e la mia borsa. Mi hanno fatto aspettare 3 ore e poi sono stata portata all’ufficio dei servizi segreti dell’aeroporto del Cairo.
Il mio passaporto è stato confiscato e mi hanno chiesto di andare all’ufficio dei servizi segreti di Alessandria.
Non ho nessuna accusa, non ho nessun processo in corso, non ho il divieto di viaggiare. Niente di quello che hanno fatto era legale, solo un abuso di potere. Mi sono rifiutata di andare a prendere il passaporto dai servizi segreti di Alessandria e li ho informati che non sarei andata a ritirarlo.
Gli scagnozzi dei servizi segreti che rapiscono, torturano e impongono processi ai/alle cittadinx, interrogano le persone anche quando sono innocenti, le detengono illegalmente nelle stazioni di polizia in libertà vigilata, ora decidono illegalmente di impedire alle persone di viaggiare.
Personalmente ho deciso di affrontare tutto ciò, anche se sono perfettamente consapevole che non stiamo in uno stato di legge, ero solita andare a ribadire che noi non abbiamo paura dei loro imbrogli. Tuttavia questa volta ho deciso di non andare in quella che chiamano “sicurezza di stato”, anche se questo può significare che non potrò più viaggiare. Mi piace vivere qui!

La prima cosa che ho fatto è una relazione all’ufficio del procuratore generale (al-muhamy al-‘amm) in cui ho descritto quanto mi è successo. E continuerò su questa strada fino alla vittoria. Basta soprusi della sicurezza di stato fino a questo punto.
Sono consapevole che ci sono altrx nella stessa posizione e anche peggio, dunque uniamoci e affrontiamoli insieme, la paura è mortale e l’opposizione è l’unica via.
Rifiuto il potere di questi scagnozzi dello stato e il silenzio non è una risposta.

Abbasso il governo dei militari!
Basta soprusi della sicurezza di stato!

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Ormai i 7 di Briançon..

fonte: Chez Jesus

Ieri nel tardo pomeriggio, sono stati rilasciati dalla garde a vue a cui erano sottoposti, i 4 compagn* che erano stati chiamati a presentarsi in mattinata alla gendarmerie di Briançon. Escono con una convocazione al processo di novembre insieme a Ele, Thèo e Bastien, per aver partecipato alla marcia del 22 aprile da Claviere e accusati di favoreggiamento all’emigrazione clandestina in banda organizzata. Uno dei 4 è accusato anche di resistenza per essere sfuggito ad un pestaggio a freddo da parte della polizia quando ormai il corteo era già concluso.

Durante le convocazioni si è svolto un presidio sotto la gendarmerie da parte dei solidali e delle solidali aspettando il rilascio dei 4. In tarda mattinata il presidio si è trasformato in un corteo spontaneo, ricco di interventi e volantini, che ha bloccato per un’ora le strade di Briançon per ribadire che la solidarietà non si arresta e che quel giorno, su quei sentieri, c’eravamo tutt*.

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Briançon – Martedì 17 luglio ore 8:30 presidio solidale alla Gendarmerie contro la repressione

fonte fb

LA « FRATERNITE’ » NON DEVE AVERE FRONTIERE
giriamo da Tous Migrants (https://www.facebook.com/events/637087423333905/)

Martedì 17 luglio almeno 4 persone sono convocate per una garde-à-vue alla Gendarmerie di Briançon. Il motivo: “aver aiutato l’entrata di stranieri in situazione irregolare sul territorio francese in banda organizzata”, in occasione della marcia solidale del 22 aprile 2018.
Questa convocazione collettiva s’inserisce nel contesto di un’inchiesta aperta durante il processo dei “3 di Briançon”, il cui provvedimento giudiziario è stato rimandato all’8 novembre. Fa seguito alle numerose pressioni e ai tentativi di intimidazione (convocazioni in libera audizione, pressioni telefoniche, sorveglianza dei domicili) che subiscono da mesi le persone solidali nella regione.
Dopo la recente decisione del consiglio costituzionale francese si è dichiarato che il delitto di solidarietà era “ormai stato abrogato”. In realtà, il consiglio costituzionale stabilisce il “principio di fraternità” per non penalizzare l’aiuto gratuito al “soggiorno”e alla circolazione, ma non per l’aiuto disinteressato all’entrata sul territorio.
Secondo questa decisione, applaudita dal ministro degli interni francese Gerard Colomb, la fraternità si limita dunque ai confini nazionali. Prima di portare solidarietà a qualcuno in difficoltà dovremmo chiedere i documenti? O verificare che ci troviamo dal lato giusto del cartello” Francia” o “Italia”?

Per lo stato, la solidarietà dovrebbe ridursi ad accogliere, lato francese, i/le fortunati/e vincitori della lotteria mortale della frontiera.
Secondo il discorso dello stesso ministro degli interni, le persone, portando soccorso “per caso”, sarebbero fuori rischio, finché non pongono una critica alle politiche migratorie, mentre rimangono condannabili quelle che si organizzano in solidarietà.

Rifiutiamo questa strategia di divisione. Le diverse pratiche di solidarietà rispondono tutte alla stessa necessità di far fronte alle violenza di queste politiche.

Ribadiamo che:
– I controlli alla frontiera che riguardano le persone senza documenti costringono queste stesse persone a mettere in pericolo le loro vite per evitare i blocchi. Senza questi controlli, ognuno potrebbe prendere il treno, il bus, o un blablacar per viaggiare tra Italia e Francia.
-Per applicare gli ordini della prefettura e del ministero, la polizia di frontiera organizza una vera a propria “caccia all’uomo” nei sentieri di montagna fino a provocare feriti/e e morti/e, come Blessing Matthews il 7 maggio 2018.

-Alcuni poliziotti inseguono, intrappolano, schiaffeggiano, svestono, rubano e minacciano con le proprie pistole, in tutta impunità, nell’invisibilità della montagna.

Nel frattempo, la solidarietà che rifiuta questa messa in pericolo delle persone è passibile di un’accusa di “traffico di esseri umani”, mentre invece cerca di prevenire i.rischi mortali della montagna, in accordo con le libertà fondamentali.

Queste leggi vogliono imporci di mettere delle frontiere nelle nostre pratiche. Rivendichiamo una fraternità tra tutt* gli/le individu*, ignorando i confini entro i quali vorrebbero rinchiuderci.

Chiamiamo la popolazione ad un presidio pacifico di solidarietà

Martedì 17 luglio, alle 8:30, davanti alla Gendarmerie di Briançon.
Durante la garde-à-vue creiamo degli spazi di scambio e di incontro: portate i vostri strumenti musicali, Pique-nique, materiale informativo, ecc.”

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Eboli – 21 Luglio: Discussione su detenzione donne migranti e benefit per la cassa di solidarietà “La Lima”

fonte fb

 

 

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Claviere – Il rifugio autogestito Chez Jesus è sotto sgombero

fonte pagina fb Chez Jesus

Il Rifugio Autogestito Chez Jesus, il sottochiesa occupato di Claviere, è sotto sgombero.
C’è una denuncia pendente sul posto da più di due mesi e sembra che il Prefetto stia mettendo sempre più pressioni per sgomberare. Nel mentre stato e chiesa si stanno “impegnando” nel trovare “un’alternativa”. Un luogo dei salesiani affittato dalla fondazione Magnetto e gestito da due operatori della fondazione Talità Kum. Una sorta di spazio di transito che aprirà a Oulx, a 15 chilometri dalla frontiera. Un luogo che avrà 15 posti letto e una cucinina per chi è di passaggio.
“Un’alternativa” a Chez Jesus, come ci ripete il prete impegnato in questo progetto. Come se un luogo gestito da una fondazione privata a 15 chilometri dalla frontiera che svolgerà la sola funzione di dormitorio, con due operatori pagati per fare assistenza, possa essere “un’alternativa” a tutto quello che è Chez Jesus. Al rifugio è da mesi che passano centinaia di persone, si fermano, vivono questo spazio insieme condividendo la loro quotidianità con i solidali, scambiandosi esperienze e consigli preziosi. A Chez Jesus si trova sempre una porta aperta dopo ogni respingimento. Qui si può di condividere ogni esperienza di abuso da parte della polizia, oltre che, magari, costruire assieme un modo per non subirne più.
A Oulx il progetto dovrebbe partire per metà settembre. L’idea sembra quella di aprire un posto controllato e gestito, puramente “assistenziale”, e sgomberare così più tranquillamente il sottochiesa occupato di Claviere che invece vive di autogestione e ha sempre rifiutato l’idea di gestire e controllare le persone di passaggio. Continua a leggere

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Brescia – Migranti cacciati da un centro accoglienza per aver rifiutato il lavoro gratuito

A Zone, in provincia di Brescia, ieri 22 persone richiedenti asilo sono state cacciate dall’ostello Trentapassi , adibito a centro accoglienza, in cui vivevano. Tale provvedimento punitivo è stato preso su richiesta del sindaco di Zone, Marco Zatti, dopo che il gruppo di migranti si era rifiutato, lo scorso giugno, di lavorare gratuitamente per pulire il sentiero delle piramidi, attrazione turistica nei pressi del paese.

Secondo le informazioni circolate sui media mainstream, la scelta di sottrarsi a questo compito è da collegare a una forma di protesta attuata dai migranti in solidarietà con un loro compagno che non era riuscito a ottenere il permesso di soggiorno, cosa questa imputata dai ragazzi allo scarso impegno del sindaco Zatti. Oltre ovviamente alle disagevoli condizioni di vita cui sono costretti nell’ostello (mancanza di acqua calda, isolamento dovuto all’assenza della rete internet…).

Questo evento ha portato il sindaco a scrivere immediatamente al prefetto e alle cooperative che gestiscono l’ostello per comunicare la scarsa collaborazione dei richiedenti asilo e denunciare la presunta problematicità di alcuni di loro, indicati come leader e “aizzatori” della protesta. Come avvenuto in altri casi, anche questa volta non sono mancate le dichiarazioni dal sapore paternalista e colonialista del sindaco che ha chiesto alle cooperative di spiegare ai ragazzi che hanno non solo diritti ma anche dei doveri, tra cui quello di sdebitarsi per l’ospitalità ricevuta.

Retorica che il sindaco in questione ha utilizzato anche in precedenza, attivando un altro progetto – mai andato in porto –  di lavoro volontario gratuito per richiedenti asilo, che avrebbero dovuto essere sfruttati nella serra comunale.

Non è certamente la prima volta in cui le persone obbligate nei centri ci mostrano chiaramente come queste strutture siano soltanto luoghi di gestione e differenziazione, in cui si cerca di minimizzare le proteste attribuendole sempre a pochi “facinorosi”, acuendo dunque la distinzione tra migranti buoni e cattivi, fra meritevoli di essere accolti e chi invece è destinato all’espulsione.

In questa vicenda emerge lampante il carattere estremamente disciplinante del sistema d’accoglienza, accoglienza intesa come serie di obblighi cui bisogna sottostare e a cui è impossibile qualsiasi atto di insubordinazione pena la punizione, in questo caso il trasferimento in altri centri, ma più volte l’espulsione dal sistema d’accoglienza e le denunce penali.

Il trasferimento dei migranti è avvenuto nel pomeriggio, con un preavviso in mattinata, e non si conoscono ancora i centri tra cui verrano divisi e smistati.

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