Da Bologna a San Ferdinando contro i complici dello sfruttamento

Riceviamo e pubblichiamo.

Balletti con Coldiretti. Racconto del presidio a Bologna

Nel pomeriggio di martedì 19 marzo 2019 un gruppo di persone che odiano le frontiere e le politiche ad esse connesse si è trovato in una delle piazze in cui la Coldiretti, dietro al simbolo ben ripulito di “Campagna amica”, fa i banchetti di vendita di prodotti agricoli. Il luogo e il momento non sono stati scelti a caso poiché nel discorso della produzione agricola “etica”, “corretta” e “amica”, la voce di chi nelle campagne ci lavora non esce mai. La voce dei lavoratori delle campagne del sud italia, come è stato ribadito con volantini e interventi al megafono, viene messa a tacere da politiche repressive e controllanti. Così come viene messa a tacere ogni rivendicazione di documenti, case e contratti, il minimo sindacale per una vita dignitosa, il minimo sindacale su cui si passa sopra con le ruspe e le guardie, sgombero dopo sgombero.

Il 6 marzo a San Ferdinando è infatti andato in scena l’ennesimo sgombero fortemente voluto dal sindaco, dal governo e dai sindacati, con la scusa dell’illegalità non più sopportabile i primi e con la scusa della vita indecente i secondi, perché sanno che su queste persone si può trarre guadagno. In questa azione di guerra ai poveri, lo stesso giorno, la Coldiretti si faceva bella con i suoi discorsi su un’agricoltura made in italy pulita e giusta. La Coldiretti, proprio quella rappresentante delle associazioni padronali che lucrano sul lavoro dei tanti braccianti che vivevano in quella tendopoli e che, come il governo, preferisce averli a testa china e controllati all’interno di campi in cui poterli schedare e addestrare alle regole dello sfruttamento. Va ribadito che la maggior parte degli e delle abitanti della tendopoli ha scelto di andarsene altrove e sfuggire quindi alla deportazione nei campi e centri d’accoglienza statali o nei lager. Perchè la scelta per chi vive sul territorio di questo paese senza un pezzo di carta chiamato “permesso di soggiorno” è questa: deportazione, controllo e lager.

Come è successo a Tomi, un ragazzo algerino in sciopero della fame da 40 giorni in protesta contro la reclusione all’interno del CPR di Torino e di cui in questo pomeriggio di protesta è stato mandato l’audio delle sue interviste. Tomi ha continuato a resistere anche dopo i pestaggi subiti nel CPR, ha continuato a resistere anche se i medici, complici del sistema di controllo, hanno dichiarato che il suo stato di salute (perde un kg al giorno da quando ha iniziato la protesta) è perfettamente compatibile con la detenzione amministrativa, ovvero il lager e continua a resistere nella sua dura protesta nonostante, per allontanarlo dalla solidarietà espressa a Torino, sia stato trasferito al CPR di Bari.

La presenza di chi ad alta voce e in una maniera visibile ha tirato fuori le contraddizioni di questo sistema di sfruttamento ha interessato e spinto molte persone a fermarsi e chiedere informazioni ma ha anche fortemente disturbato, generando reazioni così esagerate che la digos ha delegato il suo compito di filmatori compulsivi ad alcuni associati della coldiretti che lì avevano il proprio banchetto. Questi hanno anche cercato di contattare alcuni dei piani alti, con cui ci siamo poi trovati a dover improvvisare balletti per sfuggire al loro tentativo di zittire ciò che avevamo da esprimere al megafono.

Le persone sconvolte dal fatto che la loro bella associazione potesse essere complice di siffatte nefandezze e soprattutto dal fatto che qualcuno potesse disturbare il loro tranquillo mercato, sono state invitate a contattare direttamente Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, per chiedere delucidazioni in merito alle scelte fatte dall’associazione di cui fanno parte e prendere posizione. Il silenzio è complice!

nemici e nemiche delle frontiere

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