Le lotte nei CPR fanno paura ai governi, sosteniamole

Le continue rivolte delle persone recluse nei CPR in tutta Italia non fanno dormire sonni tranquilli ai partiti politici, tutti, che condividono la necessità dell’esistenza di questi campi di concentramento.

Le misure di contrasto e repressione delle lotte all’interno dei lager di stato appaiono all’attuale governo talmente urgenti da inserirle nella discussione su una, presunta, modifica alle leggi sicurezza emanate dal precedente governo

I media oggi riportano che nel tavolo tra le forze di governo, ieri sera, si è trattata la “proposta di far scendere a 120 giorni la permanenza nei centri, che mira a snellire le procedure di rimpatrio, pene più severe «per l’allontanamento arbitrario da tali strutture e per le condotte violente commesse nei Cpr», dove andranno anche «gli stranieri condannati e quelli in attesa di rimpatrio negli Stati che hanno un’intesa con l’Italia»”.

Finora l’evasione dai CPR non poteva configurarsi come reato, trattandosi di detenzione amministrativa, e infatti le fughe venivano definite con l’eufemismo di “allontanamento arbitrario”.

Da quanto sappiamo, nell’ultimo anno 13 persone sono riuscite a evadere dal CPR di Ponte Galeria a Roma nel luglio 2019, 11 dal CPR di Gradisca nel solo mese di gennaio, e alcune altre nel CPR di Torino. Proprio ieri sera, 17 febbraio, un recluso del CPR di corso Brunelleschi è caduto dal tetto durante l’ennesimo tentativo di fuga, e si trova ora ricoverato all’ospedale Martini di Torino.

La partecipazione, reale o presunta, a proteste all’interno dei centri di espulsione, veniva invece già pesantemente punita: nell’ultimo anno ci sono stati infatti molti arresti con gravissime accuse.

Dopo la rivolta dell’aprile 2019 nel CPR di Bari 11 persone erano state denunciate per il reato di devastazione e 7 arrestate. 14 persone erano state arrestate per la partecipazione alle rivolte del settembre 2019 e del gennaio 2020 a Torino, sempre con l’accusa di devastazione aggravata e altri reati. A Caltanissetta, dopo le proteste per la morte di Aymen Mekni il 12 gennaio, erano state fermate due persone. 

Da inizio anno, con due morti di stato all’interno dei CPR, le istituzioni hanno già incrementato i dispositivi repressivi: sono stati sequestrati i telefoni cellulari a tutti i reclusi, per impedire la comunicazione con l’esterno e la diffusione di notizie riguardo quanto avviene nei lager. Dopo il danneggiamento e l’inagibilità delle strutture, le autorità hanno deciso di evitare di rilasciare le persone recluse, come talvolta avveniva in passato, e spostarle in altri CPR, anche a mille chilometri di distanza (come nel caso della recente chiusura del CPR di Trapani: i 36 reclusi sono stati trasferiti a Macomer in Sardegna e a Torino).

L’ulteriore stretta repressiva che si prospetta ci fa capire quanto sia centrale e importante l’esistenza dei CPR per l’attuazione delle politiche di segregazione e sfruttamento delle persone immigrate, e soprattutto quanto sia importante non lasciare sole le persone che lottano contro questo abominio.

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